IL CINEMA DEI GIUSTI - ‘ERAVATE UN POPOLO DI ANALFABETI, DOPO 80 ANNI TORNO E VI TROVO ANCORA UN POPOLO DI ANALFABETI’: IL DUCE RISPUNTA AL CINEMA IN QUESTO DIVERTENTE E NON BANALE ‘SONO TORNATO’. GLI PERDONIAMO QUALCHE DIFETTO, VISTO CHE IL MASSIMO POPOLIZIO E FRANK MATANO SONO COSÌ BRAVI CHE POTREMMO VEDERLI PER ORE MUOVERSI PER LE STRADE D’ITALIA

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Marco Giusti per Dagospia

 

Sono tornato di Luca Miniero

 

sono tornato sono tornato

Saluto al Duce! “Eravate un popolo di analfabeti, dopo 80 anni torno e vi trovo ancora un popolo di analfabeti”. Ci siamo. Il Duce sta tornando, almeno nelle nostre sale, con questo divertente e non banale Sono tornato, diretto da Luca Miniero, che lo ha scritto assieme a Nicola Guaglianone, e trova che non siamo poi così cambiati.

 

Costruito sulle grandi capacità attoriali di un campione come Massimo Popolizio, mai così attivo fra teatro, opera e cinema, sul suo incontro-scontro con un comico moderno del web come Frank Matano, tratto da un fortunato libro, di Timur Vernes, e da un ancor più fortunato film, Lui è tornato – Er Ist Wieder Da, diretto da David Wnendt, dove il Lui del titolo era però Hitler, questo ritorno del Duce non era certo un film facile da realizzare.

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Anche perché Miniero e Guaglianone, e con loro i due protagonisti, hanno a che fare non solo con un personaggio ingombrante e con una ideologia pericolosa da trattare ancora presente nel nostro paese, come il fascismo. Così devono stare estremamente attenti a non fare troppo i superficiali, a non ammiccare alla possibile simpatia del personaggio, ma anche a non essere troppo pesanti, troppo storici. Al tempo stesso devono riuscire a integrare nella versione italiana del format, le parti più riuscite del film tedesco.

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Cioè i rapporti del Duce, uomo del ’900 con Internet, con la televisione, con la realtà del paese, con l’immigrazione. Ma come la mettiamo con l’Olocausto? Insomma, se puoi ridere vedendolo come un fantoccio d’epoca al computer, può non far ridere sentirlo parlare di razza e di Terzo Mondo. Diciamo subito che la parte più riuscita del film è ovviamente quella più elementare del revenant, arrivato a Roma attraverso la Porta Alchemica di Piazza Vittorio, grande trovata, che si scontra col mondo di oggi in un misto di curiosità e di spavento, e affronta ogni cosa, appunto, con battute alla Mussolini.

 

“Io i pederasti li avevo portati alle Tremiti”. Parte che coincide con lo sviluppo del rapporto, anche umano, con Frank Matano, piccolo uomo qualunque della tv, che ne intuisce da subito il potenziale mediatico e comico. E tutte le candid camera che vedono Mussolini-Popolizio per la strada, al mercato, a confronto con l’umanità di oggi, sono davvero notevoli. In realtà, come fossimo in un qualsiasi servizio di un programma di Santoro, della Gabanelli o delle Iene, non ci interessa quello che pensa Mussolini della nostra società, quanto il comportamento degli italiani o dei tanti che vivono in Italia svelata dall’arrivo e dalla presenza di un personaggio come il Duce.

 

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E il fatto che Popolizio non sia un attore così popolare, se avessero usato un Claudio Bisio la cosa non avrebbe funzionato, rende il tutto non certo più credibile, ma sicuramente più realistico. E i signori che alzano la mano in segna di salute al Duce sono orrendamente veri. Così, decisi a non renderlo mai troppo simpatico, ma spesso questo Duce, nei fatti lo è, un po’ come il personaggio di Ugo Tognazzi a confronto con l’intellettuale comunista di Georges Wilson ne Il federale di Luciano Salce, uno dei più grandi incassi italiani di sempre e grande modello picaresco anche di questo film, Miniero e Guaglianone lo portano in giro per l’Italia come un feticcio comico che cercano di controllare spingendo sui pedali dei grandi modelli televisivi di oggi.

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Che sono, nella prima parte, il reportage appunto alla Gabanelli, che risponde un po’ alla domanda iniziale che il regista Matano cerca di svolgere coi suoi servizi, “Cosa vuol dire oggi essere italiani”, nella seconda i grandi talk della tv, in parte veri, ci sono Alessandro Cattelan e Enrico Mentana, e in parti di finzione, con Stefania Rocca che si lancia in un talk-trash tra Maria De Filippi e Barbara D’Urso.

 

In generale, credo, la parte dove Miniero e il suo Duce si avventurano nei talk televisivi è non solo più rischiosa, ma anche meno riuscita, perché sfora poi nel dover giustificarsi ideologicamente rispetto a tutta l’operazione, con Mentana che fa il paladino della giustizia televisiva, mentre la prima, più libera e più vitale, è la grande trovata del film. E sviluppa le situazioni comiche e satiriche più riuscite. Perché ha il funzionamento classico del personaggio storico che si confronta con la realtà di oggi.

 

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Pensiamo a Mussolini che viene spinto a prendere l’autobus a Piazza Matteotti, che arriva a Piazzale Loreto. Invece di avere Cattelan e Mentana avrebbero dovuto puntare al Porta a porta di Bruno Vespa, sicuramente più adatto a una lettura comico-satirica. Finché il film si muove nella superficialità della battuta, ovviamente, le cose funzionano perfettamente. Anche perché Popolizio è favoloso nella sua interpretazione del Duce, e assolutamente originale come rilettura attoriale, mentre Frank Matano ha quell’umanità, quella carica comica napoletana che riescono a smussare le situazioni più rischiose e antipatiche.

luca miniero luca miniero

 

Quando si perde un po’ per strada Matano e il film cerca una qualche giustificazione per l’operazione stessa del ritorno del Duce al cinema, le cose si fanno più confuse e meno riuscite. E Miniero, che è regista molto ancorato alla realtà, sembra non essere a suo agio nel grottesco. Ma in generale il film è qualcosa di così diverso da quello che vediamo al cinema, di così originale che possiamo perdonargli anche qualche difetto. E Popolizio e Matano sono così bravi che potremmo vederli per ore muoversi per le strade d’Italia. In sala dal 1 febbraio.

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