PERDUTI NELLA PHILOSOPHY FICTION DI \"LOST\" - DAI ’SOPRANOS’ A ’NIP/TUCK’, OGGI LE SERIE TV USA RAPPRESENTANO LA PUNTA PIÙ AVANZATA DI NARRAZIONE – UN SAGGIO SUL GRANDE ENIGMA DI “LOST” CHE METTE IN DISCUSSIONE L´ESISTENZA DEL MONDO ESTERNO…

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Gabriele Romagnoli per \"la Repubblica\"

EvangelineEvangeline Lilly

Esiste una philosophy fiction, una filosofia che ha per oggetto le serie televisive? Esiste ontologicamente, addirittura come necessità o, un gradino sotto, come possibilità? O è una riflessione sul nulla e come tale insignificante poiché il proprio oggetto non ha significato? Abbiamo dubbi più importanti di cui occuparci, bivi più cruciali a cui scegliere? Può essere. Ma può anche essere invece che si commetta, già nel non comprendere l´importanza del quesito, un macroscopico errore, non solo per snobismo, ma per malafede.

Poniamo qualche presupposto, accettato non solo dalla critica televisiva, ma da quanti fanno comunicazione e spettacolo con qualche cognizione di causa. Primo: le serie televisive made in Usa sono oggi la punta più avanzata di narrazione. Il \"grande romanzo americano\" lo hanno scritto gli autori dei Sopranos, di Six feet under e Nip/Tuck. Non esiste al cinema o in letteratura un personaggio con la forza del dottor House, non esiste una riflessione \"in diretta\" sulla politica e la giustizia paragonabile a 24 e mettendo insieme tutte le pellicole candidate all´Oscar negli ultimi 10 anni si raggiunge una complessità di riflessione sull´etica, lo spirito e il tempo pari a quella contenuta in tre fotogrammi di Carnival.

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Secondo: queste serie costituiscono oggi quel che chiamiamo \"immaginario popolare\", il punto di riferimento del dibattito tra spettatori evoluti, avviato dalla domanda: «Vedi anche tu Mad Men?». Terzo: alcune di queste serie hanno un dichiarato sottotesto, producono esperimenti di interazione con il pubblico, che non si limita a ricevere, ma reagisce (realizzando la visione dei post-strutturalisti francesi per cui leggere è riscrivere). Tre indizi, una prova.

E allora, chi ha ragione? Chi ancora snobba la philosophy fiction come una perdita di tempo, un inchinarsi della ragione su temi bassi? O Simone Regazzoni, autore di \"La filosofia di Lost\" (Ponte alle Grazie, in libreria da venerdì), quando scrive che esiste un processo irreversibile di trasformazione della filosofia davanti alla televisione «che è anche, a tutti gli effetti, una sua democratizzazione»?

Curioso, l´autore ora dichiara nome e cognome, mentre per \"La filosofia del dottor House\" aveva usato uno pseudonimo, Blitris, in coabitazione con due colleghi. A chiedere si scopre che gli altri han preferito tornare ai \"temi alti\" per non perdere il rispetto del mondo accademico.

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Anche Regazzoni è dunque a suo modo un sopravvissuto come quelli del volo Oceanic 815. Naufrago sulla sua isola si appassiona seguendo le tracce filosofiche di Lost, che son tante, alcune evidenti, altre nascoste sotto la superficie. Qualche esempio? Lampante: i personaggi hanno nomi di pensatori famosi (Locke, Rousseau, Hume, Bentham). Comprensibile: l´isola è una metafora. Di che cosa? Di Dio: se, alla maniera di Spinoza identifichiamo divinità e natura o se ci specchiamo nel personaggio di Locke che all´isola si rivolge come a una forma di provvidenza o semplicemente se sacralizziamo il suo essere deserta, quindi negazione del mondo, della realtà (e dunque, cosa? Fiction!). Per solutori più che abili: dietro l´intreccio elaborato di Lost si cerca di svelare l´enigma della verità negando che esista una soluzione.

Lost mette in discussione l´esistenza del mondo esterno. O quanto meno la maniera in cui è stato percepito, finanche pensato. Lost è l´apoteosi del relativismo. Scrive Regazzoni: «Ti mostra come il mondo non si dia se non all´interno di un punto di vista singolare: ciò che chiamiamo soggetto».

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In Lost gli Altri sono tali perché visti dalla prospettiva di quelli che tali non si definiscono. E se invece lo fossero? Il dubbio riguardo alla natura di Sayid (professione: torturatore iracheno) è l´esempio di come sull´isola non esista verità, ma solo percezione relativa. Tu torturi qualcuno per fargli confessare di essere un Altro, ma tu stesso eri creduto tale da qualcuno che non possiamo definire altro solo per non ingarbugliare una matassa che già non ha filo. Lo ha forse il mondo esterno? E chi lo tiene in mano: Dio, o l´isola?

Non c´è risposta. Lost ha solo domande. È un´entità che produce se stessa, generando mondi. Gli autori hanno scritto una fiction, ma gli spettatori l´hanno resa realtà, creando il sito della Oceanic Air (dove si legge che tutte le attività sono cancellate per le difficoltà insorte dopo il disastro del volo 815), il libro di cui i naufraghi leggono il manoscritto e perfino tentando di dare una forma (non una soluzione, quella è lost, perduta) alla \"equazione Valenzetti\".

E tutto questo ha meno a che vedere con la filosofia di un qualsiasi padiglione della Biennale di Venezia? Scrive Regazzoni: «Se non c´è risposta, allora non c´è rapporto, è la fine». Già, come va a finire Lost, che ricomincia il 6 aprile? Se non l´avete capito, non avete studiato: Lost è già finita. Se mai è stata.

 

 

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