IL CINEMA DEI GIUSTI – IN QUESTO “ELVIS” DI BAZ LUHRMANN SI RIMANE UN PO’ INCANTATI DAL TOO MUCH DI REGIA RISPETTO AL TROPPO POCO DI COPIONE - È UNA MACCHINA DI SPETTACOLO MERAVIGLIOSA IN PIENO STILE ELVIS O LAS VEGAS, DOVE LA MUSICA E LO SHOW, IL SENSO AMERICANO DI ENTERTAINMENT MEDIATO DALLE FIERE E DAL CIRCO PIÙ CHE DA CINEMA E TV, DOMINANO TOTALMENTE LE DUE ORE E QUARANTA STRAMONTATE DAL REGISTA CON CENTINAIA E CENTINAIA DI EFFETTI E DI TRUCCHI UNO DENTRO L’ALTRO DA PERDERE LA TESTA…

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Marco Giusti per Dagospia

 

elvis luhrmann elvis luhrmann

Lo sapevamo. Anche se non tutto funziona nella sceneggiatura, anche se i due personaggi principali, il Colonnello e il suo ragazzo (“my boy”) non sono così sviluppati da apparire davvero l’uno così indispensabile all’altro, anche se manca la cinica battuta del Colonnello che chiude la morte della sua star con “E’ stata un’abile mossa” e, alla fine, si rimane un po’ incantati dal too much di regia rispetto al troppo poco di copione, l’”Elvis” di Baz Luhrmann è una macchina di spettacolo meravigliosa in pieno stile Elvis o Las Vegas, dove la musica e lo show, il senso americano di entertainment mediato dalle fiere e dal circo più che da cinema e tv, dominano totalmente le due ore e quaranta stramontate dal regista con centinaia e centinaia di effetti e di trucchi uno dentro l’altro da perdere la testa.

baz luhrmann con il cast di elvis baz luhrmann con il cast di elvis

 

Uscito in America con 12 milioni di incasso al primo giorno, ieri da noi, al terzo giorno, ha incassato 232 mila euro con 429 sale con un totale di 650 mila euro, ma al Quattro Fontane non è che ci fosse proprio una ressa, ha fatto storcere il naso ai critici un po’ più fighetti proprio per il senso di too much della regia ultrabarocca di Luhrmann. Ma se non lo fai con Elvis, con chi lo fai?

 

Con un biopic su Merola diretto da Martone e interpretato da Favino o da Toni Servillo? “Tre ore di video music mascherata da film”, leggo. Anche se fosse, che male ci sarebbe? Siamo cresciuti con la video music. E un personaggio come Elvis è pura musica, anche se Luhrmann cerca in tutti i modi di riportarlo dentro il suo tempo, tra le morti violente di Martin Luther King e di Bob Kennedy, dimostrando che il solo ancheggiamento dei fianchi del cantante, il suo muoversi e cantare come i cantanti del blues, con cui era cresciuto e si era formato, era politica.

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Magari l’effetto di mancanza di film dietro lo splendore delle immagini, lo fanno il poco sviluppo dei personaggi, anche se un tentativo di farne una coppia alla Mozart e Salieri gli sceneggiatori lo fanno, e la voglia che ha Luhrmann, come gli imbonitori delle fiere, di stupirci costantemente con trucchi, montaggio e musica. Generalmente però anche i critici americani hanno trovato eccellenti le performance del giovane Austin Butler, un bel ragazzo mezzo sconosciuto, come Elvis e di Tom Hanks truccatissimo, con naso adunco, pappagorgia, pancia gonfia, come il Colonnello Tom Parker, il suo manager.

 

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Se Butler è una scoperta, anche se non ha il lato più sexy e coatto del vero Elvis che aveva da subito colto Kurt Russell nel favoloso “Elvis” diretto da John Carpenter girato quando il losco Colonnello e il non meno losco padre di Elvis, Vernon, erano ancora vivi, il Tom Parker di Tom Hanks, nel suo primo ruolo da villain di sempre (sbaglio?), spruzza ancora un po’ di candore e della gentilezza del Tom Hanks buono dei suoi mille film precedenti con un effetto clamoroso. Quasi un cartone animato.

 

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Un personaggio, inoltre, costruito interamente sul falso, un falso colonnello, un falso soldato (cacciato dall’esercito con disonore), un falso americano (era olandese), un falso manager (non sapeva nulla di musica), un falso buon padre (sperperava nel gioco il 50% degli incassi di Elvis), che rivelerà nel corso del film, e del tempo, essere pura superficie. Un giocatore, sempre perdente, che sfrutta la totale ingenuità da America povera dell’Elvis di Austin Butler che, morta l’adorata madre, non potendo poggiare la testa né sulle spalle del padre né del colonnello, finirà per trovar conforto solo sulle pillole e sulle armi. Bang!

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Iniziava così l’”Elvis” di Carpenter, con Kurt Russell che nella sua suite a Las Vegas, in cima al grande albergo che sarà la sua gabbia dorata per cinque anni, spara al televisore. Luhrmann non riesce a capire così profondamente come Carpenter e Russell il personaggio, ma ne ricostruisce benissimo, assieme alla sua troupe, la direttrice della fotografia Mandy Walker, la scenografa Catherine Martin, l’infanzia da bianco povero che abita con la famiglia disastrata, il padre, qui Richard Roxburn, era finito in galera, il fratello maggiore, Jesse, era morto da piccolo, nei quartieri neri di Memphis, e il momento della scoperta della musica, unendo i blues di Arthur “Big Boy” Crudup, quelli di Sister Rosetta Tharpe e i gospel.

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Quando il figlio di Hank Snow, Jimmie Rodger Snow, interpretato dal grande Kodi Smit-McPhee fa ascoltare al Colonnello il primo disco di Elvis e gli rivela che è bianco, parte la storia. Ma Luhrmann, pur costruendo sul rapporto fra manager e artista gran parte della drammaturgia del film, non perde mai l’essenza da bianco cresciuto con la cultura nera di Elvis. Confesso che è la parte che più mi piace dell’”Elvis” di Luhrmann, il rapporto con B.B.King, interpretato da Kevin Harrison, con Mahalia Jackson, con gli omicidi dei grandi leader politici degli anni ’60, che Elvis vive profondamente come fatti che lo riguardano totalmente.

 

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Funziona meno, nell’ultima parte, lo scivolamento verso il disastro della carriera del cantante, il rapporto malato col Colonnello che lo porterà al farsi sfruttare senza senso in quel di Las Vegas o alla follia dei concerti in giro per le città americane, sempre le stesse, non potendo, per colpa del Colonnello, a poter fare concerti all’estero.

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Ma se vi lasciate dominare dalla forza della musica, che Luhrmann spalma ovunque, con mille rimandi nella colonna sonora, e delle immagini, vi troverete inaspettatamente a casa nel mondo di Elvis. Anche se alla fine, il Colonnello vi avrà fatto comunque la sua magia, sfilandovi i soldi del biglietto senza farvi vedere non tanto di più di quello che già sapevate ma lasciandovi stampato il sorriso sulla faccia. Ora aspetto il biopic con Merola.

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