1. ZERO PREMI PER “BIRDMAN” A VENEZIA
Marco Giusti per Dagospia
Diciamo che è stato premiato il pennuto sbagliato lo scorso settembre a Venezia. E certo, preferire Il piccione seduto su un ramo dello svedese Roy Andersson, uscito (e fulminato) questa settimana in Italia nella più totale indifferenza del pubblico, rispetto all’uccellaccio Birdman di Alejandro G. Inarritu, appena premiato con quattro Oscar, può sembrare una bizzarria.
Mettiamoci anche che Birdman, presentato in apertura del festival, non ha vinto proprio nulla a Venezia. E la stessa cosa è capitata l’anno prima a Venezia con Gravity di Alfonso Cuaron, altro film di apertura, che ha perso contro il Sacro Gra di Gianfranco Rosi e il greco Miss Violence.
alejandro gonzalez inarritu, maria eladia hagerman
Eppure sia Gravity, spinto dalla Warner Bros, che Birdman, spinto dalla Fox Searchlight, hanno vinto fior di Oscar. E rafforzano assolutamente il festival di Venezia e le scelte del suo direttore Alberto Barbera. Al punto che presentare un film in apertura a Venezia, oggi, dopo gli Oscar a Gravity e a Birdman, è diventato un vero e proprio evento caldo, fondamentale per la corsa ai grandi premi internazionali della stagione.
Molto più che aprire Cannes, diciamo. Che ha avuto aperture deboli ultimamente e, come Venezia, premi piuttosto inutili o troppo cinéfili. I sette Césars a Timbuktu di Sissako, ad esempio, non hanno fatto fare una bella figura alla giuria di Cannes presieduta da Jane Campion che ha premiato il lunghissimo e noiosetto Winter Sleep di Nure Bilgen Ceylan, sorta di bergmanata turca.
alejandro inarritu con il cast di birdman
E qualcuno si sarà chiesto che senso avesse premiare i mal di pancia degli intellettuali turchi in letargo e non un film serio sull’espansione dell’Isis nell’Africa musulmana. La colpa, insomma, non sembra tanto dei festival e dei loro direttori, che fanno anche le scelte giuste, quanto spesso delle giurie, che sono però scelte dagli stessi direttori.
E va detto che a Cannes, come a Venezia, qualsiasi giurato, anche il più americano degli americani, penso a Michael Mann, si sente in dovere di posare da intellettuale cinéphile all’europea, e quindi è pronto a votare per lo sconosciuto film greco o svedese con idee piuttosto che per un film americano che può fare dei soldi e concorrere per gli Oscar.
Inoltre, lo stesso pubblico dei festival, i criticoni trinariciuti di Cannes e di Venezia, fanno parte di un mondo che si scioglie per le tre ore e mezzo del film turco o per le inutile riprese filosofeggianti di un Terrence Malick piuttosto che per un film un po’ più vivo e vendibile sul mercato.
alfonso cuaron miglior regista per gravity
Ricordiamo tutti come venne malamente accolto nella Venezia di Marco Muller Black Swan di Darren Aronofsky, altro film d’apertura che vinse un Oscar e ebbe quattro nomination nel più puro stile Gravity e Birdman. Solo Quentin Tarantino, ricordiamo, si oppose al cinefilismo oltranzista europeo e a Venezia, in epoca Muller, fece vincere un film americano, Somewhere, della ex fidanzata Sofia Coppola, che non venne però né amato a Venezia né nominato a nessun Oscar.
Dobbiamo dire riconoscere che è stato Barbera, probabilmente assieme al suo “occhio” americano, cioè Giulia D’Agnolo Vallan che da anni collabora al festival, a riuscire in questa impresa, piuttosto ardua, di rendere appetibile più che mai Venezia alle majors americane, con le invenzioni di queste serate d’apertura, grazie alle scelte da Oscar di Gravity e di Birdman e all’appoggio ormai incondizionato, quindi, delle potenti Warner e di Fox Searchlight.
La stessa Fox, che ha festeggiato ieri sera la vittoria di otto Oscar, quattro del film di Inarritu e altri quattro di The Grand Budapest Hotel, un trionfo, e che si è comprata solo pochi giorni la distribuzione internazionale un film italiano forte come A Bigger Splash di Luca Guadagnino con un cast di tutto rispetto, Dakota Johnson, Tilda Swinton, Ralph Fiennes, Margo Robbie e Matthias Schonaert, e che potrebbe quindi essere papabile per l’apertura a Venezia e poi per la corsa ai premi invernali.
un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di roy andersson. 11792 99
gravity best director nominee alfonso cuaron took a photo of sheherazade goldsmith
Esattamente come potrebbe capitare col nuovo film dei fratelli Coen, Hail, Caesar! o per altri titoli di film americani con un grosso cast di richiamo per aprire un festival. E’ come se Barbera, forse casualmente, avesse lasciato ai cinéfili oltranzisti, agli antemarcia bertolucciani o fofiani i premi, forse un po’ inutili, dimostrando che conta di più aprire Venezia davanti ai critici dei giornali americani, dal “New Yorker” in giù, per scattare nella corsa ai premi invernali e per gli incassi delle prime mirate newyorkesi.
Però così, sia Cannes che Venezia, dimostrano, ma è sotto gli occhi di tutti, quanto siano schizofrenici questi festival e i gusti dei loro giurati e del loro pubblico. E’ una malattia con la quale prima o poi, malgrado i piccioni seduti sui rami o gli uccelloni minacciosi che svolazzano in cielo, dovremo fare tutti i conti.
PRESENTAZIONE FILM GRAVITY CON GEORGE CLOONEY
Soprattutto per costruire eventi che abbiano davvero un senso sia economico che culturale. E che dimostrino che i festival non siano solo vetrine per mercati più potenti o una sorta di ipermercato dove scopri il direttore della fotografia o lo scenografo più figo del momento da mettere nel tuo film americano.
roy andersson a pigeon sat on a branch
2. BIRDMAN E L’OCCASIONE PERDUTA DI VENEZIA
Fulvia Caprara per La Stampa
PRESENTAZIONE FILM GRAVITY CON GEORGE CLOONEY
Il cammino glorioso di «Birdman» inizia nello scorso settembre in Italia, al Lido di Venezia, dove il film ha inaugurato la 71esima edizione della Mostra, diretta da Alberto Barbera. Fin dalla prima proiezione per stampa e addetti ai lavori, «Birdman» si è imposto perché contiene tutte le caratteristiche del grande cinema.
Regia coraggiosa e inventiva, in un unico, lunghissimo, piano sequenza, sceneggiatura impeccabile, dialoghi esplosivi, attori al meglio delle loro possibilità, con il protagonista Michael Keaton nel ruolo della consacrazione, teatro che si fa film e viceversa e jazz che scandisce il ritmo febbrile della narrazione.
E poi risate, divertimento, languori e riflessioni. Hollywood che guarda se stessa senza indulgenze, senza autocommiserarsi, con ironia tagliente e lucida disperazione. Per tutte queste ragioni, dal primo giorno di Mostra, chiunque pensava, scriveva, dichiarava che «Birdman», del messicano Alejandro Gonzales Inarritu, doveva vincere il Leone d’oro.
PRESENTAZIONE FILM GRAVITY CON GEORGE CLOONEY
Dalla critica di ogni parte del globo continuavano a piovere stellette, palline, leoncini, in numero insuperato, per l’intera durata del festival. Se «Birdman» avesse vinto il Leone, nell’Oscar 2015 ci sarebbe stata anche la Mostra di Venezia, presente in tutto il materiale che accompagnerà, nel mondo, il rilancio della pellicola trionfatrice durante la notte delle stelle. Per la Mostra un grandissimo ritorno d’immagine.
un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di roy andersson. foto
Ma non è andata così. La giuria presieduta dal musicista Alexandre Desplat ha preferito consegnare il massimo riconoscimento della rassegna allo svedese Roy Andersson, autore di «Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza», terzo titolo della trilogia formata da «Songs from the second floor» e «You, the living». Ispirato ai quadri di Hopper e Brugel, pervaso di gelido umorismo nordico, il film, scandito in 39 piani sequenza, è una riflessione sull’esistenza umana di sapore beckettiano.
un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di roy andersson. piccione
Valore artistico assolutamente indubbio, ma rapporto con il pubblico decisamente difficile. All’indomani del verdetto si scatenano, al Lido, come sempre, le polemiche sulle scelte della giuria di cui faceva parte anche Carlo Verdone. I più ironici sintetizzano dicendo che ha prevalso la logica del «famolo strano», i più cattivi dicono che Desplat avrebbe insistito per il premio al film complesso, proprio per sottolineare il desiderio di scelte alte della squadra da lui capitanata (qualcuno aveva avuto da ridire sulla scelta di affidare a un musicista, per altro valoroso e premiatissimo, il compito di presiedere la giuria di una Mostra d’Arte cinematografica).
un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di roy andersson. 2
Fino a pochi giorni fa, anche nell’ultima intervista alla Stampa, Inarritu elegantemente ripeteva che era stato un grande onore partecipare alla gara lagunare, anche senza vincere. Oggi resta l’amaro in bocca, per quel film di cui si sarebbe potuto dire, prima che Oscar, Leone d’oro alla Mostra di Venezia 2014.