1. VOLANO GLI STRACCI TRA GIANCARLO CASELLI E LA DURA E PURA SABINA GUZZANTI, MORBIDA SOLO CON I MADOFF DEI PARIOLI: “PRIMA DI CRITICARE, CASELLI SI GUARDI IL FILM!” 2. L'EX PROCURATORE DI PALERMO NON ARRETRA: “INACCETTABILI I DILEGGI GRATUITI”. E PROVA A SALVARE DALLA BURIANA “IL FATTO QUOTIDIANO”, DOVE SCRIVE IL FIGLIO STEFANO 3. TRA I DUE LITIGANTI, IL TERZO È MARCO TRAVAGLIO: COSTRETTO STAVOLTA A MEDIARE 4. INVECE DI CAVALCARE LO SCAZZO, CHE VEDE CONTRAPPORSI DUE MOSTRI SACRI DELLA SINISTRA FATTISTA, IL VICEDIRETTORE DEL “FATTO” PROVA A GETTARE ACQUA SUL FUOCO: “IL FILM NON METTE ASSOLUTAMENTE IN DISCUSSIONE I MERITI EROICI DI CASELLI”

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1. LA TRATTATIVA, SABINA GUZZANTI REPLICA A GIAN CARLO CASELLI. E MARCO TRAVAGLIO PROVA A MEDIARE  

Da “L’Huffington Post

 

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E' una replica piccata quella di Sabina Guzzanti all'ex procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli. Uno scontro a distanza in cui si inserisce Marco Travaglio che, nel suo editoriale, prova a pacificare gli animi. Ma andiamo con ordine. "Le sue proteste - scrive oggi sul FQ la Guzzanti, regista del docu-film La Trattativa, di cui è stata trasmessa la clip della 'discordia' alla festa del Fatto quotidiano - mi hanno molto sorpresa", riferendosi agli attacchi di Caselli al film.

 

la trattativa di sabina guzzanti 7 la trattativa di sabina guzzanti 7

Guzzanti scrive che secondo Caselli (che si insediò a Palermo il giorno della cattura del boss Totò Riina) "avrei utilizzato una 'tecnica da cabaret per raccontare la pagina grave e oscura come la mancata perquisizione del covo'. Nel corso della mia lunga carriera non ho fatto che ricevere lezioni non richieste su cosa sia la vera satira e quali siano i suoi presunti limiti. Non mi aspettavo che anche il dottor Caselli volesse impartirmene una. Il film La Trattativa è comunque un film serissimo, pure contenendo degli elementi umoristici e pone domande serissime".

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La Guzzanti rileva però che i "meriti dell'ex procuratore di Palermo non sono minimamente messi in discussione e se ho realizzato questo film è anche grazie all'esempio di figure come la sua che in questi anni hanno sempre esortato i cittadini alla partecipazione democratica per sconfiggere il muro di omertà e indifferenza".

 

E, al termine del suo articolo, Guzzanti coglie l'occasione per fare una domanda provocatoria a Caselli: "Come mai, una volta appurato che il Ros non ha rispettato le direttive della procura provocando quella che Scarpinato definisce 'una delle più gravi perdite del patrimonio investigativo degli ultimi anni', la Procura di Palermo, che lui guidava, ha aspettato tanti anni per aprire un'inchiesta contro Mori, tanto che il processo è iniziato nel 2003, dieci anni dopo l'accaduto?".

 

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Da parte sua, l'ex procuratore di Palermo, scrive al Corriere della Sera per commentare un articolo a firma Pierluigi Battista sull'argomento. Nella lettera, Caselli dice che "la questione principale del film, come annota Battista, è 'il rischio di veder appiattita e misconosciuta tutta la attività di contrasto alla mafia' mia e dei miei collaboratori. Certo - continua - la mafia non è stata definitivamente sconfitta, ma neppure ci ha travolti. Ecco perchè mi sembra legittimo pretendere non già di essere pensati col tricolore indosso (ci mancherebbe), ma almeno per quel che abbiamo fatto senza dileggi gratuiti".

 

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Caselli già sul FQ, aveva attaccato duramente la clip della Trattativa: “Raccontare con tecnica da "cabaret" la pagina grave e oscura della mancata sorveglianza (certamente non addebitabile alla procura) e della conseguente mancata perquisizione del "covo" di Riina è offensivo e non può cancellare nè far dimenticare gli importanti positivi risultati ottenuti in quei 7 anni di duro e pericoloso lavoro dagli Uffici giudiziari palermitani, in stretta collaborazione con le forze di Polizia”.

 

Nella disputa si inserisce Marco Travaglio, che nel suo consueto editoriale, prova a fare da paciere tra Caselli e Guzzanti. Travaglio ricostruisce come andarono le cose partendo "dalla sentenza definitiva del Tribunale di Palermo" di assoluzione per Mori e Ultimo dall'accusa di favoreggiamento alla mafia perché il fatto non costituisce reato".

 

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Riassumendo, il Ros ottenne di posticipare la perquisizione del covo di Riina dopo la sua cattura per attirare altri mafiosi latitanti nella speranza che ci andassero per portare via la moglie del boss Ninetta Bagarella e i figli. Fu deciso, riporta Travaglio, però di fare appostamenti fuori la villa e di tenere accesa una telecamera. Un'idea che fu accolta dalla procura guidata da Caselli. Ma "alle 15 il Ros spegne la telecamera e ritira il furgone con tutti gli uomini. All'insaputa, anzi contro il volere dei magistrati". Ma questa è cronaca giudiziaria.

 

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Tornando al film, Travaglio dà quindi una spiegazione dell'indignazione di Caselli: "Il Ros gabbò la Procura. E' comprensibile che il capo dei gabbati non ami essere dipinto così, specie se gli manca il contesto del resto del film. Ma, come Caselli constaterà quando vedrà il film nella sua interezza, non c'è alcun intento di farlo passare per fesso nè per colluso: l'inganno è colpa degli ingannatori, non degli ingannati, il depistaggio è colpa dei depistatori, non dei depistati. Ed è sugli ingannatori e sui depistatori che si concentra per 100 minuti La Trattativa, senza mettere minimamente in forse i meriti enormi, eroici, di Caselli e dei suoi pm in quei sette lunghi anni a Palermo".

 

Quanto alla domanda posta dalla Guzzanti, Travaglio ritiene che sia "legittima, ma viziata dal senno di poi. La Procura - aggiunge - avrebbe potuto aprire subito un'indagine su Mori e Ultimo, ma avrebbe fatto un buco nell'acqua: nessun elemento nel '93 faceva pensare che avessero agito per favorire i mafiosi".

 

la trattativa di sabina guzzanti 1 la trattativa di sabina guzzanti 1

 2. «LA MIA SQUADRA FERMÒ LA MAFIA, MERITA UN RICORDO SENZA DILEGGIO»

Gian Carlo Caselli al “Corriere della Sera

 

Caro direttore, ?ho letto con interesse l’articolo di Pierluigi Battista sul Corriere dell’8 settembre, che prende spunto da una mia lettera al Fatto riguardante il film «La trattativa» di Sabina Guzzanti, oggetto anche di una intervista alla Festa del Fatto . Battista coglie bene la mia «indignazione» e ne spiega le ragioni riproducendo in parte la lettera.

 

L’avevo conclusa motivandola come scritta «per rispetto alla verità, alla mia famiglia e a tutti coloro che a vario titolo (magistratura , amministrazione, polizia giudiziaria, cittadini)» hanno lavorato con me per sette anni a Palermo. Invero, a mio avviso la questione principale del film è , come annota Battista, «il rischio di veder appiattita e misconosciuta tutta la attività di contrasto alla mafia» mia e dei miei collaboratori (polizia giudiziaria in primis).

 

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Per contro, in una Palermo sconvolta dalle feroci ed orribili stragi del maggio/luglio 1992, tutti — facendo «squadra» — ci han dato dentro impegnandosi sempre al massimo. Di qui i duri «colpi inferti alla mafia» di cui Battista ricorda l’elenco che «con meticolosa completezza» ho fatto nella lettera. «Colpi» che mi consentono di rivendicare — serenamente — di aver contribuito (tutti insieme) a che la democrazia italiana non si trasformasse in uno stato-mafia o narco-stato, precipitando nel baratro senza fondo un cui volevano cacciarla i mafiosi stragisti.

 

Sabina Guzzanti Sabina Guzzanti

Partendo da una situazione che Caponnetto aveva fotografato con le parole «È tutto finito; non c’è più niente da fare», siamo riusciti a risalire la china, rendendo un servizio al Paese. Certo la mafia non è stata definitivamente sconfitta, ma neppure ci ha travolti. Ecco perché mi sembra legittimo pretendere non già di essere pensati... col tricolore indosso (ci mancherebbe!), ma almeno per quel che abbiamo davvero fatto, senza dileggi gratuiti.

 

L’unico punto su cui dissento da Battista è dove egli dice che «Caselli credeva forse che nel mondo del Fatto la reputazione sua e degli uffici giudiziari palermitani da lui diretti per quasi sette anni sarebbe stata difesa». Penso anzi che questa difesa vi sia nella sostanza sempre stata, anche grazie allo spazio che spesso il Fatto mi offre. E devo darne atto, come voglio dare atto al Corriere di essere sempre stato sensibile e assai preciso nella trattazione dei temi del contrasto alla mafia, oltre che disponibile a miei eventuali interventi, come in questo caso. ?

 

3. CASELLI, SABINA E LA TRATTATIVA

sabina guzzanti ANSA 02 sabina guzzanti ANSA 02

Marco Travaglio per “Il Fatto Quotidiano

  

Se il film La Trattativa di Sabina Guzzanti fosse già uscito nelle sale, si eviterebbero molti equivoci. Almeno per chi è interessato alla storia che racconta. Non per i poveracci che l’hanno recensito senza vederlo o degli onanisti della penna alla Battista, che sguazzano compiaciuti nella presunta rissa fra “forze del Bene”, infischiandosene dell’oggetto del contendere: i fatti e le sentenze che documentano inoppugnabilmente la trattativa Stato-mafia.

 

Come se il contrasto fra Sabina e Caselli potesse inficiare un fatto storico gravissimo che i negazionisti alla vaccinara seguitano a gabellare per “eventuale, problematico, immaginato”, addirittura “fiction” solo perché finalmente è diventato un film. La polemica è nata dalla proiezione di alcuni frammenti del film alla festa del Fatto.

Sabina Guzzanti Sabina Guzzanti

 

Uno ritrae Caselli che, nel giorno del suo insediamento alla Procura di Palermo e della cattura di Totò Riina da parte del Ros, il 15 gennaio 1993, ordina ai carabinieri di perquisire il covo dove il boss latitava, e poco dopo li blocca revocando quell’ordine su richiesta di Sergio De Caprio, il “capitano Ultimo” artefice del clamoroso arresto.

 

Come andarono le cose quel giorno è documentato da una sentenza definitiva: quella del Tribunale di Palermo che assolve Ultimo e il suo capo Mario Mori dall’accusa di favoreggiamento alla mafia perché “il fatto non costituisce reato”.

GianCarlo Caselli e moglie GianCarlo Caselli e moglie

 

La perquisizione fu differita, prima di 48 ore e poi di due settimane, perché il Ros sosteneva di aver arrestato Riina distante dal covo per far credere a Cosa Nostra di non averlo individuato, nella speranza che altri mafiosi vi si recassero per portar via la moglie Ninetta Bagarella, i quattro figli ed eventuali documenti.

 

Caselli e gli altri pm che erano in Procura da anni accolsero la richiesta di Ultimo perché, sulla carta, era un’ottima idea: avrebbe potuto consentire l’arresto di altri pericolosi latitanti senza compromettere l’integrità del materiale custodito nel covo. Ma posero una condizione: che il complesso di via Bernini 54 dove sorgeva la villetta, ancora da individuare, che aveva ospitato negli ultimi mesi Riina, fosse sorvegliato giorno e notte dagli uomini del Ros e/o appostati da giorni in un furgone anonimo dinanzi al cancello e da una telecamera nascosta in un palo. Il Ros fornì “la garanzia di controllo assoluto e costante”. E solo a quel punto Caselli richiamò indietro i carabinieri in viaggio verso via Bernini.

GIANCARLO CASELLI GIANCARLO CASELLI

 

   Sono le ore 14. Purtroppo, alle 16, il Ros “spegne” la telecamera e ritira il furgone con tutti gli uomini. All’insaputa, anzi contro il volere dei magistrati. Peccato, perché quella stessa notte e in quelle successive si avverano le profezie di Ultimo: i fratelli Sansone (i mafiosi che avevano in gestione la latitanza di Riina) si recano in via Bernini, prelevano la Bagarella e i figli, che tornano a Corleone in taxi.

 

Poi svuotano il villino e lo fanno ristrutturare e ridipingere da cima a fondo, eliminando ogni traccia di Dna. Solo il 30 gennaio, dopo vari solleciti di Caselli, Mori e De Caprio si decidono a sputare finalmente il rospo: il covo è incustodito da 15 giorni. Caselli, incredulo, protesta con il comandante Giuseppe Subranni e dispone il blitz, ma è troppo tardi.

MARIO MORI MARIO MORI

 

Subranni risponde a Caselli che la vigilanza è stata subito “sospesa in attesa di una successiva attivazione allorché le condizioni ambientali lo avessero consentito in termini di mimetismo”. Perché allora il Ros non ha perquisito il covo e non ha avvertito la Procura? Perché si riteneva “di potersi muovere in uno spazio di autonomia decisionale consentito”.

 

Subranni tenta persino di incolpare Caselli, che perde la pazienza: “Non era stato affatto riferito in merito alla modificazione della situazione di fatto a suo tempo presa in considerazione, poi determinatasi con la sospensione delle attività di controllo e osservazione”. E ordina che d’ora in poi lo informino “nel modo più esauriente e tempestivo di tutte le fasi delle indagini”. È chiaro che il Ros ha mentito e ha ingannato la Procura.

MARCO TRAVAGLIO MARCO TRAVAGLIO

 

 Ora, delle due l’una: o Mori e Ultimo sono due dilettanti allo sbaraglio; oppure hanno agito di proposito: per favorire la mafia, o se stessi, o altri uomini dello Stato. Al processo, scartata l’ipotesi-incapaci, i giudici non troveranno le prove del “dolo”, cioè della volontà di favorire la mafia.

 

Ma scriveranno che il favore a Cosa Nostra, pur involontario, è indubitabile (“il fatto” contestato nell’imputazione, cioè il favore alla mafia, c’è eccome, anche se “non costituisce reato”): “Il sito fu abbandonato e nessuna comunicazione ne venne data agli inquirenti” e “questo elemento è certamente idoneo all’insorgere di una responsabilità disciplinare”.

 

Che però non verrà mai sanzionata dai vertici dell’Arma, né dai governi di destra e di sinistra. Anzi, Mori verrà promosso generale, comandante del Ros, direttore del Sisde e infine controllore degli appalti di Expo (con i risultati a tutti noti). Sabina Guzzanti chiede a Caselli perché, scoperto l’inganno, la Procura non indagò subito Mori e De Caprio.

 

Domanda legittima, ma viziata dal “senno di poi”: oggi, con tutto quello che è emerso sulla trattativa e sui mandanti esterni alle stragi, è naturale collegare la mancata perquisizione del covo agli accordi fra i trattativisti e Provenzano. Che aiutò i carabinieri a rintracciare Riina e a eliminare l’“ala stragista” di Cosa Nostra, ma certo non lo fece gratis.

da sinistra antonino caponnetto con falcone e borsellino piccola da sinistra antonino caponnetto con falcone e borsellino piccola

 

Nel gennaio 1993 tutto ciò era non solo sconosciuto, ma inimmaginabile: fantascienza pura. L’unico dato certo – ne parlò Ciancimino ai pm – era che questi si era proposto ai carabinieri come infiltrato dello Stato in Cosa Nostra. Nessuno poteva sospettare che la verità fosse esattamente opposta: e cioè che fosse stato usato da uomini dello Stato per portare le istituzioni dalla parte di Cosa Nostra.

 

La Procura avrebbe potuto aprire subito un’indagine su Mori e Ultimo, ma avrebbe fatto un buco nell’acqua: nessun elemento nel ‘93 faceva pensare che avessero agito per favorire i mafiosi. “Ultimo” era l’eroe che aveva catturato Riina dopo 30 anni di latitanza e pochi mesi dopo le stragi. L’inchiesta della Procura di Caselli partì nel 1997, quando alcuni mafiosi delle stragi (nel frattempo fatti arrestare da Caselli) iniziarono a collaborare, svelando la trattativa (Giovanni Brusca nel 1996:

 

il Ros temeva che Riina conservasse il papello e altre carte della trattativa) e i presunti retroscena del covo (Santino Di Matteo il 17-11-1997: “Balduccio Di Maggio mi accennò che, al momento dell’arresto di Riina, all’interno della casa del predetto si trovavano dei documenti scottanti, di cui lui non poteva parlarmi... Riina venne arrestato e nel frattempo qualcuno dei Carabinieri andò a svuotare la casa dei documenti più rilevanti”).

Sergio De Caprio Sergio De Caprio

 

Solo allora, in Procura, si cominciò a capire l’impensabile mostruosità della trattativa e di tutti i depistaggi che ne erano seguiti. Tutto questo Sabina Guzzanti lo affida alla scena di pochi secondi che ha fatto infuriare Caselli, col linguaggio non del cabaret, ma della satira: il genere narrativo che, con due parole e due immagini fulminanti, aiuta lo spettatore a cogliere l’essenza di una realtà complessa.

 

Sappiamo tutti che Caselli non diede il contrordine al blitz sulla pubblica piazza, né disse ai giornalisti che sperava di trovare nella cassaforte di Riina l’organigramma di Cosa Nostra (della cassaforte parlò Brusca solo nel ‘96). Ma l’aspettativa su quel che si sarebbe trovato nel covo era enorme. E quella scena descrive il fatto storico fondamentale: il Ros gabbò la Procura.

La cattura di Bagarella La cattura di Bagarella

 

È comprensibile che il capo dei gabbati non ami essere dipinto così, specie se gli manca il contesto del resto del film. Ma, come Caselli constaterà quando vedrà il film nella sua interezza, non c’è alcun intento di farlo passare per fesso né per colluso: l’inganno è colpa degli ingannatori, non degli ingannati, il depistaggio è colpa dei depistatori, non dei depistati.

 

Ed è sugli ingannatori e sui depistatori che si concentra per 100 minuti La Trattativa, senza mettere minimamente in forse i meriti enormi, eroici, di Caselli e dei suoi pm in quei sette lunghi anni a Palermo. Né chi vede il film può desumerne un suo qualsiasi ruolo nella trattativa, di cui anzi Caselli fu nemico implacabile (con le sue indagini, le centinaia di arresti, il record di 650 ergastoli, ma anche con il suo no, nel novembre ‘93, alla revoca del 41-bis per 334 mafiosi detenuti poi disposta dal ministro Conso; e con il suo no, nel 2000, da direttore delle carceri, al piano per la “dissociazione” dei boss).

 

Bagarella Bagarella

Ma anche vittima, fin dal suo primo giorno a Palermo e anche in seguito: l’ambigua gestione del pentito Di Maggio, lasciato tornare in Sicilia a uccidere, fu opera del Ros; per non dire di quando, in perfetta coincidenza coi processi Andreotti e Dell’Utri, il capitano Giuseppe De Donno accusò – sulla scorta del pentito Siino – il pm Guido Lo Forte di aver insabbiato il rapporto del Ros “mafia e appalti” (accusa poi rivelatasi una bufala).

   

Il film La Trattativa ha il merito di raccontare per la prima volta quel che accadde e continua ad accadere in Italia fra Stato e mafia. Caselli e quelli come lui non hanno nulla da temere, perché sono sempre stati dalla parte giusta. Diversamente da chi stava e sta dalla parte sbagliata, che infatti preferisce tacere.

 

 

4. “IL ROS AGÌ ALLE SPALLE DI CASELLI, MA SU MORI...”

Sabina Guzzanti per “Il Fatto Quotidiano

   

Caro direttore Padellaro, domenica il suo quotidiano ha pubblicato una lettera del dottor Caselli, che non ha visto il film, ma si indigna per una clip de La-trattativa mostrata alla festa de il Fatto.

toto riina toto riina

   

Le proteste del procuratore Caselli mi hanno molto sorpresa avendo messo in scena i fatti nella versione che lui stesso mi ha riferito in una lunga conversazione telefonica e che avrebbe sicuramente raccontato in video se i suoi numerosi impegni glielo avessero consentito.

   

L’episodio, così come viene narrato nel film, coincide tra l’altro con quanto lo stesso Caselli ha dichiarato nel corso di una sua deposizione resa a Palermo al processo sulla mancata perquisizione del covo di Riina. Chi legge distrattamente o ascolta i commenti relativi alla lettera inviata al suo giornale dal procuratore è indotto a pensare che nel mio film ci siano delle inesattezze. Ma, se fosse questa l’obiezione, Caselli avrebbe sicuramente replicato: le cose non sono andate come le racconta la Guzzanti, sono andate invece così e così.

TOTO RIINA TOTO RIINA

   

Invece l’obiezione di Caselli si può così riassumere: al di là di come siano andati i fatti riguardanti la mancata perquisizione del covo di Riina, non si può non tener conto degli innumerevoli meriti delle mia lunga e prestigiosissima lotta contro la mafia e dei successi che questa lotta ha prodotto. Ma i meriti dell’ex procuratore di Palermo non sono minimamente messi in discussione e se ho realizzato questo film è anche grazie all’esempio di figure come la sua che in questi anni hanno sempre esortato i cittadini alla partecipazione democratica per sconfiggere il muro di omertà e indifferenza. Sono sicura di aver agito, nel realizzare questo film, in nome dei principi per cui Gian Carlo Caselli si è sempre battuto, così come mi auguro che la diffusione del mio lavoro possa dare un contributo importante in questa direzione.

   

Sarebbe un vero peccato se quest’occasione non venisse raccolta e venisse anzi avversata da chi, pur avendo sempre sposato queste battaglie, stavolta è insoddisfatto del modo in cui viene rappresentato.

Toto Riina Toto Riina

   

A questo riguardo, Caselli scrive che avrei utilizzato “una tecnica da cabaret per raccontare la pagina grave e oscura come la mancata perquisizione del covo”. Nel corso della mia lunga carriera, non ho fatto che ricevere lezioni non richieste su cosa sia la “vera satira” e quali siano i suoi presunti limiti.

   

Il Capitano dei Carabinieri De Donno Caso Totò Riina Il Capitano dei Carabinieri De Donno Caso Totò Riina

Non mi aspettavo che anche il dottor Caselli volesse impartirmene una. Il film Latrattativa, è comunque un film serissimo, pur contenendo degli elementi umoristici e pone domande serissime. Nessuno mette in dubbio la versione dei fatti in cui il Ros agisce alle spalle della Procura di Palermo, con una serie di iniziative che portano alla mancata perquisizione del covo di Riina.

   

Questa versione è accolta perfino nella sentenza che assolve Mori perché il fatto non costituisce reato.

 

Le domande che sorgono spontanee sono altre e approfitto di questa occasione di discussione per farne una al dottor Caselli: come mai, una volta appurato che il Ros non ha rispettato le direttive della procura provocando quella che il dottor Scarpinato nel film definisce “una delle più gravi perdite del patrimonio investigativo degli ultimi anni”, la Procura di Palermo, che lui guidava, ha aspettato tanti anni per aprire un’inchiesta contro Mori, tanto che il processo è iniziato nel 2003, dieci anni dopo l’accaduto?

 

 

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