Marco De Martino per "Panorama"
rupert murdoch 50Quando le si dice che Rupert Murdoch intende fare pagare l'accesso al Wall Street Journal online e agli altri siti d'informazione del gruppo Dow Jones, lei risponde con una battuta: «Auguri! Secondo me su internet la gente paga solo per il porno. Anzi, no, solo per certe specie molto esotiche di porno».
Ride Arianna Huffington, e come non darle ragione? Almeno per ora è lei l'ape regina dell'informazione digitale: mentre in tutto il mondo i giornali vivono la loro crisi più profonda da sempre, il suo Huffington Post, testata nata dal niente 4 anni fa, ha raddoppiato il fatturato pubblicitario rispetto all'anno scorso, mentre il traffico è aumentato sei volte.
ARIANNA huffingtonCon soli 61 giornalisti accalcati nell'ufficio di Soho a New York la testata online conta 8 milioni di lettori al mese contro i 16 milioni del New York Times, che di giornalisti ne impiega 800. Altra cruciale differenza: l'Huffington Post è per la maggior parte un aggregatore di notizie prodotte da altri, che vengono ripagati non con denaro, ma creando traffico. I suoi link rimandano alla pagina originaria del Washington Post o di Usa Today dove è stato pubblicato l'articolo.
HOME PAGE DI HUFFINGTON POST«Siamo entrati nella linked economy, l'economia collegata: chi cerca di costruire recinti attorno all'informazione e chiedere soldi per accedervi è destinato a fallire» sostiene Huffington, che parla ancora con il forte accento greco di quando si chiamava Arianna Stassinopoulos, doveva ancora laurearsi a Cambridge, non aveva ancora conosciuto il petroliere miliardario Michael Huffington e non era ancora transitata dal Partito repubblicano al progressismo. Ben prima cioè di essere accusata di essere una killer di giornali con la sua teoria delle notizie libere per tutti: «Chi mi accusa non ha capito cosa sta succedendo nel mondo dell'informazione».
Cosa sta succedendo, secondo lei?
È in atto una transizione difficile, un periodo di innovazione distruttiva, in cui però è necessario distinguere fra salvare il giornalismo e salvare i quotidiani. Anche se molti quotidiani falliranno, infatti, il giornalismo sta vivendo una fase eccezionale in cui si sta reinventando, come abbiamo visto per esempio in Iran, dove dopo il divieto di accesso ai giornalisti i new media come Twitter hanno avuto un ruolo fondamentale. Il «citizen journalism» avrà un ruolo sempre più importante, a mio parere alla fine ci guadagneremo tutti.
Non ritiene che il giornalismo tradizionale abbia un ruolo fondamentale nel capire le notizie che non possono essere sintetizzate in meno di 140 caratteri?
Sì, però credo anche che il giornalismo tradizionale abbia mostrato i suoi limiti. Solo negli ultimi anni, per esempio, i quotidiani hanno clamorosamente fallito nel dare conto delle due più grandi vicende del nostro tempo. Prima si sono bevuti le bugie che hanno portato alla guerra in Iraq e poi non hanno visto arrivare la grande crisi finanziaria. I quotidiani soffrono di una sorta di deficit dell'attenzione dovuto alla necessità di seguire il ciclo della notizia che impedisce loro di stare sulla notizia e approfondirla fino a che non viene fuori qualcosa. Ciò che invece sono più portati a fare i new media e i blogger.
Nessuno scoop è finora venuto dai giornalisti di internet.
È vero solo in parte. Durante la campagna elettorale negli Stati Uniti è stato un nostro lettore l'unico a evidenziare la gaffe che Barack Obama ha fatto sugli elettori della Pennsylvania, quando ha detto che la disoccupazione li porta verso la religione e le pistole: quel commento ha dominato il dibattito per giorni e ha messo in pericolo la vittoria dei democratici.
Ma ora faremo anche di più. Abbiamo creato una società nonprofit, l'Huffington Post investigative fund, che produrrà inchieste che verranno messe a disposizione non solo dell'Huffington Post ma anche di tutti quelli che le vorranno pubblicare online. Per dirigere il gruppo di giornalisti che lavoreranno agli articoli abbiamo scelto Larry Roberts, che era responsabile del giornalismo investigativo al Washington Post.
DRUDGE REPORTQueste inchieste si occuperanno anche dell'amministrazione Obama? Alcuni la criticano perché dicono che il suo sito è favorevole alla nuova amministrazione come il «Drudge report» lo era con la presidenza Bush.
Ci occuperemo anche di questo come abbiamo già fatto mettendo in discussione il programma di salvataggio dell'economia della Casa Bianca: ancora non si sa dove sono finiti i soldi stanziati per finanziare le banche. Uno dei problemi del giornalismo tradizionale è la sua connivenza col potere.
Ma non può negare di incarnare un punto di vista progressista...
Io credo che il punto di vista non impedisca di sfidare l'amministrazione Obama. E penso che la tendenza a dividere il mondo tra destra e sinistra sia un modo antiquato di vedere le cose, un altro dei tic di cui l'informazione si deve disfare. I giornali tradizionali tendono troppo a dare conto di tutti i punti di vista, mentre la verità è che su alcuni grandi temi come l'assistenza sanitaria, la riconversione energetica o le riforme del sistema finanziario la maggioranza degli americani ha convinzioni precise che poco spazio lasciano al dibattito.
È questa realtà che intendiamo riflettere. E poi chi ci vede come un sito politico forse non sa che la maggior parte del nostro traffico viene da gente che ci legge per le nostre notizie di spettacolo e business, per i nostri blog, per l'attenzione che dedichiamo alla comunità dei nostri lettori.
Resta il problema di come generare soldi per finanziare l'informazione.
Noi crediamo in un sistema di uso corretto dei link: dell'articolo che citiamo mettiamo sul nostro sito solo due paragrafi, poi rimandiamo all'originale, generando un enorme traffico verso i giornali che aumentano il loro ricavato pubblicitario. Lo stesso per i video. Noi onoriamo appieno le leggi del diritto d'autore e in alcuni casi paghiamo già alcune fonti, come la Associated press. Il problema è come produrre ancora più reddito da questo modello di business.
E cosa pensa allora di coloro che hanno dichiarato guerra agli aggregatori come l'«Huffington Post»?
Che dovrebbero stare attenti: se i loro desideri si esaudissero, perderebbero enormi quantità di traffico e rischierebbero l'oblio.
Come vede il futuro dei media?
Immaginarlo è difficile. Basti pensare che nelle elezioni presidenziali del 2004 Youtube non esisteva e nel 2008 è stato un fattore determinante nella vittoria di Obama. L'evoluzione del sistema è velocissima e poco prevedibile, però mi stupirei se andasse nella direzione di un ritorno ai modelli di business tradizionali. Indietro non si torna.