IL CINEMA DEI GIUSTI - CHE CI FA SCORSESE A PARIGI? NON SA NEANCHE IL FRANCESE. IL SUO MONDO È QUELLO DI BROOKLYN, DEI GANGSTER, DELLA SPERIMENTAZIONE PURA, DEL MONTAGGIO SCATENATO, DELLE MILLE CANZONE CHE SI FONDONO INSIEME - “HUGO CABRET”, CON LA SUA MESSA IN SCENA PERFETTA E COMMOSSA DEL CINEMA DELLE ORIGINI, GUARDA CON NOSTALGIA QUEL PASSATO PERCHÉ NON SA REALMENTE COSA NE SARÀ DELLA NOSTRA CULTURA E DI TUTTO QUELLO CHE ABBIAMO VISTO E VISSUTO…

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Hugo Cabret di Martin Scorsese.

Marco Giusti per Dagospia

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In qualche modo i film del nuovo secolo, per non dire del nuovo millennio, iniziano adesso. "The Artist" di Michel Hazanavicius, col suo omaggio al muto e al bianco e nero, e "Hugo Cabret" di Martin Scorsese, con la sua messa in scena perfetta e commossa del cinema delle origini di Georges Méliès, all'interno di un film in 3D e di una storia scritta da Brian Selznick, pro-nipote di David O. Selznick, il produttore di "Via col vento" e "Duello al sole", non si dividono solo una decina di Nominations agli Oscar, ma soprattutto la rilettura del secolo passato come secolo del cinema, e del cinema come macchina dei sogni, diviso tra vecchio e nuovo mondo (Parigi ricostruita da Hollywood, a Londra, e Hollywood ricostruita dai francesi...).

SCORSESE CON LE ILLUSTRAZIONI DI HUGOSCORSESE CON LE ILLUSTRAZIONI DI HUGO

Una rilettura che ci riporta ancora una volta all'ossessione che il cinema ha per il tempo, come dimostra la ripetizione, anche questa ossessiva, per la celebre scena di Harold Lloyd appeso alla lancetta dell'orologio in cima a un grattacielo nel suo celebre "Safety Last" (1923), che viene citato e poi rimesso in scena con gran gusto cinefilo sia in "Hugo Cabret" che nell'ultimo "Mission Impossibile" diretto da Brad Bird, con Tom Cruise appeso in cima a un grattacielo a Dubai.

HUGO DI SCORSESEHUGO DI SCORSESE

Ma il tempo e il cinema, e le 24 ore di visione di un film-opera che ricostruiscono minuto per minuto come il cinema ha messo in scena il tempo, sono anche i temi di "The Clock", mega-video di Christian Marclay che ha vinto e dominato l'ultima Biennale di Venezia, dove si assisteva alla scomposizione e al rimontaggio come "arte" dei frammenti del "cinema" del secolo passato.

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Se il protagonista del film di Scorsese, il piccolo Hugo Cabret, nella fredda Parigi del 1931, è ossessionato dal dover rimettere a posto i meccanismi, far girare tutte le rotelle degli orologi della Gare de Lyons dove, novello Quasimodo, è stato relegato dalla morte del padre orologiaio, e dal far funzionare l'automa meccanico che gli ha lasciato proprio il padre e che lo ricondurrà alla scoperta del cinema fantastico e alla figura di Georges Méliès, Scorsese e la sua grande montatrice Thelma Schoonmacher, che non solo ha montato tutti i suoi film, ma che aveva sposato un pezzo di storia del cinema fantastico come Michael Powell, il regista di "Scarpette rosse" e "Peeping Tom", sono da sempre ossessionati dal funzionamento delle loro macchine-cinema e dalle infinite possibilità che il cinema ha di espandersi come percezione temporale (cito solo la scena di "Good Fellas" con De Niro e Ray Liotta al bar, quando sentiamo che forse è scattata una trappola e non capiamo come Liotta posse uscirne).

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Da "Toro scatenato" a "Casino", da "Good Fellas" a "The Departed", ma anche nei titoli meno riusciti, non c'è un film dove non si senta il loro bisogno maniacale di costruire film che non solo funzionino come racconto di per sé, ma dove non si assista al loro corpo a corpo col cinema e coi suoi meccanismi e le sue teorie, spingendosi sempre oltre come per una sfida personale (pensiamo alla complessità di "Casino"), che coinvolge spesso attori, da De Niro a Ben Kinsgley, che in "Hugo Cabret" è un Méliès fenomenale, ma anche scenografi come Dante Ferretti o direttori della fotografia come Robert Richardson.

HUGO DI SCORSESEHUGO DI SCORSESE

Dove un altro regista si fermerebbe, Scorsese non la finisce di provare e sperimentare. Al punto che in "Shutter Island" diventano parte fondamentale della complessità dello sviluppo narrativo del film i suoi "errori" di montaggio, rivelando che la storia non è quella che stiamo vedendo e ribaltandone completamente il senso.

Ovvio che se metti in mano a Scorsese un film come "Hugo Cabret", con il suo carico di storia del cinema delle origini, addirittura la storia di Méliès, e di costruzione in 3D, che per il regista è anche un "viaggio" nel 3D degli anni '50, quello dei film di fantascienza e dell'incredibile "Hondo" di John Farrow con John Wayne, la sfida si complica e non è detto che il film che ne esca sia necessariamente un capolavoro.

SCORSESE SUL SET DI HUGOSCORSESE SUL SET DI HUGO

Anche perché Scorsese non ha mai girato un film fantastico alla Tim Burton, e "Hugo Cabret" sembra molto vicino, forse per le scenografie di Ferretti, al mondo di "Sweeney Todd", o al dolciume alla Steven Spielberg, che oggi vuol dire la noia di "Tin Tin", o alla sperimentazione visiva di Robert Zemeckis, ma per fortuna qui ci sono gli attori in carne e ossa.

Senza gangster e senza cattivi, ma soprattutto occupato a costruire un labirinto di piani sequenza per il 3D che sviluppa tutto in profondità, come l'"Alice" di Tim Burton, ma perde la grandezza della complessità di montaggio di Thelma Schoonmacher, Scorsese fa un gran lavoro di ricostruzione visiva, ma soffre un po' la storia e queste immagini un po' ferme.

SCORSESE FA UN CAMEO IN HUGOSCORSESE FA UN CAMEO IN HUGO

E' ovviamente bravissimo a far recitare le sue piccole star, Asa Butterfield e Chloe Grace Moretz (da poco vista in "Texas Killing Fields" e "Blood Story"), ma alla fine preferisce buttarsi nella grande celebrazione del mago Méliès, per il quale ricostruisce con precisione maniacale i set, le macchine, le immagini.

Alla fine, sappiamo tutti che ha fatto un grande, complesso lavoro e sappiamo quanto possa avere ognuno dei manifesti del muto che appende alle pareti, sappiamo quanto si sia sforzato per portarci davanti agli occhi in 3D il cattivo Sacha Baron Cohen o il volto buono di papà Méliès, ma il suo mondo è quello di Brooklyn, dei gangster, della sperimentazione pura, del montaggio scatenato di Thelma, delle mille canzone che si fondono insieme.

Che ci fa a Parigi? Non sa neanche il francese. E' lui quello appeso alle lancette dell'orologio come Harold Lloyd, all'inizio di un nuovo secolo che seguita a guardare con nostalgia quello passato perché non sa realmente cosa ne sarà della nostra cultura e di tutto quello che abbiamo visto e vissuto. E, intanto, i pur bravi ragazzi di oggi, quelli che sanno giocare e aggiustare qualsiasi meccanismo, si domandano in sala se questo Georges Méliès sia mai esistito... In sala dal 3 febbraio. Comunque un grande film.

 

 

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