Giulia Zonca per ‘La Stampa'
Dove un anno fa è scoppiata una bomba è esploso un abbraccio, uno di quelli potenti. Meb Keflezighi e Greg Mayer si sono stretti forte, uno ha vinto la maratona di Boston ieri, l'altro nel 1983. Gli ultimi due americani a riuscirci e l'atteso passaggio del testimone è arrivato nel giorno più intenso e speciale, il giorno in cui sventolare la bandiera a stelle e strisce era molto più di un gesto patriottico.
Vibrazioni, emozioni, 35 mila persone iscritte, migliaia in strada a tifare e spingere gli atleti oltre i limiti: «Non era una maratona, era molto di più», lo ha detto il re della corsa arrivato in lacrime a un traguardo che nel 2013 era sporco di sangue. Dimenticare è impossibile e infatti Meb non ha corso per superare il trauma ma per amplificare la memoria. Il disastro va archiviato, le vittime no.
Ha scritto i loro nomi sul pettorale: Martin Richard, 8 anni, Krystle Campbell, 29 anni, Lu Lingz, 23 anni e Sean Collier, l'agente morto qualche giorno dopo l'attentato mentre cercava di catturare il terrorista. Se li è portati dietro, addosso e ha pianto per loro al via, all'arrivo, durante l'inno, in conferenza stampa. Meb ha avuto diversi motivi per piangere nella sua vita, non è fragile, solo che non c'era altro modo di omaggiare chi non c'è più. Nessuna parola o gesto possibile.
Lui ha chiuso la gara con il personale, 2h08'37 e non si è neppure accorto di che tattica ha usato, di come ha o non ha gestito le forze. A un certo punto ha accelerato perché doveva, perché il pubblico gridava il suo nome e stendeva bandiere sui balconi: «Ho usato l'entusiasmo della gente e loro hanno usato me. L'energia era talmente incredibile da essere contagiosa e ho capito che potevo solo vincere». A due metri dal traguardo si è fatto il segno della croce, poi ha alzato le braccia in alto: una dedica muta e tremante. Non aveva più forze.
MARATONA DI BOSTONNon era il favorito anzi, Meb era proprio fuori pronostico, ha 38 anni e il percorso di Boston è noto per essere il più duro. In 118 anni di storia solo un uomo più vecchio di Meb è riuscito a vincere, Jimmy Henigan, a 41 anni, però parliamo del 1931, epoca da pionieri con poca concorrenza. Keflezighi sa che questo successo è quasi un extra, un regalo, praticamente una magia: «Prima di partire credevo che la mia carriera mi avesse dato il 99 per cento di quello che poteva, ora sono al 105 per cento».
MARATONA DI BOSTON MARATONA DI BOSTONLui è nato in Eritrea ed è scappato con i suoi 10 fratelli quando era un bambino. È emigrato in Italia come rifugiato e dopo un anno di elementari a Monza (tiene ancora i contatti con parte di quella scolaresca, prima realtà normale dopo un'infanzia complicata) si è trasferito negli Usa, a San Diego dove tutt'ora risiede. Ha vinto l'argento alle Olimpiadi di Atene 2004, dietro a Stefano Baldini, e la maratona di New York nel 2009. Lì credeva di aver raggiunto l'estasi, si sbagliava.
MARATONA DI BOSTONDopo quella vittoria guai e dolore: ai trials per i Giochi 2008 ha perso il compagno di allenamento, morto di infarto durante la gara, e si è infortunato. Operazioni, riabilitazione e il timore di aver chiuso perché ormai 42 km significavano solo sofferenza, brutti ricordi. Si è ripreso e qualificato per le Olimpiadi di Londra, convinto che fosse abbastanza per un riscatto fino alla maratona di Boston 2013. Non l'ha corsa, l'ha guardata e si è spostato dal punto dell'esplosione giusto cinque minuti prima della tragedia.
MARATONA DI BOSTON I SOPRAVVISSUTI AGLI ATTENTATI MEB KEFLEZIGHI VINCE LA MARATONA DI BOSTONIeri è rimasto lì in piedi, il primo americano vincitore a Boston dopo 31 anni e la persona giusta per ricominciare. Gli Usa si rialzano con un immigrato non più giovanissimo e fuori dai radar. Aveva perso gli sponsor. Non lo scatto, non la capacità di farsi spingere oltre da una folla determinata a festeggiare dopo troppe lacrime.
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