RUSIC, DAL CAMPO PROFUGHI ALLA MILANO DA BERE: ''QUANDO CONOBBI CECCHI GORI MI DISSE: 'SE VUOI FARE L'ATTRICE TI DEVI FAR VEDERE CON UN PRODUTTORE'. MA C'ERA UNA COSA CHE MI AVREBBE DOVUTO INSOSPETTIRE'' –  ''WEINSTEIN NON MI PIACEVA. CON VITTORIO ORA C’È UN BEL RAPPORTO. IL PADRE MARIO APRIVA LA NOSTRA CAMERA DA LETTO E...'' – FOTO E VIDEO HOT

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RITA RUSIC

RITA RUSIC

RITA RUSIC

 

Roberta Damiata per “F”

 

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L’appuntamento con Rita Rusic, è in un bar nel centro di Roma. Arriva con il taxi e mentre scende un paio di ragazzi si girano a guardarla a bocca aperta. Indossa jeans, una maglietta e gli immancabili sandali tacco dodici. Ci sediamo e ordiniamo due caffè.La prima domanda è scontata.

 

A che età ha indossato le prime scarpe con il tacco?

“Ero molto piccola. Provavo di nascosto quelle di mia madre anche se poi giocavo soprattutto con i maschi. Non dimenticherò mai la faccia desolata di mio padre che diceva: ‘Non diventerà mai una femmina’”

 

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Come erano i suoi genitori?

“Mia madre ci ricordava i doveri, mio padre invece era la leggerezza. Cantava e scherzava molto. Tra loro c’era tanta attrazione fisica. Io e mia sorella lo percepivamo ma vivevamo la cosa in modo naturale. Vengo da una cultura slava, diversa da quella italiana. Ho innato il senso di naturalezza per il sesso vissuto senza malizia. Mio padre mi ha sempre detto: ‘Se vuoi sapere qualcosa degli uomini non chiedere a tua madre, chiedi a me’”.

 

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La sua famiglia si trasferì poi in italia

“In un campo profughi perché avevamo chiesto asilo politico. Fu dura. Abitavamo in una stanza minuscola con il bagno in comune. Noi bambini per giocare facevamo a gara a chi raccogliesse più mozziconi di sigarette.”

 

Poi è stata anche in collegio

“In quel periodo ho pianto tutte le lacrime che avevo, forse per questo che oggi non ho più voglia di piangere. Ci sono però anche ricordi divertenti, come le minigonne che le suore mi allungavano scucendo l’orlo.

 

RITA RUSIC VITTORIO CECCHI GORI RITA RUSIC VITTORIO CECCHI GORI

Finite le medie, ci trasferimmo a Busto Arsizio, ma era una città di provincia. Quando conoscevo qualcuno la frase frequente era “Anche la mia cameriera è slava”. Pur di andare a Milano scelsi la scuola da odontotecnico anche se mi faceva un po’ schifo l’idea dei denti. A 16 anni cominciai a fare la modella”.

 

A Milano incontrò Cecchi Gori

“Venni a sapere dall’assistente di Celentano, che stavano cercando modelle per il film “Asso”. Decisi di provare. Sul set c’erano Castellano e Pipolo, Celentano, Edwige Fenech, e anche Cecchi Gori.

 

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Mi invitarono a pranzo e Vittorio ci provò subito: ‘Se vuoi fare l’attrice ti devi far vedere con un produttore - mi disse - devi venire a Buenos Aires con me’. Pensai: ‘Ammazza che furbo questo!’. Quel giorno presi anche il caffè, ma dato che sono allergica cominciai ad avere l’affanno. Lui mi guardava come per dire ‘Guarda che effetto che gli faccio’”.

 

Cosa la colpì di lui?

“La sua sfrontatezza, il suo lato spiritoso e un po’ infantile”.

 

All’epoca Vittorio abitava ancora con i genitori

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“Sì, avrei dovuto insospettirmi”.

 

Lui aveva 39 anni, lei 20, una bella differenza

“Conoscevo poco il mondo. Con Vittorio invece frequentavo persone più grandi, la cosa mi affascinava. Io ero solo una ragazza che andava all’Università”.

 

Che però non ha finito

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“Un grande pentimento, ma Vittorio era molto geloso. Telefonava ogni giorno per sapere se ero a casa. Il maggiordomo mi diceva: ‘Ha telefonato il Signorino Vittorio’ e io: ‘Di nuovo? E che cosa voleva?’ ‘Sapere se era a casa’. Se non c’ero lui faceva contare le mie valigie per assicurarsi che non me ne fossi andata”.

 

Come erano i genitori di Vittorio?

“Il padre era un uomo esuberante, apriva la porta della nostra camera da letto come fosse la sua. Entrava e cominciava a parlare di lavoro. Si facevano certe litigate. Ogni sera si ripeteva la stessa scena: ‘Come è andato quel film? Quanto ha incassato?’.

 

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Se la mattina dopo cantava l’opera, le cose erano andate male, se invece era tutto incazzato allora aveva incassato bene. Chiedevo a Vittorio: ‘Cosa è successo? E lui: 'S’è fatto cento milioni!’. E lo diceva scuotendo la testa come fosse una tragedia.

 

La madre invece non mi permetteva di avere niente appeso. Dovevo essere provvisoria in quella casa. Tenevo i vestiti in valigia e solo quando usciva potevo farmi stirare qualcosa. Una volta venne a trovarci Barbara D’Urso, io mi scusai per le valigie, quando alzai gli occhi vidi mia suocera davanti alla porta. Dal giorno dopo, mi concesse un appendino. Quella casa era un altro collegio, un altro campo profughi”.

 

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Cosa ricorda del giorno del suo matrimonio?

“Ero in ritardo, Vittorio chiamava in continuazione. Arrivata fuori dalla chiesa al Gianicolo, tra le lacrime dissi a mio padre che non volevo più sposarmi. Qualcuno avvertì Vittorio che venne a prendermi. Continuavo a ripetergli, ‘Entro ma non firmo’.

 

Sull’altare mi disse: Piantala di fare la ridicola, firma e non rompere, tanto sei sposata lo stesso’. Durante il ricevimento successe una cosa strana: mi si spezzò in due il tacco dalla scarpa. Lo presi come un presagio”.

 

Con il matrimonio lei cominciò  a lavorare nell’azienda di famiglia

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“In realtà avrei voluto fare la cantante, ma Vittorio me lo impedì. Capii che per me non c’erano altre possibilità se non all’interno dell’azienda. Iniziai a lavorare su opere prime, e nuovi scrittori. Non figurava il mio nome, ma tutti riconoscevano il mio lavoro”.

 

Non si fidavano di lei?

“Mario, il padre di Vittorio, era geloso del suo lavoro. Per il primo film che ho prodotto, (Storia di una Capinera” con la regia di Franco Zeffirelli ndr) successe una tragedia.

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Durante la proiezione si alzò e uscì. Un’altra volta eravamo a Palazzo Vendramin a Venezia per il Festival quando arrivò la telefonata dell’allora direttore Gillo Pontecorvo. Ci annunciava che uno dei nostri film aveva vinto il Leone d’Argento. “E’ il nome di un animale” disse.

 

Quell’anno avevamo in concorso ‘Il Postino’, di Massimo Troisi, ‘L’America' di Gianni Amelio, ‘Il branco’ di Marco Risi, e infine “Il Toro” di Mazzacurati unica mia produzione. ‘Il Branco!’ fece subito Vittorio’. E io: ‘Il branco non è un animale, semmai Il Toro”, ‘Ma che cosa stai dicendo? Zitta che non capisci niente’. Con mia grande felicità vinse “Il Toro”. Mi odiarono. In quel momento l’idea del mio successo era troppo grande da sopportare per loro”.

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Nel ’96/’97 la Cecchi Gori era all’apice

“Feci il conto di quello che avevamo incassato: oltre duecento miliardi con tre film: ‘Il Ciclone’, ‘Fuochi d’artificio’ e ‘La vita è bella’. Pensai: ‘Potrà solo peggiorare!”.

 

Che ricordo ha di Benigni e de “La vita è bella”?

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“Lo adoravo. Appena letta la sceneggiatura, con Vittorio capimmo subito che la storia era pazzesca e che il film avrebbe lasciato il segno. Però non ero convinta del gruppo con cui lavorava Benigni, così gli suggerii, per fare il salto di qualità Mario Cotone che aveva lavorato con grandi registi. Fu un successo mondiale coronato dall’Oscar.

 

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Anche se poi, Gilles Jacob direttore del Festival di Cannes, non lo voleva in concorso perché da francese considerava Benigni un commediante. Io e Harvey Weinstein, a cui vendemmo la distribuzione mondiale, faticammo tantissimo ad imporlo. Nonostante questo, quando mi separai, chiamai Benigni da Los Angeles perché proiettavano un suo film, mi disse che non c’era posto in sala. Ci rimasi molto male non lo facevo così piccolo e borghese”.

 

Weinstein, ha mai tentato un approccio con lei?

“Sessualmente mai. Non ero il suo tipo. Amava le ragazze più minute e fragili. A livello lavorativo andavamo d’accordo, era lucido e intelligente, ma non mi piaceva a livello umano, perché era un arrogante”.

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Il ’97 fu un anno d’oro per il lavoro, ma non per il suo matrimonio

“Fu molto brutto. Dicevo a Vittorio: ‘Io e te insieme facciamo tre, da soli facciamo mezzo, non fare l’errore di unire la vita privata con quella lavorativa’. Invece, la prima cosa che fece fu quella di togliermi il giocattolo, con la speranza che potessi tornare indietro. Ma a quel punto della nostra vita, con il successo che avevamo avuto, non ci riconoscevamo più. Me ne andai anche se sapevo che avrei perso tutto”.

 

Chi le è stato vicino?

“La grande forza mi è venuta dalla famiglia, amici pochi. Angelo Perrone, il mio press agent, fu l’unico che si licenziò dalla Cecchi Gori per me.”

 

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Ha ricominciato sempre dal mondo del cinema.

“Con grande difficoltà. Avevo tutte le porte chiuse, poi è arrivata la crisi e ho mollato. Sono andata a Miami per dimenticare tutto, un’altra volta da profuga. Quando sei abituata bene, tornare indietro è difficile.

 

Però a Miami mi sono anche divertita, e sono tornata una ventenne. Ho aperto tre Concept Store di abbigliamento con un’amica. Sono contenta, ma se devo dire che il mio cuore batte per la moda proprio no”.

 

Per cosa batte?

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“Sono quattro anni che sto cercando di realizzare un film che ho nel cassetto. Anzi scriva così: Rita Rusic cerca un miliardario che abbia lo spirito un po’ folle per dar vita ad un sogno”.

 

Non un miliardario per fidanzarsi?

“No. Puoi essere incosciente per qualche mese ma poi basta. L’importante però è cercare di essere felici, per il resto, io so bene cosa voglio: un miliardario per fare il mio film!”.

 

Si parla di un riavvicinamento con il suo ex marito

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“Quando si è sentito male, erano dieci anni che non lo vedevo. Con lui ora c’è un bel rapporto. Quello che mi ha colpito di più quando era in rianimazione imbottito di farmaci, erano le cose che diceva. Senza senso per gli altri, che però io capivo, perché sono la testimone storica del suo passato.

 

Quando lui parla con me, si sente a casa. Poi ha le sue amichette, la sua vita, come io la mia. Ma la cosa bella è che nonostante il rapporto orribile che c’è stato dopo la separazione, abbiamo recuperato la capacità di comunicare. Inoltre c’è qualcosa di profondo che ci lega: il futuro dei nostri due figli. Tutto il resto sono cose da libro Harmony”.

 

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