IL CINEMA DEI GIUSTI - “TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI” È UN FILM PIUTTOSTO BELLO, FORTEMENTE POLITICO, E CON UNA ROBUSTA SCENEGGIATURA PER NULLA FACILE, E GIÀ MOLTO PIACQUE A VENEZIA QUANDO VENNE LANCIATO, ANCHE SE VINSE SOLO PER LA MIGLIORE SCENEGGIATURA - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

TRE MANIFESTI A EBBING TRE MANIFESTI A EBBING

Eccolo il film trionfatore dei Golden Globes 2018, Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh, miglior film drammatico, migliore sceneggiatura, migliore attrice protagonista, Frances McDormand, e miglior attore non protagonista, Sam Rockwell. Ma al di là dei premi,  già vedere Frances McDormand che si muove sullo schermo col passo alla John Wayne, ma con la bandana alla Christopher Walken de Il cacciatore, e tira pugni ai villici cafoni di Ebbing, Missouri, è uno spettacolo.

 

Mettiamoci anche Woody Harrelson come sceriffo malato e di buon cuore e il tutto diventa quasi irresistibile. Magari con questi attori vince facile Tre manifesti a Ebbing, Missouri, scritto e diretto dall’irlandese Martin McDonagh, già autore del notevole In Bruges e dello strampalato Seven Psycopathsma, soprattutto vince come film manifesto contro le molestie maschili e a sostegno dei personaggi femminili forti.

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Però, va detto, è un film piuttosto bello, fortemente politico, e con una robusta sceneggiatura per nulla facile, e già molto piacque a Venezia quando venne lanciato, anche se vinse solo per la migliore sceneggiatura. Mildred Hayes, cioè Frances McDormand, cerca di smuovere il capo della polizia locale,  Willoghby, Woody Harrelson, per far luce sull’omicidio e lo stupro di sua figlia Angela rimasti impuniti. Così compra tre cartelloni pubblicitari di una strada di campagna per puntare il dito proprio sulla polizia.

 

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Non si metterà contro tanto il capo, che ha un tumore al pancreas e i giorni contati, quanto il suo svitato aiuto Dixon, Sam Rockwell, già protagonista di Seven Psycopaths, gay represso con mamma, con fama di torturatore di neri, ma pazzo per A Venezia… un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg. L’idea dei manifesti smuoverà però fin troppi interessi nella cittadina di Ebbing, facendo uscire il razzismo di alcuni e l’umanità di altri, come il suo minuscolo spasimante, Peter Dinklage, che la aiuterà nell’impresa.

 

McDonagh gioca coi suo personaggi senza le subtarantinate del film precedente, ma con una giusta dose di commedia sofisticata e di battute esplosive, coinvolgendo nell’orrore della storia le ultime vicende di Charlottesville, l’omofobia, la guerra, le matrici del suprematismo bianco. Frances McDormand, in un ruolo che è stato scritto da McDonagh proprio per lei, domina ogni scena e penso che la vedremo in corsa per un Oscar.

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Se il suo modello è John Wayne, sembra che quello che aveva pensato McDonagh per Sam Rockwell è il Lee Marvin cattivo di L’uomo che uccise Liberty Valance, miscuglio di stupidità e di violenza, che se la vede, appunto, con il probo John Wayne. Da Liberty Valance, il regista riprende anche l’atmosfera di una cittadina che può esplodere da un momento all’altro, tema che riprenderanno molti film legati ai diritti civili degli anni ’60, a cominciare da La calda notte dell’Ispettore Tibbs, dove non tutti sono cattivi come sembrano.

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Per McDonagh, malgrado le riserve di qualche critico che lo trova un film troppo pieno di trovatine, è il ritorno alle promesse di un cinema di serie A che prometteva con In Bruges. Grande musica di Carter Burwell che unisce temi irlandesi, “The Last Rose of Summer” di Thomas Moore, a “The Day They Drove Old Doxie Down” di Joan Baez a “Buckskin Stallion Blues” di Townes Van Zandt. Ebbing, Missouri è stata in realtà ricostruita a Sylva, North Carolina. In sala dall’11 gennaio.

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