MARCO BENEDETTO SI TOGLIE QUALCHE MACIGNO DALLE SCARPE E LO LANCIA CONTRO I COMUNISTI DI IERI, OGGI E DOMANI - DOPO LO SMEMORATO FASSINO, SULLA STORIACCIA DI BERLINGUER PRO-OCCUPAZIONE FIAT ARRIVA L’EX SINDACO DI TORINO DIEGO NOVELLI: \"Benedetto era un gran faccendiere che dava le dritte a tutti i giornalisti\" - L’EX ADDETTO STAMPA FIAT ALLORA RICORDA UN NOVELLI FAVOREVOLE ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DI SQUADRACCE IN CITTà E LA VOLTA CHE CHIESE AD AGNELLI IL SUO LICENZIAMENTO...

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Marco Benedetto per BlitzQuotidiano.it

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Ho scoperto che Piero Fassino non è il solo ad avere una specie di ossessione per le parole dette da Berlinguer a Torino in quel secondo lui fatidico 26 settembre 1980. Ieri ha parlato anche Diego Novelli, allora sindaco di Torino, con parole un po\' offensive anche se sulla linea del non può non averlo fatto piuttosto che so che l\'ha fatto.

Novelli, che il 31 maggio del 2011 compirà 80 anni, è stato intervistato sulla querelle da Stefano Caselli per il Fatto quotidiano e ha detto: \"Quelle frasi a Berlinguer furono estorte da un delegato della Fim, Liberato Norcia. Ma Benedetto era un gran faccendiere che dava le dritte a tutti i giornalisti che venivano a Torino! Mi sorprende che abbia l\'improntitudine di negare che una cosa del genere sia avvenuta\".

Benché un po\' timoroso di angustiare il mio prossimo con una storia vecchia e del tutto irrilevante sono costretto a tornare sull\'argomento, anche se uso forse impropriamente Blitzquotidiano.it per una vicenda che è anche personale. Anche se lo è solo in parte, perché ribadire alcuni punti di verità non è solo nel mio interesse. Chiedo scusa in anticipo, perché dovrò rievocare fatti e personaggi remoti, ormai cancellati dalla memoria dei più, che non so quanto possano interessare ai lettori di oggi.

DIEGODIEGO NOVELLI

Quando si guarda indietro non è mai bello, si finisce per rievocare vicende anche brutte, di sangue, ricordi dolorosi, il disgusto che ti danno le tortuosità e le ambiguità dell\'anima umana, le giravolte, le evoluzioni, i voltagabbana, i rivoluzionari di ieri oggi più o meno ambiguamente al servizio dei padroni o dei loro servi la cui uccisione allora approvarono, silenziosamente o esplicitamete. Riaffiorano sospetti impronunciabili quanto radicatissimi, memorie che avresti preferito tenere sepolte, come quella sera all\'obitorio, con Cesare Romiti e Luca Montezemolo, davanti al cadavere di Carlo Casalegno.

Anche se penso trattarsi di cose di scarso interesse per i più, scrivo non per l\'archivio della mia memoria, ma anche perché nell\'intimo il tormento che rivelano Fassino e Novelli è il tormento costante della sinistra italiana, che è ancora oggi sulle prime pagine dei quotidiani: l\'angosciato rapporto tra idee principi e forme di lotta, dove risieda il giusto e dove finisca il lecito, dove finisca la protesta e cominci la violenza. È un tema essenziale, un tema quasi esistenzale, lapidariamente posto da Giuseppe Giulietti, la cui capacità sintesi veneziana umilia la mia prolissità da regno sardo.

UmbertoUmberto e Gianni Agnelli

Le parole di Novelli sono abbastanza contradditorie, perché da un lato confermano che Berlinguer disse quel che disse, anche se la colpa viene data ai soliti diavoli dei metalmeccanici (la storia si ripete, oggi tocca alla Fiom, allora era la Fim), dall\'altro sostiene che non posso non averlo fatto, per definizione, perché ero un gran faccendiere (affermazione incauta, che riferita ad altri personaggi gli ha reso parecchio denaro dai giornali, alleggerendone le asprezze della vita in carcere) e davo \"la dritta a tutti i giornalisti\".

CARLOCARLO CASALEGNO

Il fatto che Berlinguer abbia detto: \"Le forme di lotta vanno decise tutte assieme e con il sindacato\" nulla toglie alla affermazione , riferita testualmente da Fassino: \"Noi staremo sempre politicamente e organizzativamente dalla parte dei lavoratori\", semplicemente subordina, secondo un elementare principio organizzativo, l\'azione alla copertura da parte delle organizzazioni sindacali, cui aggiunge, al buio, quella del suo partito. Non capisco perché Fassino ne parli tanto. Tra l\'altro l\'ho visto, da solo, alcuni anni fa, e non ha minimamente menzionato la vicenda. Chissà quale ombra è riemersa dal passato a tormentargli la coscienza.

Tra l\'altro devo dire che in quel momento specifico Berlinguer fece quel che doveva fare, l\'errore, usando le sue parole, veniva da lontano, ma è facile pontificare ora. Chiunque al posto di Berlinguer, con un minimo senso di orgaizzazione e di partito avrebbe fatto lo stesso. Davvero non riesco a comprendere il rimuginare di Fassino.

CESARECESARE ROMITI

Per un certo aspetto quel che dice Novelli, come la tesi di Fassino, mi fa un po\' montare la testa. Non mi sono mai visto come un gran personaggio, nel bene come nel male, sono sempre stato al mio posto, senza esibirmi troppo nella convinzione che ci sarà sempre un momento di declino e meno in alto sei salito meno male ti fai cadendo. In questo senso devo ringraziare sia Fassino sia Novelli.

Devo anche notare con delusione che dei comunisti all\'antica come loro due ignorino Marx e il fatto che la storia è fatta dai movimenti tettonici dell\'economia e della lotta di classe, non da un dispaccio di agenzia, preferendo invece tesi complottistiche più degne di Berlusconi, il quale peraltro sono convinto rappresenti l\'ultima evoluzione dei metodi Cominform.

In fondo un po\' di cultura Cominform c\'è anche nella tesi di Fassino, nell\'idea che una frase riportata in modo non completo dall\'Ansa, quella sola frase, possa avere determinato il corso degli eventi. Fassino dimentica che in quegli anni le simpatie dei giornalisti erano tutte per il suo partito, dimentica una mezza pagina della Stampa comprata nella campagna elettorale amministrativa del 1975 come pubblicità per chiedere il voto al Pci \"per una città migliore\". C\'erano decine di firme, molte di giornalisti della Stampa.

LucaLuca di Montezemolo

La Stampa non uscì, un giorno, mi pare del 1977 o 1978, perché Giorgio Fattori, il direttore che faticosamente riportò il giornale all\'onor del mondo dopo la caotica gestione del carissimo Arrigo Levi, volle che fosse pubblicato, notizia a una colonna una, in cronaca di Torino, l\'annuncio che avrebbe tenuto un comizio in città Giorgio Almirante, segretario del Msi, padre spirituale di quel suo erede politico Gianfranco Fini che oggi, in nome dell\'odio per Berlusconi è diventato un faro di cultura, di civiltà e di morale per tanta parte dei giornali di sinistra. Sciopero per non fare uscire il giornale, ripeto, per non annunciare un comizio.

La moglie di Fassino era giornalista nella cronaca della Stampa e non si agiva certo come quinta colonna della Fiat. Ho ricordato in altro pezzettone i salti mortali per avere un rapporto informativo corretto con la cronaca della Stampa, diretta da una carissima persona che sulla scrivania teneva idealmente, non fisicamente, il ritratto di San Diego (Novelli, appunto).

Alcuni anziani giornalisti o ex giornalisti della Stampa mi hanno fatto arrivare un messaggio di amarezza perché ho fatto di tutt\'erba un fascio, riferendomi a quei tempi lontani e hanno ragione e chiedo loro scusa. Alla Stampa non c\'erano solo quelli schierati senza remissione sulle posizioni estreme, non c\'era solo che era entrato perché si era distinto a portare lo striscione al corteo del primo maggio, non c\'era solo chi difese sul giornale di Lotta continua l\'uccisione di Casalegno. C\'era anche gente che dissentiva, quelli che oggi rientrerebbero nella grande schiera dei moderati, che all\'epoca erano una sparuta minoranza che nelle assemblee, allora come oggi mancando il voto segreto e adeguati regolamenti, erano obiettivamente nell\'impossibilità di dire parola.

EnricoEnrico Berlinguer con Piero Fassino nell\'autunno caldo - Da LA Stampa

Ho raccontato già di Sergio Devecchi, grande giornalista sindacale e grande uomo, sindacalista quando era pericoloso, irriverente al punto di scrivere un lungo articolo senza punteggiatura, riempiendo alcune righe di punti e virgole per poi dire al perplesso direttore Alberto Ronchey, il quale trovava sempre qualcosa da ridire sulla punteggiatura di Devecchi: \"Mettitecela da solo\", e parlo di quarant\'anni fa, quando i poteri di un direttore erano più assoluti di quelli dello stesso Padreterno.

Il clima all\'Ansa non era diverso, anche se la correttezza e la completezza dell\'informazione erano garantiti da autentici giganti del giornalismo come Sergio Lepri , Fausto Balzanetti, Bruno Caselli. Con loro c\'era poco spazio per ingerenze e manipolazioni, da tutte le parti. Ma a garantire il partito di Fassino c\'era un ampio schieramento di vecchi e nuovi fedi. Ricordo il misto di imbarazzo e ilarità con cui, nell\'ufficetto di Balzanetti e Caselli, ascoltai da un noto democristiano una lezione sull\'onestà, la grandezza e l\'inesorabile vittoria \"di noi comunisti\".

ArrigoArrigo Levi

Poiché la storia non è fatta né da un dispaccio dell\'Ansa né da una subitanea quanto opportunistica conversione lo ritrovai, qualche anno dopo, un\'altra volta pentito, schierato nel salone dell\'ambasciata di Francia, a gonfiare il petto perché vi appuntassero più agevolmente una decorazione di serie b della Legion d\'Onore: faceva il capo ufficio stampa di Andreotti.

Sul piano personale Novelli ha avuto nei miei confronti un atteggiamento ambivalente, bipartizan si potrebbe dire. Quando venne a Roma, da Carlo Caracciolo, a chiedere soldi per una sua iniziativa editoriale (voleva fare un settimanale di cronaca torinese) mi baciò con affetto, forse perché oltre a Caracciolo mi faceva da rosso angelo custode Mario Lenzi, il padre dei quotidiani locali dell\'Espresso, tanto grande quanto ingiustamente dimenticato. Io mi entusiasmai subito, Caracciolo e Lenzi signorilmente e affabilmente ascoltarono, studiarono e non fecero nulla e fu una grande lezione di stile e di editoria.

giorgiogiorgio almirante manifesto MSI DN

Novelli baciandomi non sapeva che io ero al corrente di un altro episodio, di segno opposto, che risale al luglio del 1980, alcuni mesi prima della vertenza. Non ne ho mai parlato, per rispetto a Novelli e perché il passato è meglio stia sepolto. Ma forse l\'esigenza di precisione determinata dalle affermazioni di questi giorni giustifica il rivangare.

Antefatto. L\'estate del 1979 era stata caratterizzata da episodi di violenza sindacale, dilagata fuori delle fabbriche fino agli uffici del centro. Ricordo che il direttore commerciale della Fiat auto, un mitissimo signore di nome Zuppet, venne spennellato di bianco da un commando entrato nel suo ufficio. I commandos del sindacato si muovevano per la città agevolmente e rapidamente su alcuni tram dell\'azienda minucipale al cui sequestro il legittimo proprietario pro tempore, cioè il sindaco di Torino Novelli, non aveva fatto alcuna obiezione.

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A settembre ci fu l\'uccisione dell\'ing.Ghiglieno, martire innocente per un\'etichetta sulla porta \"logistica\" che aveva tanto scaldato le menti dei terroristi. Come vissi quelle ore l\'ho già riferito. In quei giorni ebbi occasione di sentire più volte da Umberto Agnelli, allora capo esecutivo della Fiat, persona straordinaria per visione, capacità strategica e coerenza quanto sfortunata nella sua relativamente breve vita, che non bisognava sottovalutare l\'effetto deformante sulle menti malate dei terroristi della violenza in fabbrica e fuori. Si tratta di concetti che oggi sono patrimonio diffuso nella sinistra, ma allora pochi altri avevano il coraggio non di esporli ma di pensarli soltanto.

EmmaEmma Marcegaglia

Arriviamo a una conferenza stampa di Cesare Annibaldi, capo delle relazioni sindacali della Fiat, non ricordo bene se subito dopo la morte di Ghiglieno o dopo il licenziamento dei 61 operai. Era un pomeriggio d\'autunno, che ricordo tiepido , non so più se per il sole o per il riscaldamento anticipatamente acceso, nella saletta di corso Marconi c\'era un gruppetto di giornalisti. A un certo punto uno di loro chiede: \"E il sindaco che dice?\".

BerlinguerBerlinguer a Torino

Annibaldi sta per rispondere ma gli chiedo di lasciar parlare me. Sono sempre stato zitto, convinto che l\'addetto stampa non sia portatore di opinioni ma facilitatore del rapporto tra i giornalisti e chi in azienda sapeva di cosa si parlasse. Ma quella volta, dopo il lungo parlare del dottor Agnelli, mi sentivo preparato e dissi: \"Il sindaco? Ques\'estate lasciava circolare le squadracce per la città e poi ce lo siamo trovato a piangere sui cadaveri\". Parole forti ancora oggi, me ne rendo conto. Chiesero se potevano riferirle. Annibaldi e io dicemmo fate pure. Il giorno dopo i giornalisti presenti pubblicarono, ma senza attribuirle in modo specifico.

Passarono i mesi, arrivò fine luglio. Venni chiamato all\'ottavo piano di corso Marconi, dove avevano gli uffici gli Agnelli, Romiti e Montezemolo.
Vidi uscire dall\'ufficio dell\'avvocato Agnelli Diego Novelli, che nemmeno mi guardò, semplicemente perché non sapeva chi fossi. Poi uscì Umberto Agnelli, che ridendo agitò l\'indice come un maestro che redarguisce e mi disse compli: \"Ha combinato un bel casino\". Gli ricordai il suo lavaggio del cervello e si allontanò divertito.

Poi vidi Gianni Agnelli, tutto divertito anche lui. Sapeva che stavo per andare in vacanza nelle Filippine, dove all\'epoca imperava il dittatore Marcos, il marito di Imelda. Mi disse: \"Vada, vada nelle Filippine, lì sì che le insegneranno le pubbliche relazioni...\" e mi salutò.

DiegoDiego Novelli con Lech Walesa

Non ne seppi più nulla, ma per anni ho ricordato l\'episodio come esempio di classe e stile, cercando, nelle successive evoluzioni della ma vita, non solo professionale, di applicare sempre il principio che un capo deve sempre coprire i suoi uomini e le sue donne.

Infatti sono rimasto abbastanza deluso leggendo come Emma Marcegaglia abbia brutalmente scaricato il suo addetto stampa. Altri tempi? no, perché ancora di recente Romano Prodi, che non amo, ha dimostrato lealtà assoluta verso suoi uomini, Sircana in testa, che gli hanno procurato imbarazzo. Allora si può solo dire altra stoffa.

 

 

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