“SYMPATHY” FOR APP - ANCHE IN ITALIA IL LIBRO DI OLIVIA SUDJIC DEFINITO COME IL PRIMO GRANDE ROMANZO DI INSTAGRAM - NEI SUOI GIORNI SENZA PRIVACY, DIPENDENTE DA APP E GEOLOCALIZZAZIONE, NELL'IMPOSSIBILITÀ DI DISTINGUERE VIRTUALE E REALE E DI VIVERE IL PRESENTE SE NON ATTRAVERSO UN FILTRO. ECCO COSA FANNO I CELLULARI ALLE NOSTRE ANIME 

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SUNG CHUL CHOI SUNG CHUL CHOI

Alessia Rastelli per La Lettura - Il Corriere della Sera

 

«Quando si sentiva più fatalista, Mizuko diceva spesso che i romanzi sono morti perché ormai abbiamo internet ovunque e possiamo scoprire immediatamente qualsiasi cosa vogliamo sapere, e questo tende ad affossare la trama».

 

''Sympathy'' della londinese Olivia Sudjic - uscito da alcune settimane in inglese e in tedesco, in arrivo a settembre in Italia per minimum fax - è un libro che sembra costruito apposta per proporre, pagina dopo pagina, una personale soluzione al tema della crisi d' ispirazione (e di lettura) in tempi di sovraccarico informativo. La risposta, originale, è proprio inglobare il sovraccarico, farne un tema e uno strumento della narrazione.

 

A incarnare il tormento creativo è nel libro appunto Mizuko Himura, uno dei personaggi principali, trentaduenne scrittrice giapponese che vive a New York. Il suo contraltare è Alice Hare, inglese di 23 anni, protagonista e voce narrante, adottata da bambina e arrivata negli Stati Uniti in cerca del suo passato.

 

Insicura, morbosa, sempre connessa, è persa nell'amore per Mizuko: il primo per un' altra donna (aspetto registrato semplicemente come una possibilità tra le altre, senza che diventi un tema) e un sentimento nato prima su internet che nella vita fisica. Alice ricostruisce in un memoriale i suoi intensi mesi a Manhattan.

 

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Ed è attraverso di lei, e il suo innovativo racconto, che Sudjic firma al debutto quello che la rivista americana «New Republic» ha chiamato «il primo grande romanzo di Instagram», una «storia di intimità online» per il «New York Times», una trama «smart di ossessione e tecnologia, che indaga su cosa i cellulari fanno alle nostre anime» secondo il «Guardian».

 

Internet e le sue ramificazioni - i social network, in particolare, sempre accessibili dallo smartphone - intessono effettivamente la storia dall' inizio alla fine. Presenti innanzitutto come strumenti che, entrati ormai nelle nostre vite, non possono mancare in un romanzo, come Sympathy , che voglia essere mimetico della contemporaneità. Come quando gli studenti di un convegno alla Columbia - primo incontro in carne e ossa tra Alice e Mizuko - sono ritratti «tutti intenti a scorrere freneticamente le dita sugli schermi che tengono in grembo».

 

Ma soprattutto - ed è la parte che più destabilizza - della rete viene rappresentata la possibile deriva. Non rinviata a un futuro distopico ma così vicina da poterci già scivolare. Viene in mente la serie, anch' essa britannica, Black Mirror sugli «effetti collaterali», a stretto giro, delle nuove tecnologie. Ma lo sguardo del libro è meno distaccato e satirico. Nel magma in cui sprofonda Alice, sentiamo di poter finire anche noi, i nostri figli o nipoti.

 

Nei suoi giorni senza privacy, dipendente da App e geolocalizzazione, nell' impossibilità di distinguere virtuale e reale e di vivere il presente se non attraverso un filtro. In particolare perché, a farla sbandare, non è lo smartphone (le tecnologie non vengono mai demonizzate in quanto tali) ma la delusione amorosa, il bisogno di considerazione, la solitudine. Fragilità a cui tutti siamo esposti e sulle quali l' uso alterato delle tecnologie può trovare terreno fertile.

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Il tema non è nuovo, da sempre ci si chiede se gli strumenti che creiamo finiscano per influenzarci. Ma la rappresentazione plastica di Olivia/Alice funziona.

 

E disturba. «All' inizio fu un' esperienza surreale avere in mano quel dispositivo» racconta la protagonista, ricordando il momento in cui ha spiato per la prima volta il cellulare di Mizuko. «Mi sembrava quasi di stringere il suo cervello, e lo tenevo così, con il palmo piatto e l' indice della mano destra leggero e veloce, come se il telefono fosse di gelatina, scivoloso».

 

Anziché produrre distacco, il digitale genera sensazioni corporee. A danno della vita. Al punto che anche un bacio - l' unico con Mizuko - diventa «quasi più eccitante guardandoci mentre ci baciavamo, di quanto fosse stato in sé», un «ricordo riprodotto quasi ogni giorno da quando è successo. Così tante volte che non so più se è successo davvero, iperreale, da squarciare in due tutte le cose».

 

Percepiamo lo spaesamento e l' asfissia. Ed è un peccato che, al livello del contenuto, l' abuso tecnologico venga fatto reagire quasi esclusivamente con la vicenda amorosa, in cui l' ossessione è di per sé una dinamica più scontata. Sarebbe stato interessante vederne le conseguenze in altri aspetti dell' esistenza.

 

Sympathy Sympathy

Nuova invece è la struttura narrativa, che funziona al contrario. Fin dall' inizio viene messo tutto sul piatto. E anche mentre si avanza tra le pagine vengono fornite di volta in volta tutte le informazioni necessarie. Poche sorprese, tantissimi dettagli e rimandi come in una ricerca su Wikipedia. L' effetto è un procedere rallentato, divagante, in cui ci sentiamo davvero, anche noi, immersi nel sovraccarico. «Volevo riprodurre il meccanismo di internet», esplicita l' autrice parlando a «la Lettura». Lo dice anche Alice a Mizuko: «Le storie devono essere un gioco di informazioni perfette in cui hai ogni possibile mossa a tua disposizione».

 

Il terzo livello attraverso cui il tema di internet si declina è quello delle scelte linguistiche, con i termini mutuati dalla tecnologia che trovano un altro canale per mostrare la loro pervasività. Diventando metafore di altro: «Sta succedendo tutto in modo naturale. Devo solo continuare a cliccare su ogni link per arrivare al successivo», dice Alice su quanto le accade dopo l' incontro con Mizuko. E descrive come un «download di ogni parte del corpo, più veloce di quanto ci si potesse aspettare», la crescita di un bambino nel grembo, «presto completamente formato, con narici e costole».

 

È Alice la detentrice di questo linguaggio. La stessa Mizuko segna le distanze.

«Io sono un' immigrata digitale. Tu sei una nativa», le ripete. E ancora: «Davvero non ti ricordi le catene di Sant' Antonio?

Mi sa che non sei cresciuta nella vita reale». «Sembrava ossessionata - dice Alice - con la mia generazione». In questo mettere in scena lo scarto, anche astioso, tra due età apparentemente giovani e vicine, eppure già lontane (i vent' anni della protagonista e i trenta del suo sfuggente oggetto del desiderio), Sudjic è sottile.

 

OLIVIA SUDJIC OLIVIA SUDJIC

Lei, nata nel 1988, è quasi al centro: «Ho l' età di internet - dice - ma ricordo i tempi del telefono fisso, in cui non c' era l' indipendenza comunicativa di oggi.

Scegliendo questi personaggi volevo anche mostrare quanto oggi i cambiamenti avvengano in fretta».

«Non capiscono cosa si può fare con internet - nota Alice a proposito di chi è nato prima di lei - o che non esiste una fine, una via d' uscita, che niente rimane privato né svanisce. È come l' onda, la parte dietro si mangia quella davanti». Ed è come il suo modo di raccontare, in cui la fine confina con l' inizio

 

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