1. SE STATE GODENDO PER LA DECISIONE DI APPLICARE IL TETTO DI STIPENDIO DI 240 MILA EURO A TUTTI I DIPENDENTI RAI, COMPRESO GLI ARTISTI, FERMATEVI UN SECONDO A RIFLETTERE
2. QUESTO LIMITE METTE LA TV PUBBLICA IN CONDIZIONE DI NON ESSERE PIU’ COMPETITIVA: LA PUBBLICITA’ E I VARI CARLO CONTI EMIGREREBBERO ALTROVE (MEDIASET, SKY, DISCOVERY)
3. TRANQUILLI: LA PALLA ORA PASSA AL TESORO CHE, CON UNA CIRCOLARE INTERPRETATIVA, FISSERA’ UN TETTO AI COMPENSI, MA NON COSÌ RIGIDO COME QUELLO ORA IN VIGORE
4. UN REGALO ALLA RAI? NO, IL PROBLEMA E' IN ALCUNE FRA LE CONTROLLATE. ECCO PERCHE' 

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1 - CAOS RAI PER I COMPENSI

Paolo Conti per il “Corriere della Sera”

 

RENZI CAMPO DALL ORTO RENZI CAMPO DALL ORTO

Il messaggio dei vertici Rai al ministero dell'Economia, azionista della tv pubblica, è chiarissimo: se applicassimo davvero il tetto di 240 mila euro annui per i contratti con i divi e conduttori (da Carlo Conti a Fabio Fazio, da Piero e Alberto Angela a Bruno Vespa, da Antonella Clerici ad Amadeus) la tv pubblica uscirebbe di fatto dal mercato televisivo per abbandono del campo da parte dei volti più noti.

 

È il senso, non esplicito ma chiaro, del voto del Consiglio di amministrazione riunito ieri sotto la presidenza di Monica Maggioni, che ha «dato mandato al direttore generale Antonio Campo dall'Orto di procedere all'applicazione del limite a far data dal mese di aprile se, nel frattempo, non sopravverranno i richiesti elementi interpretativi». La storia è nota. C'è di mezzo la legge 198 del 26 ottobre 2016 che contiene anche la «Procedura per l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale».

 

CAMPO DALL ORTO CAMPO DALL ORTO

All'articolo 9 si precisa che il tetto di 240 mila euro annui previsto dall'articolo 13 della legge 89 del 23 luglio 2014 sulla competitività e la giustizia sociale, che stabilisce proprio a 240 mila euro annui il limite massimo alle retribuzioni del personale pubblico e delle società partecipate, vale anche per «gli amministratori, il personale dipendente, i collaboratori e i consulenti» della concessionaria del servizio pubblico, cioè la Rai.

MAGGIONI MAGGIONI

 

Anche nella penultima seduta, poco prima di Sanremo, il Cda di viale Mazzini aveva sollecitato di nuovo al ministero dell'Economia un «supporto interpretativo». La nota emessa ieri sera dalla Rai lascia trapelare tutto il timore dei vertici: applicando la legge si rischia di trasformare la Rai in una tv priva di volti noti: «Il tentativo è stato proteggere l'azienda dalle pesanti ricadute che un'applicazione immediata del limite retributivo sulle collaborazioni artistiche avrebbe avuto sull' intero equilibrio aziendale, sulla sua redditività e capacità di operare sul mercato».

 

ANZALDI ANZALDI

A premere per l'ordine del giorno sono stati molti Consiglieri di amministrazione impensieriti da una prospettiva per loro pericolosissima: magari votare a favore di un contratto milionario di un divo e poi ritrovarsi con una richiesta di danni erariali da parte della Corte dei Conti. Il voto in Consiglio ha aperto un fronte politico in cui, per una volta, un esponente del Pd come Michele Ansaldi si trova perfettamente allineato con la posizione di Renato Brunetta, Forza Italia, e quella di Roberto Fico, M5S.

 

roberto fico luigi di maio roberto fico luigi di maio

Tweet di Michele Ansaldi: «Tetto a stipendi Rai: promessa mantenuta. Leggi vanno applicate. Ministeri hanno compito di governare e non di dare pareri. Stop chiacchiere». Tweet di Brunetta: «Bene Cda #Rai. Rispettare la legge e tetto stipendi a 240 mila euro anche per le star. Stop ai privilegi con soldi canone italiani». Fico su Facebook: «Ho chiesto e insistito senza sosta anche su questo punto. Le cose arrivano con un lavoro serio e quotidiano. Teniamo alta la guardia perché non finisce qui».

 

maria de filippi carlo conti dentiere maria de filippi carlo conti dentiere

L'ex presidente della Rai, oggi conduttrice di «In ½ ora», Lucia Annunziata, annuncia subito il suo sì: «Non c'è problema, è una legge dello Stato, una decisione del Cda Rai, io obbedisco. È ovvio che si lavora per una azienda che ha il diritto di decidere come quando pagare, trovo anche giusto che il servizio pubblico offra un pagamento inferiore a quello che è il mercato». Ed è proprio questo il punto: se il servizio pubblico pagherà molto meno rispetto a Mediaset o a Sky, chi sceglierà di restare alla Rai? «Sono fiducioso che si troverà presto una soluzione» ha commentato Bruno Vespa. Le cifre sono note da tempo.

 

Antonella Clerici percepirà per il contratto settembre 2016-settembre 2018 ben 3 milioni di euro lordi. Cioè 1,5 milioni, quasi come Flavio Insinna. I 650 mila euro per la conduzione di Sanremo da parte di Carlo Conti hanno scatenato una tempesta politica a cavallo del festival. E si potrebbe continuare. Applicata la legge, cosa diventerà la Rai senza i divi? Attirerà ancora pubblicità? Resterà sul mercato? La parola, da adesso in poi, al ministero dell' Economia.

antonella clerici adolfo panfili eva tremila antonella clerici adolfo panfili eva tremila

 

2 - "SCELTA OBBLIGATA" CHE EVITA I RICORSI ORA IL CERINO PASSA AL GOVERNO

Alessandro Barbera per “la Stampa”

 

La decisione che potrebbe cambiare il corso della storia della televisione pubblica era inevitabile. Articolo 1 ter legge 26 ottobre 2016, numero 198: «Il limite massimo retributivo di 240 mila euro annui [...] si applica rispettivamente agli amministratori, al personale dipendente, ai collaboratori e ai consulenti».

 

Benché ci fossero pareri legali contrastanti, il Consiglio di amministrazione ha deciso di non correre rischi. Se non avesse applicato immediatamente quel limite, i vertici di Viale Mazzini rischiavano l'accusa di danno erariale da parte della Corte dei Conti. Poco importa se la Rai non è un ministero, e se i cachet di molti dei suoi collaboratori sono affidati al mercato. La norma votata dal Parlamento lo scorso autunno parla chiaro: chiunque lavori per la Rai, si tratti di un dirigente o di Mika, non deve ricevere un euro in più di quanto concesso al presidente della Repubblica.

 

Il primo tentativo per costringere la Rai a essere trattata come una qualunque azienda pubblica risale al decreto salva-Italia del 2011. Il governo di allora - era quello di Mario Monti - lasciò fuori dalla norma le società pubbliche quotate in Borsa: impossibile imporre un limite del genere ad aziende che sul mercato pagavano i manager cifre ben più alte di quelle. Rai e Ferrovie si trovarono in mezzo al guado: non erano quotate in Borsa, e però operanti in un mercato nel quale quel limite avrebbe potuto creare grossi problemi.

 

Così si trovò un escamotage: permettere l'esclusione anche a chi accede al mercato con una emissione obbligazionaria. La decisione di ottobre ora non lascia scampo: la norma riguarda precisamente «il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale» e scrive esplicitamente che il limite dei 240 mila euro non è derogabile come prevedeva la norma del salva-Italia.

 

Fonti della Rai sostengono di aver chiesto più volte e per iscritto al Tesoro un chiarimento, l'ultima volta l’8 febbraio. Nonostante uno dei membri del Consiglio sia nominato direttamente dal Mef, la risposta sarebbe stata un rumoroso silenzio. A prima vista la delibera di ieri sembra la presa d'atto di una decisione irreversibile e senza appello.

 

In realtà si tratta del classico gioco del cerino: «Credo che il Consiglio abbia voluto in qualche modo invitare il ministero del Tesoro a una decisione di buon senso», dice Bruno Vespa. È così: non è un caso se, un minuto dopo la decisione, il consigliere Arturo Diaconale spiegava alle agenzie che la Rai «spingerà perché la legge venga corretta». È difficile però immaginare che i partiti accettino di fare marcia indietro, per di più in questo clima ormai elettorale.

 

È possibile invece che nel frattempo intervenga il Tesoro con una circolare interpretativa che ponga sì un tetto ai compensi, ma non così rigido come quello ora in vigore e tale da far fuggire verso altri lidi la gran parte dei volti noti del servizio pubblico. Secondo le informazioni che trapelano da via XX Settembre, di una circolare del genere si discute da molto tempo, e si sarebbe resa necessaria per le ragioni opposte a quelle della Rai: in alcune fra le aziende controllate al cento per cento dal Tesoro ci sarebbe in atto una rivolta per via del tetto troppo basso.

 

Qualunque sarà la decisione di Padoan e Gentiloni avranno il plauso di Forza Italia: per Mediaset imporre un tetto ai compensi delle star è un' ottima occasione per fare acquisti a buon mercato o, alla peggio, per abbassare cachet diventati insostenibili persino per quello che una volta era mondo dorato dei Berlusconi.

 

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