AVVISO AI CONDOMINI LITIGIOSI: OGGI SI PUO’ FINIRE TRE ANNI IN CARCERE PER STALKING CONTRO I VICINI DI CASA - E’ SUCCESSO A MONZA: UNA COPPIA HA PERSEGUITATO I DIRIMPETTAI CON LA COLLA NELLA SERRATURA, ATTI VANDALICI ALLA PORTA, OFFESE AI FIGLI (“SEI UNA PUTTANELLA”) FINO A TRANCIARE IL…

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Luigi Ferrarella per il “Corriere della Sera”

 

LITE CONDOMINIALE LITE CONDOMINIALE

Messaggio ai naviganti nel procelloso mare delle beghe condominiali: si può finire 3 anni in carcere, cioè fuori dal tetto che consente la sospensione condizionale della pena e senza nemmeno vedersi concedere le attenuanti generiche, non per aver magari svaligiato una banca, ma per aver invece molestato i vicini di casa in condominio.

 

Possibile? Possibile sì - stando a una sentenza di Tribunale che ora ha condannato due imputati appunto per il reato di «atti persecutori» più noto come stalking - se «gli atteggiamenti degli imputati hanno provocato nelle parti lese», cioè nei vicini di casa stalkizzati, «un perdurante e grave stato di ansia e paura», tale da «aver comportato molteplici e significativi mutamenti nelle vite degli inquilini».

 

Quali la decisione di cambiare abitazione. Come in ogni lite condominiale che si rispetti, l'escalation dei «dispetti» riflette la man mano crescente aggressività degli inquilini (in questo caso una coppia di 49 e 45 anni) che la riversano sui vicini di casa per i più futili motivi.

 

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Si comincia con le parolacce sulle scale, si prosegue con il chiamare insistentemente l'ascensore per impedire agli odiati vicini di usarlo, si continua con l' offendere i bambini figli dei vicini appellandoli «puttanella» e «indemoniata da buttar giù dalle scale», non si tralascia di parlarne male alle spalle con altri condomini; si passa a vandalizzare la porta d' ingresso vergandovi disegni osceni, si arriva a mettere la colla nella serratura, ci si lancia ad accelerare per poi frenare di colpo davanti al box, e addirittura ci si avventura a tranciare il filo del loro contatore elettrico per far mancare la luce in casa dei vicini.

 

Il bello è che, quando gli inquilini vessati piazzano una telecamera puntata sul proprio ingresso, il rivale vicino di casa promuove un' assemblea condominiale per chiedere (senza esito) di rimuoverla dal pianerottolo, asserendo che «questa cosa viola il decoro del condominio stesso e la mia privacy, libero io di salire quando e come voglio anche solamente a fumarmi una sigaretta o telefonare in quel pianerottolo senza che nessuno debba riprendere la mia persona».

 

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L'istruttoria dibattimentale, riassume la giudice monocratica monzese Angela Colella, «ha ampiamente dimostrato come» i vicini di casa vessati «non abbiano in nessuna occasione replicato alle molestie e alle minacce ricevute» dai due coinquilini, «tenendo al contrario nei loro confronti un comportamento che molti dei loro conoscenti, ivi compresi alcuni dei testimoni interrogati, avevano giudicato fin troppo arrendevole».

 

Anzi, alla fine si rassegnano a cambiare indirizzo: «Ad ottobre scorso, visto che non si muoveva niente e avevamo davvero troppa paura, perché non si riusciva più a vivere, abbiamo deciso di cambiar casa e abbiano quindi acquistato un altro appartamento».

Trasferimento, concorda la giudice, «determinato dal clima di paura e di ansia creato dai coinquilini con le loro incomprensibili e continue vessazioni», inquadrate dal Tribunale nel reato di «atti persecutori» (da 6 mesi a 5 anni).

 

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E nel calcolare la pena, la giudice fonda il proprio severo criterio rimarcando la «rilevante gravità delle condotte, reiterate per un considerevole lasso di tempo», e giungendo così a «reputare congrua per gli imputati una pena» (3 anni) «che quantomeno si discosti dalla media edittale».

 

Carcere vero, se la sentenza dovesse reggere sino in Cassazione: senza sospensione condizionale (possibile solo sino a 2 anni) e senza attenuanti generiche, per le quali il Tribunale non vede motivi «al di fuori della formale incensuratezza».

In più, agli inquilini vittime (costituitisi parti civili con l' avvocato Massimiliano Meda) la giudice riconosce un anticipo di 15.000 euro sul futuro «integrale risarcimento dei danni morali da stabilire in sede civile».

 

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