IL CINEMA DEI GIUSTI - “I FIGLI DELLA NOTTE” DI ANDREA DE SICA HA IL LIMITE NEL VOLER ESSERE TROPPO PRECISO NELLE RIPRESE E NEL MONTAGGIO, MA LA COSTRUZIONE VISIVA, IL LAVORO SUL SUONO E LA MUSICA SONO NOTEVOLI. ANCHE IL FINALE CON “TI SENTO” DEI MATIA BAZAR

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Marco Giusti per Dagospia

 

I FIGLI DELLA NOTTE I FIGLI DELLA NOTTE

Oh, la formazione della classe dirigente nell’Europa altoborghese… Mentre la maggior parte dei buoni rampolli della borghesia italiana che vogliono fare cinema, come abbiamo visto proprio in questi giorni a Cannes, si buttano nelle storie di giovani ragazzi poveri ambientandole in situazioni ultrarealistiche e emarginate, c’è chi si muove in senso totalmente opposto.

 

E’ il caso di Andrea De Sica, qualcosa di più di un figlio d’arte (nonno Vittorio, madre Tilde Corsi, zio Christian, padre Manuel, e a lui è dedicato il film), che, dopo qualche assistentato eccellente (Bertolucci, Ozpetek), un po’ di corti davvero ben fatti (L’esame), un giro di regie di serie, si avvicina al suo primo lungometraggio, I figli della notte, scritto assieme a Mariano Di Nardo, prodotto da Gregorio Paonessa, presentato al Festival di Torino, con le idee più che chiare in termini di messa in scena e di musica, che firma lui stesso, ma con una storia più horror che realistica, ambientata in uno spettacolare collegio sulle montagne di Dobbiaco dove si stanno formando i padroni del mondo di domani.

 

I FIGLI DELLA NOTTE I FIGLI DELLA NOTTE

Sono i figli scombinati della classe dirigente dell’Europa dei banchieri e dei capitani d’industria, che non hanno certo tempo per educare i figli, che vengono addestrati da un gruppo di professori a diventare duri e aggressivi come e più dei genitori. Una storia che il cinema, e la letteratura, hanno spesso trattato, pensiamo solo a Nel nome del padre di Marco Bellocchio se non vogliamo proprio riandare a I turbamenti del giovane Torless di Volker Schlöndorff, spingendo appunto il pedale sia sulla chiave politica sia su quella horror o comunque non realistica.

 

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Il giovane Giulio, Vincenzo Crea, orfano di padre e con madre molto indaffarata nel seguire le sue industrie in giro per il mondo, si ritrova a sedici anni in un colleggio di soli maschi a studiare economia e a dover crescere in fretta. Al punto che pure le situazioni notturne di nonnismo faranno parte, in qualche modo, della sua formazione. Come gli spiega uno dei docenti, interpretato dall’attore dardenniano Fabrizio Rongione.

 

Si lega a un compagno, Edoardo, Ludovico Succio, che ha vari problemi comportamentali, una situazione familiare disastrata, e che lo porterà fuori, nella notte, al ritmo del vocione di Pavarotti, in una baita postribolo in mezzo alla neve dove incontreranno alcol e ragazze facili. Giulio si innamorerà di una delle ragazze del posto, Elena, Yulila Sobol, ma la cosa non verrà ben vista da Edoardo.

 

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Tutto il film segue un percorso che possiamo ben immaginare, dove si assisterà alla formazione da adulto-padrone di Giulio, al superamento delle sue tensioni sentimentali e sessuali, comprese quelle più represse. Diretto con grande professionalità e determinazione da De Sica, il film, presentato lo scorso novembre al Festival di Torino, lo pone da subito fra quei quattro-cinque nomi di registi esordienti più interessanti della stagione, quasi tutti trentenni, come Roberto De Paolis o Gabriele Mainetti.

 

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La cosa che gli unisce, a parte la scelta dei soggetti, è proprio questa alta formazione professionale che di solito non trovavamo nei registi esordienti italiani. Il film di Andrea De Sica ha magari il suo limite nel voler essere troppo preciso nelle riprese e nel montaggio a dispetto di una direzione di attori che pretende un po’ troppo da un gruppo di esordienti. Ma la costruzione visiva, il lavoro sul suono e la musica sono notevoli. Anche il finale con “Ti sento” dei Matia Bazar. In sala.

 

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