IL “NEGRO” BIANCO DI INDRO – LO SFOGO DI CERVI: “I 13 libri a quattro mani con Montanelli li ho scritti io” – "QUANDO IL "CORRIERE" RIPUBBLICò LA "STORIA D'ITALIA" CANCELLò IL MIO NOME" - QUANTO INCASSAVA DI ROYALTIES SENZA FARE FARE UN CAZZO?...

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Da "Italia Oggi"

cervi mariocervi mario

«I tredici libri a quattro mani con Indro Montanelli li ho scritti io», così dice Mario Cervi nel suo ultimo libro Gli anni del piombo, Mursia, pagine 220, euro 17. La cosa si sapeva ufficiosamente negli ambienti giornalistici più informati. Ma veniva sussurrata. Adesso è lo stesso coautore (che, invece, si rivela come autore) che lo dice in un modo inconfondibile, nero su bianco con una prosa che non deve essere interpretata, ma solo letta. Vediamola, estraendo dal libro questi brani:

DA "GLI ANNI DI PIOMBO" DI MARIO CERVI

... La Storia d'Italia montanelliana aveva un impianto inconfondibile, uno stile riconoscibile, una grande coerenza culturale e, se volete, ideologica. Delle idee di Montanelli condividevo quasi tutto. Del suo modo di porsi di fronte ai personaggi e agli avvenimenti condividevo tutto. I volumi della sua monumentale opera erano diventati, nel corso degli anni, più seri.

Non vorrei essere frainteso. Le godibili pagine dell'inizio avevano una base forte di pensiero e di preparazione. Ma anche per le caratteristiche della pubblicazione che le aveva accolte, la «Domenica del Corriere», aveva un milione e passa di lettori affezionati, ingenui, amanti dei buoni sentimenti, incantati dalle monellerie di Indro, le storie montanelliane erano partite con piglio allegro. Cammin facendo Indro aveva approfondito di più: «L'Italia della Controriforma» è uno stupendo saggio da qualsiasi prospettiva lo si consideri.

Indro MontanelliIndro Montanelli

L'esigenza di avvicinare la storia di un divulgatore geniale alla storia degli storici era diventata molto forte quando io mi associai a Montanelli. Lo era diventata perché si inoltrava su un terreno battutissimo, perché affrontava temi polemici incandescenti, perché ricordava atti e detti di uomini usciti di scena da poco o ancora viventi. Un giorno in cui, conversando con Indro, gli esprimevo la mia nostalgia per certe sue passate lepidezze, mi disse che avevo ragione, «ma Nerone non dà querela, Fanfani sì».

Voglio essere chiaro: i libri a quattro mani con Montanelli li ho scritti io. Ma non voglio nemmeno essere frainteso. L'approdo di Montanelli a quei tredici libri è stato fondamentale, per una serie di ragioni.

Primo, lo è stato perché la linea era sua e io scrivevo sapendo di dovermi adeguare a essa e facendolo senza alcuno sforzo perché la sua linea era la mia. Secondo, di Montanelli era la prefazione a ogni volume, a volte anche la postfazione. Testi brevi, ma mirabili e indispensabili.

Con il suo dono della sintesi, con le sue doti di chiarezza e di incisività, Montanelli metteva a fuoco i concetti e le figure centrali del libro, nessun osannato ideatore di promo televisivi può eguagliare quel miracolo d'intelligenza. A volte Montanelli mi ricordava, con quelle sue prefazioni, certe critiche teatrali di Renato Simoni: il quale, sunteggiando la trama di una commedia, indicava anche gli sviluppi che l'autore avrebbe potuto darle, e che magari, per inadeguatezza, aveva mancato.

Silvio BerlusconiSilvio Berlusconi

Infine, terzo motivo, l'immane produzione giornalistica di Montanelli includeva reportage e ritratti aderenti al libro che scrivevo, e allora attingevo a piene mani. Talvolta la bellezza dei profili era così spiccatamente montanelliana che il libro assomigliava a un'opera della quale io avessi composto il recitativo, e Indro le romanze. Montanelli fu, per quanto mi riguarda, il più indulgente dei revisori, ricordo al massimo una decina di sue aggiunte o correzioni. (_)

Nemmeno me ne volle, Montanelli, quando Rosario Bentivegna, quello della strage di via Rasella, ci querelò per un accenno incompleto, ne L'Italia della guerra civile, ai processi che il Bentivegna stesso aveva subito da corti militari alleate per la morte di un finanziere in borghese, dopo la liberazione di Roma. Bentivegna ottenne il sequestro del volume e un risarcimento.

(A proposito di quel volume, e della scarsa considerazione in cui gli accademici della storia tenevano la collana montanelliana: nel 1991 lo storico Claudio Pavone pubblicò un libro in cui il periodo della Repubblica di Salò era qualificato come guerra civile, e da ogni pulpito culturale italiano si levarono inni alla straordinaria scoperta. Ma L'Italia della guerra civile era stato, anni prima, il titolo di un libro di Montanelli-Cervi.)

L'intesa con Montanelli era tale che sopravvisse ad avvenimenti dai quali avrebbe dovuto essere ridotta in macerie. Quando già Montanelli aveva rotto con Berlusconi, tra il 1993 e il 1994, diventandone il fustigatore implacabile, e io ero tornato al «Giornale» dopo la fallimentare esperienza della «Voce», quando cioè ci trovavamo in teoria su barricate opposte, scrissi i due ultimi volumi della Storia d'Italia (cui seguirono due compendi, L'Italia del Novecento e L'Italia del Millennio).

DIZIONE DEL CORRIERE SENZA IL NOME DEL VERO AUTORE: MARIO CERVIDIZIONE DEL CORRIERE SENZA IL NOME DEL VERO AUTORE: MARIO CERVI

I volumi furono L'Italia di Berlusconi e L'Italia dell'Ulivo. Libri come si può immaginare molto delicati, che raccontavano vicende nelle quali eravamo stati direttamente coinvolti, e giudicavano personaggi, a cominciare dal Cavaliere, che Montanelli aveva sfidato o appoggiato. Sapevo, scrivendo, di scrivere anche per Indro: che nelle prefazioni e in una desolata postfazione fu grandissimo. Ma non cambiò una parola di ciò che avevo scritto.

Montanelli, uomo leale come nessun altro, non ha mai negato e nemmeno attenuato il mio ruolo nei libri firmati insieme. Nell'ambiente tutti sapevano, e del resto non era un segreto, che li avessi scritti io. Ma recensori e commentatori insistevano nell'elogiare, attribuendole a Indro, scorrevolezze, piacevolezze e durezze che sapevano essere più modestamente di Mario.

Nel libro Soltanto un giornalista di Tiziana Abate, del 2002, che raccoglie molte conversazioni con Indro Montanelli, il mio nome non è mai citato. L'osservazione non è stata fatta da me, che non mi ero preoccupato di verificare, ma da un settimanale, che sospettava chissà quale retroscena.

Tiziana Abate ha giustificato l'omissione spiegando che anche molte altre persone con le quali Montanelli aveva avuto rapporti non erano menzionate. In realtà nessuna di quelle persone, lo dico con franchezza, era stata presente quanto me nella vita e nell'opera di Montanelli. Non so se e quanto l'omissione sia stata intenzionale, ma corrispondeva a un tacito e forse inconsapevole disegno di molti. Disegno consistente nel cancellare o quasi dalla biografia di Montanelli i vent'anni del «Giornale», nel «corrierizzarlo». (_)

Quando il «Corriere della Sera» tra il 2003 e il 2004 pubblicò in allegato la Storia d'Italia arrivò addirittura a ignorare, nella copertina dei volumi che mi riguardavano, il mio nome. Protestai con l'allora direttore Stefano Folli, che mi diede onestamente ragione. A titolo di modesta riparazione mi fece intervistare.

 

 

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