“LA TRANSAVANGUARDIA C’EST MOI” - A 31 ANNI DALLA BIENNALE DI VENEZIA CHE CONSACRÒ IL MOVIMENTO, BONITO OLIVA FA UNA MOSTRA CON 60 OPERE DI CHIA, CLEMENTE, CUCCHI, DE MARIA E PALADINO (MILANO, PALAZZO MARINO) - OMAGGIO A UN GRUPPO DI ARTISTI (“A VOLTE GELOSI DI LUI”) “CHE HA SUPERATO IL BLOCCO DELLE IDEOLOGIE, MENTRE L’ARTE POVERA È RIMASTA LEGATA ALL’IDEOLOGIA E ALLA CONTESTAZIONE. POI ABBIAMO VISTO COM’È ANDATA A FINIRE: DALLA CRITIQUE ALLA BOUTIQUE”...

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Terry Marocco per "Panorama"

Achille Bonito OlivaAchille Bonito Oliva

«La Transavanguardia c'est moi»: esordì così Achille Bonito Oliva, imitando Gustave Flaubert che s'identificava nella sua Madame Bovary, quando nel 1979 teorizzò con un saggio sulla rivista Flash Art il nuovo movimento artistico italiano. Lui per primo capì che era finita l'era dell'arte ideologica e iniziava l'edonismo reaganiano. «Si tornava alla pittura, al colore, alla sensualità, alla felicità: la Transavanguardia ha anticipato così gli anni Ottanta. Fu un matrimonio morganatico fra la manualità pittorica di Pablo Picasso e la concettualità di Marcel Duchamp» afferma il suo creatore.

Oggi, a distanza di 31 anni dalla Biennale di Venezia dove il critico napoletano lo consacrò ufficialmente, Palazzo Reale a Milano celebra il movimento con una mostra collettiva dal titolo Transavanguardia italiana (dal 24 novembre al 4 marzo 2012, catalogo Skira). Più di 60 opere fra le più importanti e storiche, provenienti da collezioni e musei di tutto il mondo, di Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Nicola De Maria e Mimmo Paladino, protagonisti di quella stagione di successo che a Panorama raccontano cosa è stata veramente. «Per la prima volta dopo il Futurismo, l'arte rappresentava quel che c'era intorno» sostiene Chia, fiorentino, 65 anni.

Testa dellartista cosmico di Nicola De Maria TransavanguardiaTesta dellartista cosmico di Nicola De Maria Transavanguardia

E intorno c'era il cambiamento: «Trans indica passaggio, transizione da una condizione all'altra. E questo successe all'arte alla fine degli anni Settanta. A Roma vivevamo in una sorta di colonialismo, celebrati erano solo gli artisti americani, la nostra arte restava un fenomeno locale. Noi, un po' per istinto, un po' per volontà, pensammo che si potesse tornare a praticare la pittura». Ed ecco la grande rivoluzione: dopo i cavalli in galleria di Jannis Kounellis, gli igloo di Mario Merz e le mappe ricamate di Alighiero Boetti, l'arte tornava alle origini. Con il neomanierismo di Chia, tra immagine e concetto, il recupero del primitivo e l'intreccio fra astrazione e figurazione di Paladino, la pittura visionaria di Cucchi, capace di sintetizzare lo spazio di Masaccio e la leggerezza di Osvaldo Licini.

Camion di Mimmo Paladino TransavanguardiaCamion di Mimmo Paladino Transavanguardia

Mentre Clemente si muoveva fra Oriente e Occidente, tra la secessione di Egon Schiele e la contemplazione indiana della propria immagine, De Maria creava immagini interiori ai confini della pura astrazione. Ed è lui, campano, 57 anni, sempre vissuto a Torino, che racconta: «Ricordo la fine degli anni Settanta, la paura a Torino di camminare per le vie del centro, il terrorismo e gli anni di piombo. La pittura era un modello alternativo a quello che offriva la società, era la poesia che fluiva nell'arte dopo periodi bui». Nomade e rivoluzionaria, ha dato classicità al Postmodern, come scrisse il critico Frederic Jameson.

«La Transavanguardia ha superato il blocco delle ideologie, mentre l'Arte povera è rimasta legata all'ideologia e alla contestazione. Poi abbiamo visto com'è andata a finire: dalla critique alla boutique» dice sferzante Bonito Oliva, che oltre alla mostra di Milano ha curato in giro per l'Italia, da Modena a Palermo, le personali di ognuno dei cinque protagonisti. Però non è mai stato un movimento ed è lo stesso Bonito Oliva a spiegarlo: «È stata una corrente, nata da un pensiero teorico».

Hand Game Sandro Chia TransavanguardiaHand Game Sandro Chia Transavanguardia

Nessun cenacolo di artisti, come racconta Paladino, 63 anni, nato a Paduli in Campania, che quegli anni li visse tra Benevento e Milano («E con qualche viaggio in America che allora ci sembrava uno sbarco sulla Luna»): «Non poteva essere un movimento, era fisicamente impossibile, alcuni di noi neanche si conoscevano. Ricordo che a Milano vidi un bellissimo e stravagante lavoro di Chia. Non lo avevo mai incontrato, ma riconobbi lo spirito scanzonato e ribelle che ci contraddistingueva ».

In quegli anni Paladino si confrontava soprattutto con De Maria: «Dopo il Futurismo credo che in Italia non ci sia più stato un movimento. Un movimento si oppone sempre a qualcosa d'altro, noi non ci opponevamo a nulla, anzi ci agganciavamo a quello che veniva prima». Chia invece era più legato a Cucchi: «A volte ci si incontrava a Roma, da Rosati o da Buccone in via di Ripetta, oppure di notte ci si vedeva in un locale in via dell'Oca, il Privé. Ci ritrovavamo senza ritrovarci».

E lo conferma Emilio Mazzoli, lo storico gallerista modenese che alla Transavanguardia credette fin dall'inizio e organizzò la prima mostra nel 1988: «Andavano d'accordo a gruppetti, l'unico che si staccò presto fu Clemente, andò subito in America. Achille lo aiutò a salire su un treno importante e oggi dovrebbe solo ringraziarlo. Achille ci mise anima e corpo, li promosse con tutti e tutto. Ma a volte gli artisti erano gelosi di lui, del suo modo di non sentirsi primus inter pares, era primus e basta».

A terra duomo di Enzo Cucchi TransavanguardiaA terra duomo di Enzo Cucchi Transavanguardia

Un padre padrone, che li definì «artisti aborigeni» (dal suo acronimo Abo)? «Non c'è un padre spirituale della Transavanguardia, Bonito Oliva fu un nostro compagno di viaggio. Un letterato più che un critico» secondo Chia. Cucchi, 62 anni, di Morro d'Alba, paesino della provincia di Ancona, ci scherza: «Macché padre, piuttosto fu la bambola gonfiabile della Transavanguardia. Ci toccò e dal suo tocco partì ogni cosa. Lui creò le parole di un avamposto spirituale, qualcosa che era necessario, che semplicemente era nell'aria. E noi fummo pronti ad afferrarlo».

La congiuntura economica di quegli anni fu assolutamente favorevole e Mazzoli vendette i primi quadri nell'88 a prezzi che oggi sembrano incredibili: «Da 200 a 800 mila lire, per lavori che oggi sono quotati oltre 200 mila euro». I magnifici cinque ebbero un successo impensato. La prima mostra fu a Basilea, poi si interessarono i tedeschi, arrivarono subito i grandi collezionisti, da Charles Saatchi a Bruno Bischofberger, e i quadri più importanti andarono lontano: alla Tate di Londra e allo Stedelijk di Amsterdam. «Trascinò il mercato, fece decollare anche le quotazioni di Morandi» dice ancora Mazzoli. «L'arte italiana dovrebbe accendere una candela alla Transavanguardia. Ma non gli è stata grata, per il nostro solito maledetto difetto: l'invidia».

 

 

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