ADRIANO SOFRI CHIEDE DI RIAPRIRE IL CASO PINELLI ("C'ERANO GLI UOMINI DEI SERVIZI IN QUESTURA LA NOTTE IN CUI MORI' PINELLI") E BELPIETRO SBROCCA: “MA AL MANDANTE DELL'OMICIDIO DI CALABRESI E’ CONSENTITO DIFFAMARE A MEZZO STAMPA LO STESSO COMMISSARIO DI POLIZIA CHE HA CONTRIBUITO A FAR AMMAZZARE? CHE A DISTANZA DI CINQUANT'ANNI DAI FATTI, SOFRI GETTI OMBRE SU PIAZZA FONTANA, PINO PINELLI E LUIGI CALABRESI, È INACCETTABILE. GIÀ IN PASSATO, NONOSTANTE SIA STATO RITENUTO COLPEVOLE IN VARI GRADI DI GIUDIZIO, HA PROVATO A RISCRIVERE LA STORIA E…” - L'ESTRATTO DELL'ARTICOLO DI SOFRI PER "IL FOGLIO"

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LA VERITA BELPIETRO LA VERITA BELPIETRO

Maurizio Belpietro per “la Verità”

 

Ma a un condannato per l'omicidio di un commissario di polizia, che per meriti giornalisti ha ottenuto vari benefici, compreso quello di passare una parte della pena ai domiciliari, è consentito di diffamare a mezzo stampa lo stesso commissario di polizia che ha contribuito a far ammazzare? La domanda me la sono fatta ieri, dopo aver letto l' articolo di Adriano Sofri su Il Foglio. L'ex fondatore di Lotta continua è da anni un collaboratore del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara.

ADRIANO SOFRI ADRIANO SOFRI

 

Lo è dal tempo in cui il pentito Leonardo Marino confessò di aver fatto parte del commando che uccise Luigi Calabresi, indicando lui come mandante. La sinistra giornalistica, quella che per anni ha dettato legge nei giornali (come ha magnificamente spiegato Michele Brambilla in L'eskimo in redazione), mentre Sofri era dietro le sbarre pensò di risarcirlo elargendogli varie rubriche, oltre che sul Foglio, su Panorama e su Repubblica, e ciò ha consentito al leader di Lc di elevarsi al rango di maître à penser.

 

LUIGI CALABRESI LUIGI CALABRESI

Ovviamente tutti, anche un ex carcerato condannato per omicidio, hanno diritto di dire la loro. Ma che a distanza di cinquant'anni dai fatti, Sofri getti a mezzo stampa altre ombre su una tragedia come quella di piazza Fontana, di Pino Pinelli e di Luigi Calabresi, è francamente inaccettabile. Già in passato Sofri, che pure è stato ritenuto colpevole in vari gradi di giudizio, ha provato a riscrivere la storia. Dieci anni fa, ad esempio, compose per Sellerio un pamphlet dal titolo La notte che Pinelli, cercando di alimentare il sospetto di un brutale omicidio del povero Pinelli.

 

delitto luigi calabresi delitto luigi calabresi

Peccato che ci sia una sentenza, per di più pronunciata da un giudice come Gerardo D'Ambrosio, certo non sospettabile di partigianeria per i fascisti, i servizi segreti o la polizia, che dice il contrario. Pinelli non fu ucciso dagli agenti della Questura guidati da Luigi Calabresi: cadde dalla finestra per un malore.

 

Lo so che all' ex fondatore di Lotta continua questa sentenza non piace e la vorrebbe confutare e riformare per dimostrare che no, l' anarchico fermato dai poliziotti dopo la strage di Piazza Fontana non morì cascando da solo dalla finestra, ma fu brutalmente picchiato dagli agenti del servizio politico i quali forse, dopo essersi accorti di averlo manganellato troppo, per liberarsi dall' accusa di omicidio lo presero e lo buttarono giù dal quarto piano. Ma la tesi alimentata dai giornalisti di sinistra, dai compagni, da Lotta continua fu ed è smentita dagli atti. Dall' autopsia, dalle perizie che furono eseguite, dalle indagini, dalle testimonianze e, infine, da una sentenza.

Pinelli Pinelli

 

So altrettanto bene che per Sofri, uno che si proponeva di abbattere lo Stato borghese, le sentenze sono carta straccia. Da anni infatti ripete che la sua, quella che lo ha condannato a 22 anni di carcere come mandante dell' assassinio Calabresi, è sbagliata, anche se è stata confermata in Cassazione, riaffermata dopo la revisione del processo e pure certificata dalla Corte europea dei diritti dell' uomo. Sì, per Sofri ci sono stati ben sette gradi di giudizio, ma lui si ritiene vittima, tanto che si è sempre rifiutato di chiedere la grazia, pretendendo che fosse lo Stato a risarcirlo di un' ingiusta detenzione, liberandolo.

 

Ma in uno Stato di diritto le sentenze si rispettano, soprattutto quando sono definitive.

Vi chiedete però perché l'ex leader di Lotta continua insista tanto nel gettare ombre sul caso Pinelli? La risposta è semplice. Perché se Pinelli è stato buttato giù, se in quella stanza c' era Luigi Calabresi, beh allora il commissario non era quel santo che dipingono e dunque chi lo ha assassinato è sì un assassino, ma con meno responsabilità di quelle che gli si possano addebitare.

ADRIANO SOFRI ADRIANO SOFRI

 

Se l'anarchico, invece di essere caduto per «un malore attivo», è finito giù dal quarto piano dopo essere stato ammazzato di botte e Calabresi era lì, perché l' anarchico Pasquale Valitutti dice che c'era, allora quella campagna criminale che Lotta continua fece contro il commissario non era così sbagliata.

 

adriano sofri nella redazione di lotta continua adriano sofri nella redazione di lotta continua

Dopo la morte di Pinelli il giornale di Sofri, come molti ricorderanno, scatenò una vera e propria caccia all' uomo contro il vice capo dell' ufficio politico della Questura, dipingendolo come un picchiatore e un agente della Cia. Contro di lui fu fatto anche un manifesto, pubblicato su l'Espresso e firmato da centinaia di sedicenti intellettuali, molti dei quali poi sono finiti a dirigere giornali o a occupare posti importanti nelle redazioni, e alcuni hanno ospitato gli articoli di Sofri.

 

adriano sofri foto di bacco adriano sofri foto di bacco

Il giorno in cui il commissario fu ucciso da un commando che lo attese fuori casa, Lotta continua titolò: «Ucciso Calabresi, il maggior responsabile dell' omicidio di Pinelli». Sulla prima pagina seguiva un commento in cui si ribadiva che il commissario era un assassino e si concludeva nel seguente modo: «L'omicidio politico non è certo l'arma decisiva per l'emancipazione delle masse dal dominio capitalista, così come l'azione armata clandestina non è certo la forma decisiva della lotta di classe nella fase che noi attraversiamo. Ma queste considerazioni non possono assolutamente indurci a deplorare l'uccisione di Calabresi, un atto in cui gli sfruttati riconoscono la propria volontà di giustizia». Basta per capire che a distanza di mezzo secolo Sofri prova ancora a lavarsi la coscienza gettando fango su Calabresi?

 

2 - RIAPRIRE IL CASO PINELLI. DOPO 50 ANNI SAPPIAMO CHE QUELLA NOTTE IN QUESTURA CON CALABRESI C'ERANO ALTRI "10-15 SIGNORI". TU GUARDA LE DISTRAZIONI

Estratto dell'articolo di Adriano Sofri per “il Foglio”

 

ALLEGRA PINELLI ALLEGRA PINELLI

Calabresi, Pinelli: ancora? Ancora, e ricominciando daccapo. Intanto comincerò da una cronaca. Roma, un' aula della Sapienza, mercoledì 4 dicembre. […] Era una "Giornata di studi sulla strage di piazza Fontana", titolo: "Noi sappiamo, e abbiamo le prove", organizzata dall' Archivio Flamigni e dall' Università. […] A questo punto una voce dal pubblico […] ha chiesto compitamente di fare una domanda. L'ha fatta. Vorrei sapere, ha detto, come fate a sostenere che Calabresi era uscito dalla stanza. […] Era Pasquale "Lello" Valitutti […] è l' anarchico ventenne che aspettò il suo turno seduto accanto a Pino Pinelli nel salone comune al quarto piano della questura milanese, quando già tutti gli altri fermati erano stati mandati a casa. Ed era seduto nel salone comune ad aspettare che Pinelli uscisse dalla stanza del commissario Calabresi, la notte che Pinelli ne uscì dalla finestra.

ALLEGRA CALABRESI PINELLI ALLEGRA CALABRESI PINELLI

 

Valitutti è quel genere di persona di cui gli oratori di un convegno non possono fare a meno di dirsi: "Eccolo, questo rompicoglioni!". Dunque, ha potuto parlare. Ha detto quello che dice da sempre, e qualcos' altro. Dice che dal suo posto "vedeva perfettamente la porta dell' ufficio del dottor Allegra, capo della sezione politica della questura, e la porta dell' ufficio del dottor Calabresi". Che "circa 15-20 minuti prima della mezzanotte il silenzio venne rotto da rumori nell' ufficio di Calabresi, come di trambusto, di una rissa, di mobili smossi ed esclamazioni soffocate. Poi un incredibile silenzio".

 

Che nei minuti precedenti "nessuno era uscito dall' ufficio e tantomeno entrato in quello di Allegra". Che a mezzanotte udì "un tonfo, che non ho più dimenticato e che spesso mi rimbomba". Che "un attimo dopo ho sentito uno smuoversi di sedie e passi precipitosi". Che "due sbirri si sono precipitati da me e mi hanno messo con la faccia al muro". Che subito dopo è arrivato Calabresi e gli ha detto: "Stavamo parlando tranquillamente, non capisco perché si è buttato".

licia pinelli gemma calabresi licia pinelli gemma calabresi

 

Che la mattina dopo l' hanno rilasciato. Che ha ripetuto la sua testimonianza al processo Calabresi-Lotta Continua e che il difensore di Calabresi non l' ha neppure controinterrogato. Che durante il sopraluogo del tribunale nella questura ha mostrato al giudice Biotti i segni sulla parete che dimostravano come una macchina distributrice fosse stata spostata nel frattempo per far credere che ostruisse la sua vista la notte che Pinelli. Che il giudice D' Ambrosio non lo chiamò mai a testimoniare, benché fosse l' unico testimone civile presente quella sera. Che Calabresi e gli altri presenti nella stanza, "tutti assassini di Pinelli", avevano tutti mentito, e che la beatificazione di Calabresi è inconcepibile, eccetera.

 

GIUSEPPE PINELLI GIUSEPPE PINELLI

Benedetta Tobagi […] Ha anche detto - lasciandomi qui interdetto - che la presenza degli uomini degli Affari Riservati nella questura milanese, che è la più rilevante acquisizione ultima dell' indagine e della ricerca, può confermare che Calabresi fosse uscito dalla sua stanza, per andare non da Allegra ma da Russomanno e dagli uomini degli Affari Riservati. "Ma Calabresi ha detto che è uscito per andare da Allegra, e ha mentito", ha ovviamente replicato Valitutti. Tobagi: ma abbiamo detto che Calabresi ha mentito, su Pinelli tutti hanno mentito. Poiché le mie citazioni non sono testuali, invito caldamente a vedere e ascoltare la registrazione sul sito di Radio Radicale, dibattiti, 4 dicembre.

[…]

 

[…] di tutti gli sviluppi della ricerca attorno al 12 dicembre della strage degli innocenti e al 15 dicembre della defenestrazione di Pinelli, il più importante, e sbalorditivo, è la notizia (una vera "ultima notizia", di quarant' anni dopo) dell' arrivo da Roma alla questura milanese di un manipolo di funzionari dell' Ufficio Affari Riservati - "fra i 10 e i 15" - guidati dal vice di Federico Umberto D' Amato, Silvano Russomanno. Costoro presero da subito il comando pieno dell' indagine, direttamente sopra il capo dell' Ufficio politico, Antonino Allegra, e il giovane commissario dell' ufficio politico addetto all' estrema sinistra e agli anarchici, Luigi Calabresi.

 

pinelli calabresi pinelli calabresi

Questa dirompente notizia è diventata pubblica per la prima volta nel 2013, quando l' anarchico Enrico Maltini, fondatore della Croce Nera, che dal 15 dicembre del 1969 non aveva mai smesso di dedicarsi a Pinelli (è morto nel marzo del 2016) e Gabriele Fuga, avvocato penalista, pubblicarono un libretto intitolato "E a finestra c' è la morti" (Zero in condotta), ripubblicato poi, rivisto e arricchito di nuovi documenti, nel 2016, col titolo "Pinelli. La finestra è ancora aperta" (ed. Colibrì). Così esordivano gli autori: "Nel 1996 dagli archivi di via Appia si scopre che almeno altre 14 persone facenti capo al ministero dell' interno e mai sentite dai magistrati si aggiravano in quel quarto piano della questura di Milano la notte in cui Pinelli morì".

FEDERICO UMBERTO D AMATO FEDERICO UMBERTO D AMATO

 

[…]dunque per 44 anni, si è discusso, denunciato, giudicato e condannato di una questura di Milano spigionata di quei "10 o 15" signori dagli Affari Riservati, Russomanno, Catenacci, Alduzzi e la sua "squadra 54" Farò un esempio risentito: nel 2009 scrissi un libro cui tenevo molto, "La notte che Pinelli" (Sellerio). Studiai con tutto lo scrupolo di cui ero capace le carte dei processi che avevano riguardato Pinelli, e specialmente quelle che avevano preteso di mettere la parola fine al "caso" della sua morte, firmate da Gerardo D' Ambrosio.

 

Argomentai, al di là della inaccettabile tesi che passò sotto il nome di "malore attivo", errori documentabili del giudice, che aveva per esempio frainteso il racconto dell' ultimo giorno che costituiva l' alibi di Pinelli. Era il 1975, a D' Ambrosio premeva liberare la memoria di Pinelli dalle accuse mostruose che l' avevano colpito, e insieme liberare quella di Calabresi: lo fece consacrando la versione secondo cui Calabresi era uscito dalla stanza per andare dal suo capo, Allegra, e che in quella sua assenza Pinelli, col quale erano rimasti altri quattro poliziotti e un ufficiale carabiniere, era precipitato. Nel mio libro, tenni certo conto della testimonianza, così precisa (e mai smentita, quanto alle circostanze e alle parole dette a lui da Calabresi), di Valitutti.

 

Adriano Sofri Adriano Sofri

Scrissi che doveva "almeno" essere considerata quanto quella di ogni altro testimone. Tuttavia io stesso mi volli persuadere che nel tempo non breve dell' interrogatorio di Pinelli l' attenzione di Valitutti avesse potuto attenuarsi e impedirgli di notare il passaggio di Calabresi da un ufficio all' altro. Nell' ultima riga risposi alla domanda su che cosa fosse successo quella notte nella questura di Milano: non lo so. Mi costò quella risposta. Il giudice, poi parlamentare, D' Ambrosio, commentando il mio libro, si lasciò sfuggire un lapsus impressionante. A confermare che Calabresi uscì dalla stanza, disse, c' è anche la testimonianza oculare del giovane anarchico Valitutti. La sua memoria aveva benevolmente rovesciato la cosa. Mi colpì allora e mi colpisce di più oggi.

 

Adriano Sofri Adriano Sofri

[…] Perché tacere, come un sol uomo, la presenza di quei capi degli Affari Riservati, non è un' innocua omissione: è una menzogna. […] Perché qualcuno, prima dell' anarchico Maltini e dell' avvocato libertario Fuga, era venuto a conoscenza di quel dettaglio, l' esproprio della questura milanese e dell' indagine ac cadaver, perinde da parte degli Affari Riservati. Precisamente, due magistrati (almeno, e i loro superiori): Grazia Pradella, giovane sostituto della Procura di Milano che condusse dal 1995 fino al 1998 una nuova inchiesta su piazza Fontana, col collega Massimo Meroni. La signora Pradella ottenne dai suoi interrogati informazioni clamorose. Lo stesso Russomanno, interrogato lungamente e rigorosamente, dichiarò di essere stato a Milano "quando morì Pinelli".[…]

 

Dal 1996-97 al 2013, quando per la prima volta il pubblico, "gli Italiani", come si dice infaustamente oggi, ricevono la notizia sugli Affari Riservati nella Milano che impacchetta Valpreda e defenestra Pinelli, sono passati almeno sedici anni. Per sedici anni, "gli Italiani", quelli che hanno interesse alla cosa, hanno rimisurato metro per metro, passo per passo di poliziotti e anarchici, il quarto piano di via Fatebenefratelli senza urtare i 10 o 15 pezzi grossi.

 

Adriano Sofri Adriano Sofri

C' è una spiegazione? Erano forse tenuti, i magistrati che avevano raccolto quella notizia sconvolgente, al segreto? E D' Ambrosio, superiore di Pradella e corresponsabile dell' inchiesta e antico firmatario di una indagine e una sentenza su Pinelli che questa notizia inficia da capo a fondo, non ne è stato informato? E quando D' Ambrosio e Pradella vengono ascoltati a Roma dalla "Commissione sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi", presieduta da Giovanni Pellegrino, il 16 gennaio 1997, e non ne parlano nemmeno lì (salvo che io mi sbagli), a che cosa è dovuto il loro silenzio? […] Esiste dunque un segreto di Stato, e poi dei segreti di cui non si riesce a immaginare l' origine e il movente. […]

 

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