IL CINEMA DEI GIUSTI (ENTRAMBI!) - ALESSANDRA MAMMÌ STRONCA ‘IL FILO NASCOSTO’: ‘SÌ, P.T. ANDERSON È UN GRANDE REGISTA, DAY-LEWIS UN GRANDE ATTORE, MA QUESTO FILM NON È IL GRANDE CAPOLAVORO CHE VOLETE FARCI CREDERE. SI VEDE CHE IL REGISTA NON CAPISCE DAVVERO DI MODA, HO APPREZZATO POCO LA MARTELLANTE MUSICA CHE RIEMPIE DEGLI EVIDENTI VUOTI DI UNA SCENEGGIATURA CHE GIRA IN TONDO’…

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Marco Giusti per Dagospia

alessandra mammi e marco giusti alessandra mammi e marco giusti

 

Ancora su Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson

 

Ma il film più bello? Ah, beh, Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson… Lo hanno detto tutti i critici e criticoni italiani, da Paolo Mereghetti a Emiliano Morreale a Fabio Ferzetti. Un film perfetto. Ah, certo. Non puoi toccare nulla. Lo ha detto anche Luca Guadagnino dopo gli Oscar. Ora. Io ho visto il film in una saletta privata. Ne ho scritto pure. Parlandone piuttosto bene. Magari non in termini così esaltanti, perché molte cose funzionano e altre no. E credo che abbiano fatto bene agli Oscar a non premiarlo.

 

Non vale neanche quanto altri film di Paul Thomas Anderson, soprattutto Il petroliere o The Master. E poi anche perché quando si arriva al “bello” alzo le mani. Penso a Sgarbi, alla Grande bellezza… No, il bello, il perfetto non lo reggo. Inoltre mia moglie Alessandra ce l’aveva stroncato da subito. E io e il mio amico Picci ne abbiamo riflettuto appena usciti dalla proiezione.

 

il filo nascosto phantom thread il filo nascosto phantom thread

Sì, questo film girava parecchio a vuoto. Come la musica di Johnny Greenwood, sempre la stessa. E questa storia dove voleva arrivare? E il personaggio del sarto? Un altro bambacione in mano alle donne, totalmente senza palle. Avete visto come lo tratta la sorella? E l’amore per la mamma? Ma la cosa che ha fatto incazzare di più mia moglie e parecchie sue amiche sono il rapporto con i tessuti del sarto, con la sua professione e gli abiti, per loro tremendi, che cuce. E i costumi hanno vinto pure l’Oscar.

 

Ahi! Si sono levate alte le grida di una serie di signore e signorine che hanno cominciato a massacrare pesantemente, a cominciare dall’abito che fa le grinze già nel manifesto. Quello che vi faccio leggere è l’articolo che ha scritto mia moglie. Dopo tutte le note esaltanti dei critici parrucconi è giusta una voce contro.

 

http://mammi.blogautore.espresso.repubblica.it/2018/03/04/scusatemi-ma-ho-perso-il-filo/

 

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Lo so che Paul Thomas Anderson è un grande regista. Che Daniel Day Lewis è un grande attore - anzi il più grande e se smette di recitare firmerò per penitenza  tutte le petizioni che vedovi e vedove mi manderanno -  ma questo “Filo nascosto” non è il gran film che volete farci credere.

 

Soprattutto è difficile credere fino in fondo a lui Reynolds Woodcock il protagonista, il couturier di regine, principesse e aristocratiche donne inglesi. Un uomo che vive del suo lavoro, ma in realtà non lo fa. Al massimo disegna figurini all’ora di colazione , imponendo assoluto silenzio e pesante clima ad alto tasso nevrotico a una sorella manager e all’amante di turno. Ma a parte gli schizzi sullo sketch book,  non tocca mai una stoffa, non  controlla un taglio, non si entusiasma per un dettaglio.  Per di più ignora completamente cosa fa il mondo oltre i confini dell’atelier suo. E’ all’oscuro dell’esistenza di gente come Coco Chanel o Christian Dior.

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Non sa che negli anni Cinquanta non è carino proporre corsetti schiaccia costole, veste come pupazze anche signore sovrappeso che meriterebbero esser trattate meglio (persino se sono  miliardarie americane un po’ ubriacone), mette pizzi ovunque. E si capisce pure visto che per tutto il film sembra molto più interessato alla cucina britannica che alla moda europea.

 

Ci son critici di cinema che hanno paragonato le creazioni  di  questo mister Woodcock. a Cristobal Balenciaga, di sicuro sanno tutto di Paul Thomas Anderson e probabilmente conoscono a memoria l’Atalanta di Jean Vigo, ma quelle geometrie sghembe, quella straordinaria capacità di ridisegnare pesi e parti di un corpo, quell’astrazione  assoluta di cui fu capace Balenciaga  di sicuro non sanno cosa sia. Non sono neanch’io una esperta di moda ma una mostra di Balenciaga l’ho vista anni fa  a Louvre e non l’ho più dimenticata. Mentre spero presto di dimenticare quegli abiti lampadari di mister Woodcock.

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Allora se questo film, pur nei pregi che non discuto mi ha suscitato tanta irritazione, è perché ho visto qui quel che succede nei  film sugli artisti quando li si riprende presi da un sacro fuoco, dannati del loro  genio creativo, pronti  a scatenarsi sulla tela come contro il pungiball o le macchine in palestra. Pochi sanno invece raccontare invece la pigrizia, le chiacchiere a vuoto, il distrarsi continuamente e la stanchezza che spesso fa parte delle giornate di chi costruisce immagini, e soprattutto quelle ancora mai viste.

 

 

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Cosa faccia invece un sarto durante il giorno non lo so, ma mi hanno più convinto le ben più sciatte puntate del serial sull’omicidio Versace di questo raffinatissimo film sull’ossessione.

 

Maschile s’intende. E a veder maltrattate le donne e schiavizzate le sorelle  non mi esalto tanto. Anche se poi  c’è la vendetta della femmina folle  e il riscatto nell’amour fou. Ho apprezzato però come cade la luce su quei meravigliosi argenti, teiere e scones, sulla ritualità del breakfast e l’ umido paesaggio inglese. Un po’ meno invece la martellante musica che riempie degli evidenti vuoti  di una sceneggiatura che gira in tondo intorno alla coazione a ripetere del sarto incapace d’amare  salvato dalla dedizione di una musa modella.

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Per il resto attendo che qualche storico della moda mi dia torto (o ragione) e allontani da me (o confermi) il sospetto che questo tormento e estasi del couturier reazionario non sia il “Filo nascosto” di una superficialità che il cinema dimostra quando parla di discipline che non conosce, e che purtroppo non vuol far neanche la fatica di conoscere.

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