GRASSO CHE COLA (E CHE NON SMALTISCI) – ECCO PERCHÉ LA DIETA VA KO: UN INTERRUTTORE NEL CERVELLO SPINGE CHI È OBESO A MANGIARE SEMPRE DI PIÙ - UN VERO LOOP: L'AUMENTO DI PESO GENERA UN ULTERIORE AUMENTO DI PESO

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Giorgio Calabrese per la Stampa

 

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I tassi di obesità nel mondo sono saliti vertiginosamente e dimagrire diventa sempre più difficile. Intanto anche il prezzo da pagare sale: oltre ad aumentare notevolmente il rischio di sindrome plurimetabolica, il sovrappeso favorisce malattie cardiache, ipertensione, diabete, disturbi del sonno.

 

Secondo uno studio condotto dalla Harvard University, negli Usa, il costo dei problemi di salute legati al peso è di oltre 190 miliardi di dollari l' anno. Oggi ci sono più persone in sovrappeso che persone magre e, tra le cause più frequenti dell'«obesità resistente», la più importante sembra essere quella derivante dall' azione del grasso corporeo: questo stimola la produzione di un enzima, il quale riesce a desensibilizzare il cervello rispetto all' azione della leptina, vale a dire l' ormone che, normalmente, mette un freno alla fame.

 

Mettendo in luce i dettagli di questo processo molecolare, una ricerca di Dinorah Friedmann-Morvinski, biologa cellulare all' Università di Tel Aviv, in Israele, e coautrice dell' articolo con Martin Myers, diabetologo dello stesso ateneo, suggerisce ora nuovi potenziali - e interessanti - approcci terapeutici.

giorgio calabrese giorgio calabrese

 

Pubblicato su «Science Trasnlational Medicine», lo studio fa luce proprio su una serie di aspetti inattesi sul perché gli individui obesi faticano a perdere peso: il punto è l' obesità percepita nel cervello e non negli organi preposti, come lo stomaco.

 

È noto che l' ormone leptina è «anoressogeno», vale a dire ricopre un ruolo fondamentale per regolare lo stimolo alla fame. Questa molecola comunica con la regione cerebrale dell' ipotalamo, deputata a reprimere l' impulso della fame quando le riserve di energia sono a posto. Ma con l' aumentare del peso il corpo diventa sempre meno sensibile alla leptina, rendendo sempre più difficile dimagrire. Un vero «loop»: l' aumento di peso genera un ulteriore aumento di peso!

 

In un esperimento condotto con topi diventati obesi con una dieta ad alto contenuto di grassi il team ha scoperto che l' obesità aumenta l' attività di uno specifico enzima: chiamato Mmp-2 (metalloproteinasi della matrice 2), scinde una porzione del recettore della leptina nell' ipotalamo, compromettendo così la segnalazione dell' ormone e la sua capacità di sopprimere l' appetito.

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Lo studio ha anche rivelato che, disabilitando Mmp-2 con una tecnica di «silenziamento genico» (che prevede l' iniezione di un tratto di Rna nell' ipotalamo del topo), è possibile ridurre l' aumento di peso nei topi obesi, prevenendo la scissione dei recettori della leptina. Al contrario la somministrazione, con un vettore virale, di Mmp-2 nella stessa regione cerebrale favorisce un successivo aumento di peso e il distacco dei recettori.

 

«Il concetto di "resistenza alla leptina" era già noto - dice Dinorah Friedmann-Morvinski - ma il nostro contributo è stato di rivelare il meccanismo attraverso il quale l' obesità induce l' attivazione di Mmp-2 nell' ipotalamo, che pregiudica quindi la successiva cascata di segnalazione della leptina». Gli autori hanno anche scoperto che il trattamento in vitro delle cellule ipotalamiche, con composti infiammatori, aumenta l' espressione del gene Mmp-2, suggerendo che l' inizio dell' obesità sia legato a uno stato di infiammazione.

 

Una serie di ricerche precedenti aveva già corroborato l' idea che le diete ad alto contenuto di grassi e alto contenuto calorico possano indurre un' infiammazione cronica di basso livello nell' ipotalamo: questa, nel tempo, può portare proprio all' aumento della produzione di Mmp-2. Ora le nuove scoperte aprono la strada a terapie specifiche con cui smorzare l' infiammazione nel cervello, riducendo l' attività di Mmp-2 e aumentando la reattività alla leptina.

 

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La sfida, tuttavia, sarà sviluppare un trattamento adatto agli esseri umani, dal momento che - com' è evidente - non è ipotizzabile eseguire iniezioni regolari nell' ipotalamo. Il team israeliano punta, perciò, a un farmaco incapsulato in una particella nanometrica e in grado di raggiungere il cervello e bloccare così l' attività di Mmp-2.

 

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