IL CINEMA DEI GIUSTI - ‘SMETTO QUANDO VOGLIO: MASTERCLASS’ È DIVERTENTE, ALLEGRO, FESTOSO, PIENO DI BATTUTE E DI PERSONAGGI RIUSCITI. PER IL CINEMA ITALIANO, DOPO IL SUCCESSO DI MISTER FELICITÀ DI ALESSANDRO SIANI E DI L’ORA LEGALE DI FICARRA E PICONE, TORNARE COMPETITIVO È QUALCOSA DI VERAMENTE VITALE

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Smetto quando voglio: Masterclass di Sydney Sibilia.

 

“C’è un latinista nel container!”. In fondo non aspettavamo altro. Un sequel, un numero due di Smetto quando voglio, grande successo di pubblico giovanile e di critica della scorsa stagione, ancora diretto da Sydney Sibilia, che a sua volta darà vita a un numero tre, già girato e preannunciato nel due, che vedremo chissà quando, ragionando proprio come se fossimo all’interno di una saga alla Ritorno al futuro o alla X-Men e non nel guado del cinema italiano dove gli spettatori sembra che ti facciano un piacere a vederti per mezzora in sala.

 

E non possiamo che dar ragione al dotto Professor Morcellini della Sapienza, partner di tutta l’operazione, che ha detto in conferenza stampa un poco sofisticato ma preciso “Sta robba ce piace!”. Cesepostà.

 

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Perché come nel primo Smetto quando voglio, che colpì tutti per freschezza, ritmo, battute, e per l’idea fondamentale di una generazione di studiosi che, non trovando lavoro, diventano dei piccoli chimici delle smart drugs, anche nel secondo, Smetto quando voglio: Masterclass, scritto stavolta da Luigi Di Capua (già Pills) e da Francesca Manieri (Veloce come il vento), ma sempre prodotto da Matteo Rovere e Domenico Procacci, fotografato da Vladan Radovic e montato da Gianni Vezzosi, troviamo la stessa impostazione.

 

Attenzione! Non è lo stesso film rigirato con qualche soldo, qualche attore e qualche effetto in più, ma un vero sequel, giocato più sul funzionamento del genere, sull’action, con tanto di scena madre col treno in corsa come in Runaway Train (insomma..), sul lavoro degli stuntman e sullo sviluppo narrativo che dovrà sfociare nel finalone della prossima puntata. Al punto che quando partono i titoli di coda con qualche flash sul terzo Smetto, ci si rimane un po’ male, perché vorremmo capire come si sviluppa il tutto.

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Lo capiremo però, e presto. Va detto che Sydney Sibilia è probabilmente il regista più interessante della sua generazione, quella cioè dei trentenni, assieme a Gabriele Mainetti, che è un po’ più grande e decisamente più ambizioso.

 

Cresciuto a fumetti e a serie americane, già molto attivo nella pubblicità, Sibilia non trasferisce il genere nel cinema italiano più classico (ha pure il marchio Fandango…), non sogna nostalgicamente, come un Damien Chazelle, di rifare il musical adattandolo alla vita di tutti i giorni, ma si inventa un suo genere personale dove, grazie a dialoghi sofisticati ma brillanti, a un’immagine da Instagram generation e a una serie di personaggi da Topolino riesce a muoversi perfettamente orchestrando un racconto dove action e comedy si adattano perfettamente, dove Luigi Lo Cascio, il nuovo villain, sembra Macchia Nera, e i suoi eroi, da Edoardo Leo a Stefano Fresi, da Paolo Calabresi a Libero De Rienzo ai due latinisti, Valerio Aprea e Lorenzo Lavia, tanti Paperini e QuiQuoQua.

 

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In pratica, non pensiamo mai all’operazione sul genere, perché siamo già da parecchio dentro il genere. E questo per Sibilia e per i suoi sceneggiatori è naturale. Per questo, penso, anche se avrebbe potuto cedere a offerte più allettanti, a serie tv più ricche, dopo il successo del primo Smetto, Sibilia, assieme ai suoi produttori, ai suoi attori, al suo cast tecnico, ha deciso invece di puntare sulla serializzazione in chiave pop-fumettistica del primo film. Perché si diverte a giocare dentro il mondo che ha costruito e con questi personaggi come fosse uno di loro. E questo il professor Morcellini e il suo pubblico lo percepiscono.

 

La storia vede il gruppo di ricercatori fabbricanti di droghe, una volta scoperti, Leo è addirittura finito in galera, utilizzati da una bella poliziotta, la Greta Scarano di Suburra, per scoprire una serie di nuove smart drugs in commercio. La banda torna così in azione, ma dalla parte del bene, anche se Edoardo Leo, come nel primo film, deve inventarsi un sacco di balle con la moglie, Valeria Solarino, incintissima.

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Ma è proprio alle prese con la droga più complessa, che Edoardo Leo e i suoi uomini si scontreranno come un mega-villain, Luigi Lo Cascio, che ha in testa piani molto più pericolosi della costruzione di una nuova smart drug. Divertente, allegro, festoso, pieno di battute e di personaggi riusciti. Per il cinema italiano, dopo il successo di Mister Felicità di Alessandro Siani e di L’ora legale di Ficarra e Picone, tornare competitivo è qualcosa di veramente vitale. In sala da giovedì.

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