NAPULE E’…TUTTA PER PINO DANIELE – DA BAGLIONI A GIORGIA, DAI NEGRAMARO A RAMAZZOTTI: STASERA IL GRANDE OMAGGIO DELLA MUSICA ITALIANA AL SAN PAOLO: “E’ FORSE IL PIÙ GRANDE CONCERTO COLLETTIVO MAI ORGANIZZATO IN ITALIA” – LA BELLISSIMA LETTERA DI VENDITTI, I RICORDI DI JOVANOTTI E GIORGIA – LA MOGLIE DI PINO: "TANTI AMICI MI HANNO VOLTATO LE SPALLE" - VIDEO

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Malcom Pagani per www.vanityfair.it

A dirsi «Pinodanielista», il tassista non perde un istante: «Quando avevo quindici anni e Pino circa ventidue», racconta Pietro che macina chilometri sulla tangenziale e mentre traccia il profilo del suo eroe con la chitarra in mano, suona il clacson soltanto quando l’incidente sembra proprio inevitabile: «Vidi arrivare sulla scena questo ragazzo, diverso da tutti gli altri. Capiva le sofferenze della sua città, descriveva quello che osservava, sapeva cosa dire, in che maniera dirlo e a chi dirlo. C’è quel suo verso, Napule è ‘na carta sporca e nisciuno se ne ‘mporta in cui c’è tutta una storia secolare, senza che sia necessaria una parola in più».

 

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Dalle parti dello Stadio San Paolo – il tempio di Diego Armando Maradona e di tutti i deliri di popolo che nell’ultimo mezzo secolo, da Altafini a Mertens, hanno visto riempirsi e poi svuotarsi le poltroncine rosse di plastica che circondano il teatro dove il pallone era proscenio, sipario, filo teso verso il cielo – l’agitazione che precede l’evento dà la mano alla leggendaria flemma locale. Accadrà qualcosa. Qualcosa di grande. Ma accadrà tra qualche ora e, quindi, c’è ancora tempo. Visto dal campo verde, coperto da una passerella di plastica e dall’enorme palco che tra poche ore ospiterà gli oltre quaranta artisti accorsi per «Pino è», per ricordare Daniele, cantare le sue canzoni, darsi il cambio in una staffetta dilatata all’infinito – quasi cinque ore di concerto, trasmesse in diretta Tv su Rai 1 a partire dalle 20:35 – l’ovale dello stadio sembra ancora un cantiere aperto.

 

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Le casse degli strumenti, ovunque, a occupare gli angoli, i camion della televisione che sulla prima rete nazionale ospiteranno la diretta che entrano ed escono dal ventre dell’arena, l’inflessibilità delle corpulente, convincenti maschere all’ingresso: «Mi dispiace, ma il pass non basta, senza il documento non posso farla passare», gli amici di Pino che uno dopo l’altro arrivano per le prove, passano il check-point e vengono ospitati in camerini che altro non sono che tendoni di plastica messi in fila nell’antistadio. Il nome dell’artista appeso in bella vista, un separè mosso dal vento tra i mattoncini rossi dei bar che la domenica rifocillano le famiglie e le scritte in azzurro dei tifosi: «Vicenza merda» lasciate come memento di mai tramontate battaglie dialettiche, insuperate persino alle ultime elezioni.

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Qui la Lega vale meno del 3 per cento, i napoletani hanno la memoria lunga e come dice Marcello mentre aspetta un autografo purché sia, con taccuino, penna e smartphone pronto allo scatto: «Pino con Bossi aveva litigato fino a finire in tribunale». Oggi, in questa giornata in cui basta esserci per testimoniare un legame mai spezzato, l’unico giudizio è un affetto collettivo senza pentimento o assoluzione. Dal cielo filtra un sole pallido. Ogni tanto, tra una nota e l’altra evocare lo spirito di Pino Daniele è più di una suggestione e considerarne l’eredità spinge a riflettere sul patrimonio accumulato dal primo dei sei figli messi al mondo da un lavoratore portuale.

 

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La nave di Pino – gestisce Ferdinando Salzano di F&P, amico, da sempre, di Daniele – è partita e fin da subito l’adesione all’evento che vedrà l’incasso devoluto in beneficienza, è stata collettiva. Pino apparteneva a Napoli, Napoli apparteneva a Pino e le sue parole venate di blues, appartenevano a tutti quelli che per diverse ragioni sono planati qui. C’è la generazione che con Daniele è cresciuta, da Jovanotti: «Con Pino mi accadeva un fenomeno inspiegabile, dopo qualche minuto che stavo con lui mi veniva un accento un po’ napoletano» a Giuliano Sangiorgi: «Lo ascoltavo fin da quando ero bambino nella mia cameretta».

 

 

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C’è quella precedente, da Francesco De Gregori a Fiorella Mannoia: «Pino era burbero, ma sapeva farsi amare». C’è quella dei padri nobili e dei fratelli acquisiti come Ornella Vanoni, arrivata la sera prima e puntuale per le prove del suo duetto o Massimo Ranieri, elegantissimo, con occhiali e Panama, che con lo sguardo rivolto alle tribune vuote ricorda alcuni decenni di amicizia e una Napoli inevitabilmente diversa dai tempi in cui a Piazza Plebiscito, l’anno magico è il 1981, per ascoltare Daniele insieme al suo gruppo di amici (Tony Esposito, presente al San Paolo, i capelli biondi solo lievemente inclinati al bianco, a 45 anni di distanza) accorsero in duecentomila.

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Nella Napoli degli anni ‘70, una Napoli almodovariana, in cui la notte si abbracciava con il giorno, Pino si fece strada sul sentiero già tracciato dal sax di James Senese e con gli altri componenti di Napoli Centrale, Gigi De Rienzo, Ernesto Vitolo, Agostino Marangolo, partì dalle ristrettezze di Via Mezzocannone per conquistarsi il lusso di spendere la vita in ciò che amava. In pochi anni, con la chitarra sulle ginocchia, il ragazzino che divideva i banchi delle elementari alla Oberdan con Enzo Gragnaniello, si diplomava in ragioneria e intanto si faceva le ossa con i new jet, prese il volo. Impose le proprie contaminazioni aprendo la melodia autoctona alle influenze della world music per diventare, con la sua voce così diversa da tutte le altre, manifesto di un’identità che solcò i mari e si aprì alle collaborazioni più originali: Pat Metheny, Eric Clapton, Joe Bonamassa, Chick Corea. In quegli anni, Daniele viaggia, da pigro in apparente contraddizione con la propria natura e lavora come un pazzo.

alessandra amoroso alessandra amoroso

 

 

Supera i problemi fisici, le operazioni e i lettini dei medici con il sogno dello spartito, conosce amici come Renzo Arbore che gli danno una mano a uscire dall’apparente marginalità del dialetto e altri che lo considerano l’Eduardo de Filippo della musica, come Troisi. Con Massimo condivide un percorso profondo, tra Roma e Napoli. Una clessidra orientata da film e nottate trascorse a parlare e a suonare fino all’alba in un appartamento-Arca dei Parioli. Un’esperienza per dirla con Venditti: «Troppo breve da dimenticare». Con una coca-cola dietetica in mano: «Bevo direttamente dalla lattina, non c’è problema» oggi a Napoli c’è anche Antonello. Arriva direttamente da Verona. Ha coperto i settecento chilometri di distanza per amicizia. È felicemente stravolto. Dice, senza timore di esagerare che questa reunion che spinge a riflettere su ciò che lascia sul terreno l’assenza: «È forse il più grande concerto collettivo mai organizzato in Italia». Anche lui, come tutti gli altri, conosceva Pino da sempre e aveva imparato a leggere entusiasmi e silenzi, sorrisi e ombre dando a ogni spettro, il giusto peso. Diceva di sé Pino Daniele, mentendo quasi certamente, altrimenti non si spiegherebbe questo andirivieni di occhi lucidi e ricordi nitidi, di essere antipatico: «Sono napoletano, devo essere per forza simpatico?».

senese tony esposito senese tony esposito

 

Ma forse voleva soltanto affermare l’esistenza dei confini, la possibilità di scegliersi, di riconoscersi, di non sorridere a ogni costo, a tutti, per riflesso condizionato. Gli artisti che si danno il cambio si dicono «onorati» e si intuisce che non è una vuota formula, ma un tributo che parte da lontano. Si fa sera, le luci rosse e blu, miste al fumo, aspettano chi da Favino a Marco D’Amore fino a Eros Ramazzotti arriverà domani e danno il benvenuto sul palco alle voci di Emma, Baglioni e Giorgia: «Pensare che Pino lo conobbi dal commercialista».

 

Si fanno altri conti anche qui, conti sul giorno a venire e poliziotti arrivati dal nord, a braccia conserte, senza neanche una tazzulella è cafè a ristorarli, pensano già all’ordine pubblico del giorno dopo: «Andiamo a dormire presto, domani non ci fermeremo un minuto». Nell’inquietudine sottile del rimpianto, nel dispiacere di pensare che Pino, tradito dal cuore, se ne è andato tra la Toscana e Roma al principio del 2015, sarà comunque tutto pacifico e ritmato da battiti, emozioni, cori e accendini.

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A Daniele vedere gli amici scapigliati del tempo che fu nello stadio in cui esultò tante volte per i successi degli altri, avrebbe fatto piacere. «Quando suono a Napoli mi sento come se stessi rientrando nel flusso quotidiano, al centro della canzone popolare, ed è una bella sensazione perché solo lì capisco veramente quel che la mia musica ha significato per tanta gente» disse a Giuseppe Videtti di Repubblica, per poi aggiungere: «La verità è che forse a Napoli mi prendo un po’ più sul serio». Napoli ricambia e chissà che questa sera, la «città che non mantiene mai le sue promesse», per «trovare la carica», non veda un angelo in mezzo al traffico. «Se la mia fede è solo in quello che si vede» cantava Pino pensando forse a una notte come questa, una notte di famiglie e bambini, di generazioni e ponti invisibili: «forse i miei sogni nessuno mai li fermerà». Non c’è bisogno di interpretazioni. Stasera si recita a soggetto. Tra due giorni è sabato e senz’altro non si va a scuola.

 

2. LA LETTERA DI VENDITTI

Da ilmattino.it

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Caro Pino, ci vorrebbe un amico, e noi lo siamo stati, per questo poi non abbiamo suonato insieme, difendendo con pudore i nostri sentimenti, che venivano da lontano, dagli esordi, quando Roma e Napoli erano l’asse su cui stava cambiando la canzone italiana. 

 

Caro Pino, giovedì sarò nella tua città, nel tuo stadio, tra le tue canzoni, con i tuoi amici, con il tuo pubblico, la tua tribù.

 

Non so bene ancora che cosa farò, stiamo decidendo, però mi viene voglia di raccontare la storia di «Notte prima degli esami», che parla di te, parla di noi. «Io mi ricordo, quattro ragazzi con la chitarra/ e un pianoforte sulla spalla». Tu eri quello con la chitarra, come gli altri cantautori della scuola romana, ma eri anche quello con il pianoforte sulla spalla. A quei tempi facevamo tutto da soli, non avevamo manager e guidavamo i pulmini scalcagnati con cui viaggiavamo, scaricavamo strumenti e amplificatori. Tu all'epoca eri il bassista dei Napoli Centrale del grandissimo James Senese, dopo aver sistemato la tua roba, non so perché, credo che fossimo dalle parti di Cinecittà, ti trovasti a imprecare scaricando il piano che dovevo suonare io. Quante volte ci abbiamo scherzato sopra, Pinù.

 

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Perché amici lo siamo stati davvero, uniti dalla notte prima degli esami rappresentata dalla nostra gavetta in tempi in cui facevamo musica non certo di moda, lottavamo per farci ascoltare. Quello del San Paolo - sono orgoglioso di esserci - sarà l'omaggio più grande e sentito a un maestro della canzone d'autore italiana mai tenuto, e sì che in tanti ci avete lasciati e ci mancate. L'omaggio più condiviso, bello, sincero, sentito: quanti ne siamo, di quante generazioni, e praticamente a reti unificate, per dire quanto affetto c'era intorno a te, c'è intorno a te.

 

In qualche modo sarà il tuo ritorno al San Paolo, non a caso per il concertone del 7 giugno hanno scelto il titolo di «Pino è», obbligandoci a dare il meglio nel tuo nome, nel tuo segno, seguendo la tua lezione.

 

Mi avvicino al momento di salire sul palco con il groppo alla gola che sai, che condivido con un altro amico nostro, Zero. Eravamo tuoi vicini di casa, in Maremma, per quello ho avuto il privilegio di continuare a frequentarti anche in privato, non solo a Roma. Quella maledetta notte in cui te ne sei andato non c'eravamo, né io né Renato, chissà se ci fossimo stati, magari ti avremmo convinto a salire sull'ambulanza, a correre a Orbetello, a...

 

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Ma non ha senso starci a pensare, preferisco tuffarmi nello scrigno dei ricordi in cui avevamo messo insieme tante piccole emozioni-pietre preziose, non parlavamo di lavoro, anche con Dalla e De André mi è capitato di vivere così l'amicizia tra colleghi.

 

Caro Pino, ci vorrebbe un amico comune che mi ricordasse quando ci siamo conosciuti, mi pare da sempre, erano gli anni 60 quando ci ritrovammo insieme in un magico Natale napoletano, arruolati in una «Cantata dei pastori» storica. Erano gli anni del Teatro Instabile, che bazzicava anche De Gregori, come potevamo non esserci dopodomani, come potevamo sottrarci alla commozione che riempirà lo stadio, la notte, la città, le radio, la tv, l'Italia tutta quando verrà il momento di «Napule è». Non te lo dobbiamo dire noi che Napoli è Pino Daniele, te lo dice Napoli ogni giorno, ringraziandoti per averla cantata bella e diversa, complessa e orgogliosa, tra miseria e nobiltà.

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3. LA MOGLIE DI PINO DANIELE

Rachele Nenzi per il Giornale

Il 7 giugno lo Stadio San Paolo ospiterà quello che i moltissimi hanno definito il più grande grande tributo live della musica italiana a Pino Daniele, il cantautore scomparso improvvisamente il 4 gennaio 2015.

 

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Parole amare

A ricordare l'artista saranno in tantissimi, tra questi ci sarà anche la seconda moglie FabiolaSciabbarrasi. La compagna di Pino però ha confessato al settimanale Grazia che covo dell'amarezza verso qualche amico del passato.

 

L'ex modella - mamma di Sara, Sofia e Francesco, avuti con il cantante - ha ammesso di essere profondamento delusa che quelle persone che si professavano amici da una vita suoi e di Pino Daniele e che invece alla prima occasione le hanno voltato le spalle, come riporta Il Messaggero.

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