IL BAROLO HA MESSO LE ALI: BOOM DI VENDITE, IL CONSORZIO DI TUTELA CHIEDE ALLA REGIONE PIEMONTE DI AUMENTARE GLI ETTARI DA COLTIVARE MA I PRODUTTORI SI RIBELLANO – LA BATTAGLIA COL PROSECCO CHE CENTELLINA GLI AUMENTI DI FILARI E SCOMMETTE SULLA QUALITA’

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Roberto Fiori per la Stampa

 

Il Barolo ha messo le ali. Il 2017 si chiuderà con una crescita nelle vendite del 7 per cento, prolungando una scia di segni positivi che si ripete ormai da sei anni.

 

Le giacenze - o meglio, le riserve - sono al minimo e il vino sfuso ha raggiunto la soglia degli 8,5 euro al litro, mentre le uve dell' ultima vendemmia sono state vendute a 5 euro al chilo. A livello internazionale, il brand è uscito dalla nicchia degli intenditori e il nebbiolo (di cui il Barolo è composto) è sempre più riconosciuto come uno dei più grandi vitigni al mondo.

 

Sulla base di questi numeri, il Consorzio di tutela ha chiesto alla Regione Piemonte di aumentare per il 2018 la superficie di vigneto da coltivare a nebbiolo da Barolo, autorizzando 30 ettari di nuovi impianti (o di riconversioni), 10 in più di ciò che è stato concesso nel 2017.

 

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«E' una proposta avanzata dopo un' attenta valutazione dello stato dell' arte - spiega il presidente Orlando Pecchenino -. A fronte di 437 domande di ampliamento che ci sono arrivate, per un totale di 127 ettari, ci è sembrato opportuno alzare un poco la soglia per consentire ai nuovi produttori e alle aziende più piccole di accedere a un mercato in salute, ma senza snaturare la denominazione o creare effetti negativi sulle quotazioni. In fin dei conti, stiamo parlando di una superficie che è poco più dell' 1 per cento dell' intero vigneto Barolo (pari a 2112 ettari) e di un vino che uscirà dopo il 2024».

 

Ma alla Confederazione italiana agricoltori queste rassicurazioni non sono bastate: i produttori hanno scritto una lettera all' assessore piemontese all' Agricoltura, Giorgio Ferrero, e al presidente del Consorzio Pecchenino per esprimere tutte le loro perplessità di fronte a una politica «sempre impegnata nell' ottica dell' aumento degli ettari e quindi delle bottiglie, mentre invece, con una strategia a lungo termine, si potrebbe portare il territorio, i produttori e i soci del Consorzio a convergere i propri sforzi sulla qualità».

 

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Spiegano il vice presidente Cia Cuneo, Claudio Conterno, e il direttore Igor Varrone: «Non si può parlare solo di ettari in più o in meno, correndo dietro al mercato. La zona di riferimento è fragile e va governata in modo lungimirante». E aggiungono: «E' incredibile che si vogliano aumentare gli ettari con un costo medio della bottiglia che rimane invariato. Dovremmo lavorare per aumentare la qualità del prodotto e alzare il prezzo bottiglia.

 

Con questo atteggiamento andiamo nella direzione opposta, a discapito di chi oggi produce un prodotto di qualità».

Dubbi che trovano il pieno appoggio di barolisti blasonati come Elio Altare di La Morra e Maria Teresa Mascarello di Barolo, aderenti Cia ma non associati al Consorzio. «Così roviniamo ciò che faticosamente abbiamo costruito con dedizione e serietà - dice Altare -. Il fatto che arrivi gente esterna che vuole salire sul carro vincente adesso non è tollerabile. Si può investire in altri territori che devono crescere. Un oggetto è prezioso quando è raro, non inflazioniamolo». Per Maria Teresa Mascarello, «rischiamo di fare come il Prosecco. Così agendo, il Consorzio non rispetta il suo ruolo, non tutela e non valorizza il territorio».

 

Sul fronte opposto, uno dei produttori più noti e presenti sul mercato come Pio Boffa della cantina albese Pio Cesare invita alla calma: «Non è certo aumentando di 10 ettari che si diminuisce la qualità del Barolo. E non è solo facendo crescere il prezzo che si potenzia la sua immagine. I francesi ci hanno messo 200 anni ad affermarsi, noi in 40 abbiamo fatto tanta strada e sfido chiunque a dire che quando il Barolo aveva 3,5 milioni di bottiglie stava meglio di oggi che ne ha 14 milioni». E aggiunge: «Non sempre ciò che è piccolo è bello e prezioso. Si può trovare un Bordeaux a 3mila euro a bottiglia o a 5 euro. L' immagine e la qualità la fanno le etichette, le aziende che garantiscono il prodotto e vanno in giro per il mondo a venderlo».

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Dal canto suo, il presidente del Consorzio di tutela ribadisce: «La maggioranza dei produttori è favorevole a un ampliamento, anche se siamo tutti consapevoli che è indispensabile un controllo.

Soffocare la crescita non significa necessariamente vendere più vino in bottiglia, anzi la cosa potrebbe tradursi nell' esatto contrario, favorendo lo sfuso vista la maggiore facilità nella vendita».

 

RIVOLUZIONE PROSECCO: STOP ALL' AUMENTO DI FILARI E PREZZI DA CHAMPAGNE

 

Andrea Zambenedetti per la Stampa

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Il Prosecco si appropria del mantra minimalista e scommette sulla qualità, a discapito della quantità, per entrare nel gotha dell' enologia mondiale assieme allo Champagne. No a nuovi impianti nell' area Docg, che punta tutto sul valore del prodotto. Intanto il Doc prova a soddisfare la voglia di bollicine nel mondo, pur centellinando gli aumenti di produzione.

 

L' area Docg, ristretta in una manciata di colline tra Conegliano e Valdobbiadene, è quella indicata nella vecchia Doc: 7.549 ettari che garantiscono una produzione di 93 milioni di bottiglie. Fisicamente impossibile aumentare la produzione (se non attingendo ad un eccezionale "supero di campagna" cioè l' extra produzione, come è successo due anni fa). Ma ancora più difficile risulterebbe individuare nuovi terreni vocati, del resto la superficie coltivata a vite è cresciuta del 68 per cento in dieci anni. Resta dunque un' unica possibilità: lo spostamento delle frontiere, con l' allargamento della Docg: una misura a cui puntano per esempio i sindaci dei comuni a ridosso dell' area.

 

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Chi apre ad aumenti di produzione, ma con il contagocce, è invece il consorzio Doc (area che comprende sia Veneto che Friuli) nel 2011 riempiva 141 milioni di bottiglie, oggi ne vende 410 milioni. Gli ettari coltivati a Glera (il vitigno da cui si ricava il Prosecco) da 20 mila sono passati a 24 mila 440 e per i prossimi tre anni è previsto un aumento di 1200 ettari all' anno.

 

Ampliamenti che saranno concessi solo sulla base di criteri rigidi, con un meccanismo a punti che limita l' accesso ai grandi produttori: l' obiettivo è soddisfare una domanda da capogiro che ha fatto decollare le bollicine del Nordest.

«Abbiamo deciso il blocco degli impianti nel 2011 - spiega il presidente del consorzio di tutela del Prosecco Doc Stefano Zanette - proprio per contenere e regolare la produzione.

L' obiettivo del provvedimento era evitare che ci fosse una deregolamentazione del valore.

 

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Ora però il mercato continua a crescere più della produzione.

Questo ha generato anche tensioni nel mercato che resta un osservato speciale. Per questa ragione abbiamo deciso di concedere piccoli aumenti di produzione, circa il 5 per cento. Numeri contenuti rispetto alla richiesta mondiale di bollicine, cresciuta del 7 per cento nei primi dieci mesi del 2017. Il Prosecco è cresciuto addirittura dell' 8». A ogni produttore vengono concessi massimo tre ettari, favoriti i giovani, chi garantisce la produzione bio e chi pianta alberi e siepi per tutelare biodiversità e rispetto del paesaggio.

 

«Per la nostra area - spiega Franco Adami, produttore di Prosecco Docg - una possibilità è puntare all' allargamento verso un' altra Docg, quella dei Colli Asolani.». Due consorzi, quello Doc e quello Docg, che devono per forza lavorare in sinergia.

 

«Calibrare gli aumenti di produzione è fondamentale - spiega Simone Cecchetto, produttore di Prosecco Docg e Doc - la Docg deve diventare il fiore all' occhiello, la Doc deve lavorare in maniera mirata tra allargamento dell' area e proiezioni di crescita».

 

«La sfida - spiega Innocente Nardi, consorzio di tutela Docg - non è puntare a trasformare i 7 mila ettari di bosco che sono inclusi nell' area, ma è far capire a chi compra una bottiglia del nostro vino cosa c' è dentro. Per ogni ettaro servono 6/700 ore di lavoro a fronte delle 150 in un vigneto di pianura. Puntiamo a far rimanere i viticoltori in collina permettendo loro di produrre un vino autentico, artigianale, culturale, storico. Oggi il prezzo medio è di 5,60 euro all' ingrosso, il nostro obiettivo è quello di non avere limiti nella crescita e arrivare ai livelli dello Champagne. Ma siamo convinti che nel medio termine ci sono i margini per crescere di un 20 per cento, trasmettendo il valore del nostro vino».

 

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Numeri e ragionamenti sui quali incombe la Brexit, uno spettro che aleggia sulle colline del Prosecco per le quali l' Inghilterra rappresenta il più importante mercato. «Non si può pensare che ci siano barriere doganali al nostro vino - ripetono sulle colline tanto decantate da Zanzotto - auspichiamo una stabilità dei rapporti». Insomma, brindino pure alla Brexit ma con il Prosecco.

 

 

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