READY, SPIELBERG ONE! - ‘UN MONDO DOMINATO DALLE CORPORATION MALVAGIE CHE CERCANO DI CONTROLLARE LA GENTE A FINI COMMERCIALI’. L’ULTIMO FILM DEL REGISTA DESCRIVE UN FUTURO DISTOPICO, IN REALTA' UGUALE A FACEBOOK: ‘HO VISTO CRESCERE I MIEI RAGAZZI CON LO SMARTPHONE, INTENTI A SCAMBIARSI MESSAGGI SUI SOCIAL ANZICHÉ GUARDARSI NEGLI OCCHI, GLI EMOTICON AL POSTO DELLE EMOZIONI. DOBBIAMO TORNARE ALLA VITA REALE’

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Gloria Satta per il Messaggero

 

steven spielberg steven spielberg

Sul palcoscenico dei David di Donatello, mentre riceveva tra le ovazioni il premio alla carriera dalle mani di Monica Bellucci, Steven Spielberg era il gigante del cinema che tutti conoscono. L’autore di film potenti e diversi che hanno emozionato, stupito, divertito, indotto a riflettere negli ultimi 40 anni: tra questi, Lo Squalo, E. T., Incontri ravvicinati del terzo tipo, Schindler’s List, Indiana Jones, Salvate il soldato Ryan, Lincoln, il recente The Post.

 

Ma visto da vicino, in un grigio pomeriggio romano, Spielberg è una persona affabile, semplice, felice di parlare tanto del proprio lavoro quanto dei sette figli e dei quattro nipoti: «Uno dei piccoli possiede già lo smartphone, come cambia il mondo!», sorride, in jeans e sciarpa di lana. Poi reclama una foto abbracciato ai giornalisti: «È la prima volta in vita mia che lo chiedo». Miracolo romano.

 

steven spielberg steven spielberg

Da noi per i David, il regista non ha rinunciato a rivelare, a 71 anni e dopo una carriera benedetta da tre Oscar, il proprio lato fanciullesco che dopo un film serissimo come The Post, inno alla libertà di stampa, lo ha portato a girare il fantasmagorico Ready Player One: ispirato all’omonimo best seller di Ernest Cline (edito in Italia da DeA Planeta), in sala il 28 marzo distribuito daWarner Bros, il film fotografa il presente oscillando continuamente tra mondo reale e realtà virtuale in un tripudio di effetti speciali, colori, azione, sorprese.

 

Si tratta di una favola ambientata in un futuro distopico quando un eccentrico idealista (interpretato da Mark Rylance), una specie di Steve Jobs dei videogame, crea un universo digitale chiamato Oasis dove l’umanità, assediata nel mondo reale da povertà, disoccupazione e sovraffollamento, può vivere in pace e sicurezza sotto forma di avatar. Ma questa isola felice viene presto assediata...

 

Cosa l’ha spinta, Spielberg, a raccontare questa storia?

«Il romanzo di Cline, uno dei più immaginativi che abbia mai letto. Era dai tempi di Jurassic Park che non mi imbattevo in una storia così popolare».

 

Cosa intende per popolare?

«Ready Player One racconta un futuro non troppo lontano. È questione di anni, ma qualcuno inventerà una realtà simile a Oasis, un luogo del cyberspazio in cui ricreare una rete sociale».

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Ma la realtà virtuale, dove si rifugia il giovanissimo eroe del film (l’attore Tye Sheridan) non le fa paura?

«No, può coesistere con il mondo reale. Io guardo le notizie online ma non rinuncio a cominciare la giornata leggendo i giornali. Adoro tenere la carta in mano».

 

Cosa pensa dello scandalo che ha investito Facebook per l’uso improprio dei dati personali?

«Ho letto solo i titoli sulle prime pagine. Ma sono convinto che la privacy sia l’ultimo bastione sacro della libertà. E il mio film, pur essendo un prodotto di evasione, contiene un ammonimento su quello che potrebbe accadere. Il cattivo deciso a rubare i dati degli utenti di Oasis per contaminare quell’universo puro con la pubblicità e le offerte commerciali deve farci riflettere».

 

Su cosa?

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«Su un mondo dominato dalle corporation malvagie che cercano di controllare la gente a fini commerciali. E sul fatto che stiamo perdendo di vista la realtà e il contatto personale. Ho visto crescere i miei ragazzi con lo smartphone in mano, intenti a scambiarsi messaggi sui social anziché guardarsi negli occhi, gli emoticon al posto delle emozioni. Dobbiamo tornare ad affrontare la vita nella dimensione reale».

 

Lei, da ragazzo, come evadeva dalla realtà?

«Sono nato nell’era pre-televisiva e, in casa, la sera ci sedevamo ad ascoltare la radio. La guardavamo addirittura! Poi, con l’arrivo della tv grande seduttrice, come la chiama Marshall McLuhan, abbiamo smesso di uscire. Il cinema, per sopravvivere, ha dovuto rinnovarsi tecnologicamente. Ma a pensarci bene, la mia fuga dalla realtà era la lettura».

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Cosa pensa dei movimenti anti-molestie Mee Too e Time’s Up?

«Mia moglie Cate e io siamo finanziatori di Time’s Up che fornisce aiuto legale alle donne molestate. Soprattutto a quelle non famose che subiscono gli abusi sul lavoro. Hanno il coraggio di parlare, vogliamo aiutarle a difendersi».

 

È vero che, sul set di ”Lo Squalo”, si è assentato l’ultimo giorno di riprese per paura che la troupe in segno di ”festa” la gettasse in mare?

«Sì! Lo Squalo andò benissimo. E siccome sono superstizioso, sono sparito anche all’ultimo ciak di Incontri ravvicinati. Altro successo. Ho ripetuto il rito quando ho girato 1941, che però è stato un flop: da allora sto sul set fino all’ultimo minuto».

 

Girerà in Italia ”Il rapimento di Edgardo Mortara” sul bimbo ebreo convertito al cattolicesimo nel 19mo secolo?

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«Certo, lo ambienterò a Roma e ho già scritturato Mark Rylance per la parte di Papa Pio IX. Ma non ho ancora trovato il piccolo protagonista, che deve avere 6-7 anni».

 

Cosa la lega a Roma?

«Venni qui nel 1973 per promuovere Duel. Era il mio primo film e il mio primo viaggio fuori dagli Usa. All’Hotel Hassler si presentò Fellini. Mi disse: intrattenere il pubblico è bello, ma lo è ancora di più intrattenere se stessi. Non l’ho mai dimenticato».

 

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