IL CINEMA DEI GIUSTI - ECCOLO, TRA CITAZIONE ALTE DI JERRY LEWIS (“LA FELICITÀ NON ESISTE”) E BASSE DI MASSIMO FERRERO (“I RICCHI DEVONO MORÌ”), IL PRIMO DEI TRE CINEPANETTONI PIÙ O MENO UFFICIALI CHE SI DIVIDERANNO GLI INCASSI DA NATALE A CAPODANNO - E QUESTO “POVERI MA RICCHI” DI FAUSTO BRIZZI E’ MOLTO DIVERTENTE

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Marco Giusti per Dagospia

 

DE SICA POVERI MA RICCHI DE SICA POVERI MA RICCHI

Mortacci de Pippo! Eccolo, tra citazione alte di Jerry Lewis (“la felicità non esiste”) e basse di Massimo Ferrero (“i ricchi devono morì”), tra cammei incredibili di miti assoluti come Al Bano e Gabriel Garko, tra resurrezioni impossibili, come quella di una strepitosa Anna Mazzamauro come vecchia suocera orrenda che in versione rossa diventa uguale alla nuova ministra dell’istruzione Valeria Fedeli, il primo dei tre cinepanettoni più o meno ufficiali che si divideranno gli incassi da Natale a Capodanno.

 

Vi dico subito che questo Poveri ma ricchi, diretto da Fausto Brizzi, che lo ha scritto assieme a Marco Martani, remake del successo comico francese Les Tuches di Olivier Baroux, malgrado qualche non funzionamento nella seconda parte, non solo è il miglior film di Brizzi, ma è pure parecchio divertente.

 

POVERI MA RICCHI POVERI MA RICCHI

Grazie a un cast strepitoso e molto cafone che unisce un Christian De Sica burino coi capelli ricci e rossi (uguale al Jean-Paul Rouve del film originale, ma qui sembra piuttosto il Lando Buzzanca di San Pasquale Baylonne protettore delle donne) e un Enrico Brignano perfetto nei duetti o terzetti con Christian, al magico duo formato appunto da Lucia Ocone e da sua “madre” Anna Mazzamauro.

 

Raramente le donne in un film italiano riescono a essere così comiche, ma qui, almeno per tutta la prima parte, fanno i fuochi d’artificio. E la Mazzamauro è sui livelli degli storici Fantozzi nell’interpretare la vecchia suocera impossibile attaccata alla tv per vedere Il peccato e la vergogna (“Perché non mi è nato un figlio come Gabri?”) o nello scatenarsi in battute pesanti. “Che ne farete di questi 100 milioni di euro, tutti in beneficenza?” – “Sto cazzo!”.

 

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O quando vuole un televisore da 120 pollice, “più grande dello schermo della multisala di Valmontone”. Perché i Tucci, traduzione facile facile ma perfetta dei Les Tuches originali, famiglia burina del paesino (inventato) di Torresecca situato tra Palestrina e Zagarolo, hanno vinto 100 milioni di euro alla lotteria e non sanno se dirlo a tutti mandando affanculo clamorosamente i compaesani o starsene zitti per non pagare le tasse. Ora.

 

Se i Tucci sono burini e ignoranti, e seguitano a friggere e a mangiarsi i supplì al grido “Uno per Tucci, tutti per uno!”, non è che i compaesani siano meglio, da uno strepitoso Giobbe Covatta come prete di Torresecca, che sogna non l’8 per mille della vincita, ma il 20 per cento per la sua chiesa, al sindaco interpretato dall’altrettanto strepitoso Fabrizio Nardi della coppia romana Pablo e Pedro (una vera sorpesa) allo stesso Massimo Ferrero meglio noto come Viperetta che fa un gran numero di fronte alle telecamere di Sky.

 

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Ovvio che, a un certo punto, i Tucci non ce la faranno più a reggere il silenzio e, dopo aver sbottato clamorosamente in un “A peracottari! Voi lo sapete chi ha vinto i cento milioni della lotteria?”, decideranno di partire verso il Nord e mangiarsi tutti i soldi. Ma se Le Tuches originali partivano dal Nord della Francia e sognavano il ricco sud di Montecarlo e avevano il mito di Stéphanie di Monaco, i più modesti Tucci di Torresecca al massimo sognano di arrivare a Roma Nord, ma dopo una geniale riflessione a suon “Aho, ma l’Expò l’hanno fatta a Milano mica a Tormarancia!”, decidono di andare nella Milano dell’Expò e del post-Pisapia come da sogni renziani. Perché vogliono essere dei nuovi ricchi di oggi, magari anche di sinistra, di quelli che guardano Sky non solo per doveri (fin troppo pressanti) di sponsorizzazione.

 

A Milano lo zio Brignano si innamorerà di una cameriera, Lodovica Comello (già star di Violetta in tv) e si fingerà povero, mentre le due donne si rivestiranno da capo a piedi e si tingeranno i capelli. Prima vivranno in una mega suite in un albergo a cinque stelle, dove seguiteranno a friggere, e poi si compreranno un attico nei nuovi grattacieli.

 

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E’ interessante notare nelle nostre commedie lo sviluppo di Milano come città dei romani che sognano la nuova ricchezza e la nuova stabilità, e l’uso anche eccessivi dei nuovi simboli milanesi, come il ditone di Cattelan, che in pochi mesi abbiamo ritrovato in ben cinque film italiani nemmeno fosse il Duomo, o i palazzi di Via Gae Aulenti.

 

I Tucci avranno un loro cameriere personale, Ubaldo Pantani, e cercheranno di mettersi inutilmente in contatto col mondo dei ricchi milanesi. Il solo milanese che vediamo nel film è però il grande Bebo Storti, capocameriere dell’albergo che seguita a chiamare Africa il povero Brignano, “Sotto Pavia per me è tutto Africa”.

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Stavolta, devo dire, l’idea del remake funziona benissimo, Christian e Brignano sono perfetti e stranamente misurati, Ocone e la Mazzamauro fanno davvero ridere, molto meno riusciti i due figli, che sembrano un po’ buttati lì a forza, ma sono l’esatta fotocopia dei figli dei Les Tuches originali. Tutta la prima parte funziona alla grande, mentre nella seconda, con la storia d’amore di Brignano e la svolta da nuovi ricchi della famiglia a Milano, il film si incarta un po’, come se non avesse una vera storia.

 

Ma la costruzione è tale che il film non ne soffre. Certo, un’attrice come Lucia Ocone, così abile in tv nelle imitazioni, come si spoglia del personaggio della burina e la rivesti da ricca, perde identità e forza comica. Lo stesso capitava alla Cortellesi in certi suoi primi film comici. Non capita alla Mazzamauro perché è una comica pura di estrazione salciana e, anzi, in versione rossa ritorna la signorina Silvani che adoriamo. E l’idea di Al Bano affittato dai Tucci come regalo di compleanno è notevole. In sala dal 15 dicembre.

 

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