MI PENTO E MI DOLGO - DA FEBBRAIO A OGGI MOLTO CAMORRISTI HANNO IMPROVVISAMENTE AMMESSO IN AULA I LORO CRIMINI - PERCHE’? NON SARÀ CHE TUTTI QUESTI RAPIDI “PENTIMENTI” SIANO SOLO UN MODO PARACULO PER EVITARE L’ERGASTOLO? AD ALCUNI BOSS E’ GIA’ CAPITATO...

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Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”

 

scampia scampia

Il primo ad ammettere le sue responsabilità è stato Gennaro Marino, alias Genny McKay, uno dei protagonisti di «Gomorra», il libro. Dopo aver contestato per anni l'accusa di essere il mandante del duplice omicidio di Fulvio Montanino e Claudio Salierno (28 ottobre 2004, il delitto che segnò l'inizio alla guerra degli Scissionisti contro il clan Di Lauro), chiese la parola dal carcere di Cuneo, dov'è rinchiuso al 41 bis, e in videoconferenza disse al presidente della corte d' assise di Napoli: «Mi assumo le mie responsabilità degli addebiti che mi vengono contestati, e sono spiacente per questo dal profondo del cuore. Purtroppo non mi resta che chiedere scusa alle famiglie delle vittime».

 

scampia scampia

Poi smentì di aver ordinato l'uccisione dei parenti di un pentito e concluse: «Purtroppo ero un'altra persona, oggi sono un'altra persona. Non lo rifarei. Grazie presidente». Era il 10 febbraio di quest'anno. Nell'aula dove s'erano consumate contrapposizioni frontali e negazioni dell'evidenza, un'iniziativa tanto accomodante provocò stupore e sconcerto. L'avvocato di Marino andò a complimentarsi per la vittoria con il pubblico ministero Stefania Castaldi, un decennio speso alla ricerca delle prove contro gli assassini della faida di Scampia, che però ebbe tutt' altra sensazione.

Carmine Pagano Carmine Pagano

 

Dopo McKay, nelle udienze successive cominciò la sfilata delle confessioni. Con formule quasi rituali, e una certa fretta nel recitarle. «Presidente, volevo assumere tutte le mie responsabilità per questo episodio di cui stiamo parlando. Nient'altro, buongiorno», disse Arcangelo Abete, e a seguire Ciro Mauriello: «Mi assumo ogni debito, faccio presente che la cosa più importante per me sarebbe ottenere il perdono dei familiari delle vittime, e chiedo umilmente scusa».

 

Secondo l'accusa Abete e Mauriello sono gli esecutori materiali del duplice delitto. I killer. Ma gli imputati sono di più. Il 15 marzo Cesare Pagano e il nipote Carmine Pagano seguirono lo stesso copione, e subito dopo intervenne di nuovo Abete; spiegò che a parte quelli «che hanno ammesso le proprie responsabilità», gli altri non c'entravano: «Per un fatto di coscienza sono innocenti di questa storia, non sanno niente».

 

Cesare Pagano Cesare Pagano

Capitolo chiuso, insomma. Peccato che a settembre si è pubblicamente dispiaciuto pure Enzo Notturno: «Dopo tanti anni di detenzione ho riflettuto e ritengo di ammettere le mie colpe in questo processo, pertanto vorrei chiedere scusa alle famiglie delle vittime. Grazie». Strano. Molto strano.

 

Una simile sequela di ravvedimenti, tanto improvvisi quanto frettolosi, da parte di camorristi costretti al «carcere duro», fa sorgere il sospetto di una strategia. Il tentativo di evitare all'ultima curva, con la repentina ammissione di colpa, la condanna al carcere a vita.

 

Nel processo d'appello per altri due omicidi, pochi mesi fa, Cesare Pagano c'è riuscito. In aula aveva fatto la stessa manovra, e i giudici di secondo grado hanno ritenuto che non fosse, come denunciato dall' accusa, «una scelta necessitata» dalle prove schiaccianti a suo carico, bensì «un primo passo verso una presa di coscienza del proprio passato, che legittima la concessione delle attenuanti generiche».

 

PAOLO DI LAURO PAOLO DI LAURO

Risultato: condanna ridotta a trent'anni. Con la speranza che, scrollatosi di dosso il fardello del «fine pena mai», un giorno possa liberarsi anche del 41 bis. E accedere a qualche beneficio. Al boss Enrico D'Avanzo, cognato di Paolo Di Lauro, è accaduto. Dopo un ergastolo confermato in secondo grado la Cassazione ha annullato il verdetto, lui è rimasto dentro a causa di altre condanne, ma il regime carcerario è stato declassato da «duro» ad «alta sicurezza», e di recente un permesso gli ha consentito di uscire di prigione per qualche ora.

 

RAFFAELE CUTOLO NEGLI ANNI OTTANTA RAFFAELE CUTOLO NEGLI ANNI OTTANTA

A scavare nel passato, torna alla mente una vicenda dei primi anni Novanta. Era il periodo dei grandi pentimenti seguiti alle stragi di mafia del '92. Il camorrista Angelo Moccia (difeso dallo stesso avvocato che ora assiste Marino-McKay e Pagano) decise di accusare se stesso ma non i complici.

 

Ne nacque un movimento d'opinione per una legge che estendesse i benefici anche a questa categoria di detenuti, com'era avvenuto con i terroristi, ma non se ne fece nulla. In seguito ci riprovò qualche siciliano, e una legge per i dissociati di Cosa nostra rientrava nelle richieste della cosiddetta trattativa Stato-mafia. Oggi non c'è aria di concessioni, e il 41 bis è entrato definitivamente nell'ordinamento penitenziario.

 

Ecco allora l'ipotesi che le inattese espressioni di rammarico dei boss di Gomorra che galleggiano intorno ai cinquant'anni d' età (ma alcuni sono molto più giovani) servano a porre le basi per non finire i loro giorni in cella. Poter coltivare l'aspettativa di uscire, prima o poi. E magari avere il tempo di godersi un po' dei tanti soldi accumulati negli anni del traffico di droga e tenuti nascosti agli inquirenti, al contrario di quanto devono (o dovrebbero) fare i collaboratori di giustizia.

 

Raffaele Cutolo Raffaele Cutolo

Altri due camorristi di peso, Edoardo Contini e Giuseppe Lo Russo, dopo aver confessato di aver fatto ammazzare un esponente del gruppo di Raffaele Cutolo nel 1983, hanno avuto trent'anni di pena. Se tutto questo rientra in una strategia, il processo per gli omicidi Montanino-Salierno diventa un banco di prova. Ormai è giunto alla fine, domani il pm pronuncerà la requisitoria, poi toccherà alle difese e quindi ai giudici. Che dovranno valutare se uno sbrigativo «mi dispiace» è sufficiente a evitare l' ergastolo.

 

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