F.Pac. per “la Stampa”
E fu così che l' hijab , il fazzoletto indossato dalle donne musulmane, debuttò su «Playboy», la quintessenza delle riviste sensibili non al porno, con buona pace dei più nostalgici tra gli onanisti, ma a quanto fa tendenza, cool, sexy e soprattutto urban tribes. Uno degli ultimi numeri della nota rivista americana ospita nello speciale «Renegades» il «coming out» della giornalista 22enne Noor Tagouri, adamantina nel farsi fotografare con i jeans, il giubbino di pelle nera e l' intera impalcatura dell' immaginario pop mentre spiega come velarsi le abbia dato fiducia facendo di lei giovane musulmana una emancipata narratrice dell' attualità.
Facile immaginare quante critiche, quasi mai civili, abbia ricevuto Noor Tagouri. All' indomani della controversa estate del "burkini" infatti, l' hijab ha assunto i connotati ambivalenti di qualsiasi tabù, croce e delizia del rimosso di freudiana memoria anche presso chi fino adesso aveva devotamente osservato la propria ortodossia coranica senza rivendicarla quasi fosse una scelta politica e presso chi, sul fronte opposto, non si era mai neppure voltato a guardare una musulmana con il capo coperto.
La verità è che, a una velocità inimmaginabile prima dei social network, le differenze culturali tra l' Occidente figlio di Voltaire e il mondo musulmano che pure in Occidente vive si sono moltiplicate sotto la pressione del terrorismo, delle migrazioni, della paura scaturita dai vicoli del villaggio globale. E hanno stuzzicato l' appetito del mercato, sempre alla ricerca di nuove riser ve di consumatori.
Succede così che, per esempio, la prima conseguenza della temporanea messa al bando del costume-tuta denominato "burkini" da parte di una Francia legittimamente scioccata per le 230 vittime del terrorismo di matrice islamista post Charlie Hebdo sia stata il boom delle vendite: ad agosto, tanto l' ideatrice della mise per bagnanti ultra-discrete Aheda Zanetti quanto il fondatore della Islamic Design House Harun Rashid hanno registrato un più 200% nelle richieste del capo.
Non sono i soli ad aver beneficiato di un trend veicolato dalla domanda crescente, dal passaparola ma anche da una buona dose di provocazione ideologica.
All' inizio di settembre la 30enne stilista indonesiana Anniesa Hasibuan ha presentato alla New York Fashion Week una collezione di abiti pioniera nel proporre solo modelli comprendenti l' hijab e ha concluso la sfilata con una eccezionale standing ovation frutto probabilmente di una miscela di genuino apprezzamento estetico, sostegno di genere e residui di relativismo culturale amplificati dalle polemiche sul riproposto scontro delle civiltà.
Il marketing ha scoperto da tempo l' universo halal , la parola con cui l' Islam indica i prodotti conformi alla religione. C' è la cosmetica: secondo il rapporto della Thomson Reuters «State of the global islamic economy 2014-15» entro il 2019 i musulmani spenderanno 73 miliardi di dollari in prodotti di bellezza, 30 miliardi in più di quanto speso nel 2013. C' è il cibo, un business da oltre 4 miliardi di euro nella sola Italia, vale a dire la patria di una minima percentuale della popolazione musulmana europea (figurarsi di quella mondiale).
ANNIESA HASIBUAN 2 la stilista anniesa hasibuan
C' è la moda. Diversamente dal niqab , la copertura integrale delle donne che raccoglie una disapprovazione assai più condivisa e diffusa, l' hijab aveva già ricevuto un certo sdoganamento sociale prima che la nuova ondata di terrorismo con la conseguente reciproca diffidenza tra Occidente e Islam riproponesse muri altrimenti abbattuti. Ora «Playboy» rilancia: le femministe europee, americane, arabe, islamiche, filo -islamiche e anti-slamiche sono avvertite.