1- PERCHÉ LE NOTIZIE DEI GIORNALI SUL SALONE DEL LIBRO DI TORINO SEMBRANO INCOMPRENSIBILI E DEMENZIALI? SEMPLICE. PERCHÉ IL SALONE DEL LIBRO DI TORINO QUEST’ANNO È INCOMPRENSIBILE E DEMENZIALE. ECCO UN FESTIVAL DELLA MARKETTA IN CUI L’AUTORE CHE DIVENTA PRESENTATORE E VICEVERSA, MAGARI NELLA STESSA SALA. BEVILACQUA, INSIGNITO DI UN MERIDIANO MONDADORI NEANCHE FOSSE ARBASINO - 2- MA C’È POCO DA FESTEGGIARE. BILANCI IN ROSSO OVUNQUE, SPECIE TRA I PIÙ ROSSI. MUSI LUNGHI ALLA RIUNIONE CARBONARA DI CASA EINAUDI (A PARTE IL SEMPRE ALLEGRO WALTER-EGO WELTRONI), IL VENTO GELIDO DELLA CRISI FA CREPITARE DI MALUMORE LA BOSCAGLIA DEI PRIVILEGIATI DALL’EX POTERE CULTURALE DELLA SINISTRA - 3- GIULIANO FERRARA: \"SE ANALIZZATE CON SCRUPOLO, LE CLASSIFICHE DI VENDITA DANNO RISULTATI DISARMANTI: SALVO ECCEZIONI, VINCONO LA GARA DEL SUCCESSO QUASI SEMPRE LIBRI POCO SORPRENDENTI, MESSAGGI SCONTATI, OPERE CHE SI CONQUISTANO IL DOMINIO COMMERCIALE CON PIÙ O MENO SOTTILI PERSUASIONI TV, PASSAGGI GIORNALISTICI. DA QUANTO TEMPO NON ESCE PIÙ UN LIBRO A SORPRESA?

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1 - DAGOREPORT
Perché le notizie dei giornali sul Salone del Libro di Torino sembrano incomprensibili e demenziali? Semplice. Perché il Salone del Libro di Torino quest\'anno è incomprensibile e demenziale.

SaloneSalone Internazionale del Libro Torino

Basta guardare le facce degli scrittori dell\'India, paese ospite del Salone nonché sua ancora di salvezza (gli indiani almeno hanno qualcosa di nuovo da dire): esterefatte, imbarazzate, basite.

Le sale dei grandi eventi sono bloccate da scolaresche oceaniche, turbolente e distratte, mentre gli organizzatori lasciano fuori gli spettatori adulti per ragioni di sicurezza: temeranno i pedofili? Ma quelli se mai andrebbero nell\'unico angolo bene organizzato del Salone, il settore libri per ragazzi.

Se i lettori di domani vengono privilegiati, quelli di oggi vengono puniti. Un grazioso bollino lilla contrassegna nel programma quelli che gli organizzatori considerano i \"Grandi Ospiti\". L\'unità di misura della grandezza è oscura. Forse non bisogna essere più alti di 1 metro e 70, il che spiegherebbe perché mai figura tra loro Ernestuccio Galli del Pollaio, l\'opinionista senza opinioni.

ForzaForza + - stand della bevanda energetica al salone del Libro nell\'ambito di quello delle forze armate italiane

O forse non bisogna essere scrittori ma calciatori, il che spiegherebbe la presenza tra loro di Carlo Mazzone (detto \"sor Carletto\"), Nicola Legrottaglie (che racconta insieme a Paolo Brosio la sua conversione a Medjugorje), Davide Enia (con il suo Italia-Brasile 3 a 2, raffinato cannolo Sellerio).

Il Salone è andato nel pallone, se tra i Grandi Ospiti ci sono megastar come Ernesto Olivero (Libreria Editrice Vaticana-ana-ana), Simone Regazzoni (autore di un\'indimenticabile Pornosofia), Emanuele Filiberto (che presenta il \'suo\' libro sui Savoia con l\'ausilio di ciambellani altisonanti come Toni Capuozzo, Waldimaro Fiorentino, Gustavo Mola di Nomaglio).

Per la serie \"Un\'ora con\", chi si perderebbe quella con Nonna Carla (in realtà non nonna ma madre della Regina Madre di Lapo & Yacht, Alain Elkann)? o con Alberto Bevilacqua, insignito di un Meridiano Mondadori neanche fosse Arbasino? Tanto quello che conta sono i presentatori. Litigano tra loro per prendere la parola, parlano molto più degli autori, vogliono far capire al pubblico che sono loro i meglio. E tanto poi al giro dopo si scambiano il favore senza neanche scambiarsi la sedia, magari nella stessa sala: l\'autore diventa presentatore e viceversa.

Torino capitale degli scambisti e unico vero specchio fedele della cultura italiana. Saranno gli sbalzi del clima (montagne innevate fuori, caldo torrido nel Lingotto), ma il mondo è alla rovescia, le cime sono fuori e gli abissi dentro. I pochi veri grandi ospiti (come Claude Lanzmann, testimone del secolo, autore della \'Lepre della Patagonia\') sono schiacciati dalla catena di montaggio delle marchette.

Mentre i visitatori errano tra una lectio magistralis di Piero Angela e l\'Emmaus di un Baricco ormai ingrigito come Matusalemme, bordeggiando tra gli stand lussuosi dei colossi dell\'editoria tappezzati di gigantografie di microautori dalle penne nane, zigzagando tra i piccoli stand a schiera accozzati tra loro nel modo più surreale - Casa Editrice Giudizio Universale accanto a Portafoglio Storico Titoli Azionari Antichi, Messaggero di Sant\'Antonio e Mamme Online, Bhaktivedanta e Realtà Sannita - , gli addetti ai lavori non si perdono una festa.

RobertoRoberto Saviano alla fiera del Libro di Torino

Ma c\'è poco da festeggiare. Bilanci in rosso ovunque, specie tra i più rossi. Musi lunghi alla riunione carbonara di Casa Einaudi (a parte il sempreallegro Walter Weltroni), il vento gelido della crisi fa crepitare di malumore la boscaglia dei privilegiati dall\'ex potere culturale della sinistra.

Ma per quanti fremiti scuotano il sottobosco, il più minacciato è il bosco, in questa Fiera delle Vacuità in cui la carta oltre che stanca è immolata alla fototipia di innumerevoli ombelichi d\'autore. Non a caso il più gettonato degli ospiti è lo scimpanzé di Greenpeace, che grugnendo, scortato da fricchettoni verdevestiti alti e grossi come Troll, diffondeva lo slogan \"Deforestazione Zero\" e attaccava ai colli dei giusti e degli ingiusti un ammonitorio cartello raffigurante un libro-pietra tombale con su scritto: \"Qui giace la foresta\".

ALESSANDROALESSANDRO BARICCO

2 - CONSIGLIO PER LA FESTA DEL LIBRO: LEGGERE E SCRIVERE MENO, MA MEGLIO
Giuliano Ferrara
per \"Il Foglio\"

Uno dice la tv, e sputa. La tv è volgare. Poi la lingua: mediocre, oscura, povera lessicalmente. Per non parlare delle maniere e consuetudini, della moda: il trionfo del banale, dell\'inestetico, del generico. Critichiamo tutto: i giornali quotidiani, i settimanali, i partiti, le accademie, la scuola. Dovunque rintracciamo il germe del mediocre, dello scadente, dell\'insignificante. E il libro? Non si sputa.

No, il libro è circondato dall\'aura del sensibile, della joie de lire, dell\'intimità intelligente, dell\'esclusività per ciascuno. Il libro è festivaliero, la sua presentazione è un\'epifania, il rito celebrativo non perde apparentemente un colpo: scrivere e pubblicare equivale a incantare, a sottrarre se stessi alla brutalità dell\'epoca, alla sua massificazione culturale, come dicono i sociologi della cultura che hanno leggiucchiato Walter Benjamin e le sue tesi sull\'auraticità dell\'arte e la riproducibilità tecnica delle opere. Ma è così? Dicono questo le classifiche, i saloni del libro, i libri che si pubblicano?

Con tutto il rispetto per le molte buone cose che si stampano, per il lavoro degli editor autorevoli e intelligenti (quando c\'è), per la perseveranza degli scrittori che hanno qualcosa da scrivere, per la funzione insostituibile dei libri, il Libro come idolo della cultura celebrativa e come bandiera di buona coscienza in chi legge e in chi non legge mi sembra la più volgaruccia tra le creature con le quali abbiamo a che fare nel vasto mondo.

Se analizzate con scrupolo, le classifiche di vendita danno risultati disarmanti: salvo eccezioni, vincono la gara del successo quasi sempre libri poco sorprendenti, messaggi scontati, opere che si conquistano il dominio commerciale con più o meno sottili persuasioni televisive, passaggi giornalistici. Da quanto tempo non esce più un libro a sorpresa? Un racconto o un saggio che impegni il forte e il duraturo che abita le testoline di uomini e donne occidentali?

GIULIANOGIULIANO FERRARA

Ricordo da ragazzo, cioè trent\'anni fa, la presentazione a Roma di un libro di Michel Foucault: c\'era qualcosa di nuovo, e Umberto Eco non pareva un celebrante del banale (era \"Le parole e le cose\"). Dall\'infanzia mi perseguitano le discussioni su Vladimir Nabokov e la sua \"Lolita\", un romanzo che non ho amato, quando più tardi l\'ho letto, ma certo non era un remake o una metafora ovvia per giovani scrittori. Il Gattopardo era un\'ossessione, come Zivago.

Tutte a loro modo sorprese, incursioni significative. La verità, a me sembra, è che i libri sono troppi, sono troppi gli scrittori e le scrittrici, troppi i premi, troppi i festival, troppo compiaciuta la miscela di letteratura e politica, letteratura e civismo, letteratura e sociologia della crescita economica e sociale dell\'occidente. Non è questione di industria culturale, siamo oltre il novecentismo e anche oltre il postmoderno. È questione di esagerazione, di accessibilità inaudita dell\'edizione, di pigrizia e vanità. Siamo al solito rimescolio di mezzacalzettaggine alla portata di tutte le borse, ma su una scala inverosimile di possibilità estreme: tutti autori, tutti scrittori, tutti produttori di libri.

La gioia di leggere resta. I buoni libri escono. Ma senza selezione, senza la decisione che discrimina e sceglie e rende raro, prezioso, ciò che oggi è diffuso, e a buon prezzo, fino alla noia, il libro dei nostri anni resterà consegnato nella bomboniera delle buone intenzioni realizzate, cioè in un luogo parecchio sordido. È un problema di etica della lingua, del pensiero e della sensibilità che sottopongo ai giovani giornalisti e a tutti coloro che hanno la tentazione del libro, come incitazione a non scrivere troppo, e agli utenti dell\'auratico librarismo per tutte le borse che - anche loro - dovrebbero leggere meglio, e meno, meno ma meglio.

 

 

 

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