viva EDMONDO! - LA MONDADORI fa cosa buona e giusta e RACCOGLIE IN UN BEL TOMO TUTTE LE OPERE DI BERSELLI, dal 1995 al 2010 - pagine saltellanti di eclettismo sperticato e di allergia al conformismo pensoso, senza impantanarsi mai nelle risacche della dozzinale narrazione ombelicale - COSÌ scrisse di noi: \"una volta c’era il pensiero forte. Adesso c’è Dagospia. Perché è stato proprio Dagospia a inventare, anzi a creare, una sovrarealtà\"...

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Edmondo Berselli è morto lo scorso 11 aprile, a 59 anni. Per ricordarlo, al Teatro Duse di Bologna va in scena fino a domani il suo spettacolo Beatnix , interpretato da Shel Shapiro. Il 15 e 16, sempre al Duse, esordirà Quel gran pezzo dell\'Italia , la sua ultima pièce, con Ennio Fantastichini. Lunedì, allo Storchi di Modena, le due opere saranno parzialmente proposte in una serata gratuita


1 - \"VENERATO\" BERSELLI MAESTRO SUO MALGRADO
Andrea Scanzi per \"la Stampa\"

EDMONDOEDMONDO BERSELLI

I libri di Edmondo Berselli, scomparso l\'11 aprile 2010, sono racchiusi in quindici anni. Un arco temporale minimo per una saturazione culturale massima. Che Mondadori raccoglie in un tomo elegante, intitolato Quel gran pezzo dell\'Emilia. Tutte le opere 1995-2010 . Non è un Meridiano vero e proprio, e il titolo (che parodia il suo già citazionista Quel gran pezzo dell\'Italia ) è sufficientemente autoironico da scongiurare il rischio inaccettabile della celebrazione.

Uno come Berselli può accettare l\'etichetta fastidiosamente inefficace di «intellettuale pop», ma non tollererebbe mai la santificazione postuma. Una delle molte cose che odiava, per meglio dire sbertucciava, al punto da scriverci sopra uno dei suoi titoli più fortunati, Venerati maestri ). Il dogma di partenza era quello di Alberto Arbasino, secondo cui in Italia c\'è un momento inesorabile in cui si slitta da «giovane promessa» a «solito stronzo». In rari casi accade di assurgere al rango illuminato di «venerati maestri».

EdmondoEdmondo Berselli

Eddy, cioè Berselli, è diventato maestro senza volerlo (ma un po\' in realtà lo voleva). La venerazione, però, no. Non c\'entra niente, con lui e il suo lateral thinking . Il suo eclettismo sperticato, l\'allergia al conformismo pensoso. L\'ostinata refrattarietà alla specializzazione, coltivando un solo orticello a scapito della Curiosità, rigogliosa erba di campo berselliana.

Il tomo Mondadori (1400 pagine, 40 euro), che raccoglie opere disponibili anche singolarmente, non è l\'unica ricorrenza. Il Mulino, dove Berselli ha passato più di vent\'anni, pubblicherà giovedì prossimo L\'Italia nonostante tutto , antologia di quindici saggi apparsi sulla rivista. Da ieri fino a domani, al Teatro Duse di Bologna, va in scena Beatnix : lo interpreta Shel Shapiro, già volto e voce del precedente spettacolo Sarà una bella società .

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Il 15 e 16, sempre al Duse, esordirà Quel gran pezzo dell\'Italia, ultima pièce di Edmondo. Berselli aveva inizialmente pensato a Ivano Marescotti, optando poi per Ennio Fantastichini. Lunedì 11, allo Storchi di Modena, le due opere verranno parzialmente proposte in una serata gratuita.

Nel bel saggio introduttivo per Mondadori, Franco Marcoaldi ricorda come tutto «si è bruciato con estrema rapidità: un esordio piuttosto tardivo e una morte atrocemente precoce racchiudono infatti l\'intera sua opera di una stagione breve, troppo breve».

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Aggiungendo, riguardo all\'apparente zigzagare casuale, che una delle forze di Edmondo era la guizzante intelligenza che non si esauriva «in una festa di fuochi d\'artificio, che sul momento possono anche sorprendere, accendendo con colori e forme inusitati la nostra immaginazione, ma che lasciano alle spalle, quando la festa è finita, una scia di malinconica vuotezza».

Edmondo Berselli è stato un infaticabile narratore di se stesso senza impantanarsi mai nelle risacche della dozzinale narrazione ombelicale. Politica, musica, cinema, tivù, sport: testi e pretesti per il suo vigilissimo sguardo fenomenologico. Virtuoso consapevole e talora compiaciuto, ironico se lo meritavi e scorticatore se lo riteneva necessario (le sue «macellazioni» dei cantautori, o dei geni presunti come Giovanni Allevi, hanno fatto epoca).

Eddy ha vissuto molte vite, forse perché avvertiva il tempo in scadenza. Un pigro che combatteva l\'accidia muovendosi di continuo, come il grimpeur che scatta per abbreviare l\'agonia dell\'ascesa alla cima. È stato come Mariolino Corso, «l\'indefinibile, l\'alieno». Labrador come la sua Liù, fiero «cane scomodo» come (dovrebbero essere) gli intellettuali. Italiano e post-italiano, emiliano e adulto con riserva. Sociologo e editorialista, battistiano e rollingstonesiano (beatlesiano, no: gli «gnè gnè» li lasciava a troppi colleghi).

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Volto televisivo per molti e chitarrista per pochi: allora e solo allora, si concedeva il lusso indecente del riso. Ha passato la vita - breve, troppo breve - a shakerare alto e basso, Saussure e i Pooh, Lacan e Fiorello, hybris ekoiné . Scriveva, quasi alla fine: «Un po\' alla volta io comincio lentamente, quasi insensibilmente, ad amare tutti gli esseri viventi. Lo so, l\'ho detta grossa».

Sì, l\'aveva detta grossa. Ma era quello che mai aveva smesso di fare: la sua maniera di voler bene, dietro corazza burbera e modi spicci, era tradurre i pensieri in parole mai tronfie e sempre salve. Ironicamente, e malinconicamente, salve.

2 - COSÌ BERSELLI DESCRISSE DAGOSPIA...
Dalla raccolta dei libri di Edmondo Berselli \"Quel gran pezzo dell\'Italia - Tutte le opere 1995-2010\", Mondadori (40 €, 1424 pp.). Estratto di \"Venerati Maestri\", p. 809.
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Riflessione alta, commenta Mieli nascondendo a stento la sua perplessità: riflessione altissima. Potremmo mica scendere di qualche gradino? Sai, i lettori, il pubblico. C\'è la concorrenza di Vittorio Feltri, con quel suo giornale pulp. Galli della Loggia esita per un istante, e poi riprende. Mettiamola così: una volta c\'era il pensiero forte. Adesso c\'è Dagospia. Perché è stato proprio Roberto D\'Agostino a inventare, anzi a creare, una sovrarealtà.

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Prima pubblicava pettegolezzi. Mentre adesso ha modellato un mondo. Un mondo finto, un mondo vero, un mondo comunque iper-reale, dove tutti agiscono e parlano come personaggi di quella galassia, di quell\'universo. Questo vuol dire che D\'Agostino non è soltanto un fissato che se ne sta chiuso in casa sua a Roma a leggere rotocalchi gossipari, e a telefonare alle sue spie, ma ha sostituito il suo sito all\'Italia contemporanea. Tronchetti Provera non esiste più come manager o imprenditore, ma più che altro come marito di Afef, e le sue iniziative finanziarie contano forse un po\' meno delle sue presenze mondane.

Sicché quando uno incontra Tronchetti non sa bene in quale contesto narrativo è collocato, e con ogni probabilità non lo sa neppure Tronchetti, perché ormai l\'unico Tronchetti esistente e percepito è il «Tronchetti della felicità», come lo chiama Dagospia. E allo stesso modo, con lo stesso processo, tutti gli altri protagonisti della nostra società contemporanea esistono in quanto figurine di D\'Agostino: Luca Cordero di Montezemolo, Francesco Cossiga, Romano Prodi, Silvio Berlusconi.

Dagospia è riuscito nell\'impresa eccezionale di sostituire la realtà con la sua quasi-realtà. Un gioco di prestigio, et voilà. Anche tu, Paolo, sei un personaggio di Dagospia, tua moglie, i tuoi collaboratori, a cominciare da Pierluigi Battista. Voi credete di esistere, e invece esiste soltanto la vostra immagine riflessa nel pianeta artificiale di D\'Agostino.

La realtà italiana ci ha messo quasi due giorni per capire che il direttore del «Corriere», Ferruccio de Bortoli, stava per essere sostituito da Stefano Folli. Ma nel mondo di Dagospia il cambio era già avvenuto, ed era stato annunciato con sicurezza, senza che nessun giornale si potesse permettere la stessa spregiudicatezza.

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Con un pensiero reverente agli anni Ottanta, e anche a Renzo Arbore e a «Quelli della notte», possiamo dire che ci troviamo davanti al trionfo finale dell\'insostenibile leggerezza dell\'essere, conclude il professor Ernesto.

Vabbè d\'accordo, concede Mieli, ma come possiamo trattarla questa idea, dal punto di vista culturale? Galli della Loggia capisce di avere aperto un varco, e dunque affonda il colpo. D\'Agostino è la prova che noi siamo passati dall\'ideologia novecentesca alla modalità postrema e metasemiologica degli anni Duemila. Dal linguaggio ai linguaggi, dalle idee alle impressioni, e, in ultimo, dal discorso al cazzeggio. Meglio, al cazzeggio totale.

L\'Italia come entità reale non esiste più, esiste una dimensione parallela in cui se si parla di Salvatore Sottile e di Elisabetta Gregoraci, di veline che la danno o la promettono o la ritirano all\'ultimo momento ma sempre per questioni di carriera televisiva, non ci si scandalizza e non si invocano riforme, non si fa del moralismo che suonerebbe ovviamente «d\'accatto», ma si commenta con una risatina, sperando che non ti intercettino, altrimenti nel cazzeggio ci finisci tu.

È un paese delle meraviglie, dice Ernesto, in cui tra Luciano Moggi e Stefano Ricucci il demiurgo D\'Agostino sceglie Ricucci, ma solo perché ha detto frasi memorabili come «So\' bboni tutti de fa\' i froci cor culo degli altri»; e in cui nulla importa: miliardi di euro, o di «euri», possono venire inceneriti da investimenti fallimentari, interi programmi di governo possono essere annichiliti dalla demenza di un sottosegretario, ma con il corollario di un chissenefrega, perché l\'importante non è la salvezza del paese reale, ma che il cazzeggio continui.

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Perché il mondo di Dagospia è un teatro, dove Marchionne ribattezzato Marpionne gioca certe sue indecifrabili strategie all\'interno della famiglia Agnelli, e potendo dà un colpettino di gomito, una gomitatina a Montezemolo, mentre Bazoli con l\'aiuto di Passera muove le pedine della finanza cattolica contro la finanza laica che fu di Enrico Cuccia, e alla fine dello spettacolo salta fuori una soubrette, che li sistema mediaticamente tutti grazie all\' aiuto interessatissimo di un portavoce politico, e guadagna il proscenio, e alla fine sposerà un calciatore, o un finanziere, o un imprenditore, o un immobiliarista, oppure, chissà, si butterà in politica e anche con un certo successo, perché la politica non è più quella di una volta quando c\'erano le Frattocchie e l\'Azione cattolica, ma è quella di oggi, dove ciò che serve è l\'immagine, la presenza, un Dasein minore ma irresistibile.

D\'altra parte, sibila Galli della Loggia, anche tu l\'hai saputo da Dagospia che Folli se ne andava e tornavi a fare il direttore del «Corriere», mica dal consiglio d\'amministrazione.
Ernesto, conclude Mieli, sei sempre un maestro.

 

 

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