NEONATO IN OVERDOSE DI MORFINA: L’INFERMIERA SOTTO ACCUSA SI DIFENDE: “L'HO SALVATO” - A INSOPETTIRE I COLLEGHI LA PRONTEZZA DELLA DONNA NEL SOMMINISTRARE AL PICCOLO DEGLI ANTI-OPPIACEI DOPO LA CRISI RESPIRATORIA PROVOCATA DALLA SOSTANZA - DA CHIARIRE SE IN PASSATO ALTRI BABY-PAZIENTI “ROGNOSI” SIANO STATI SEDATI ALLO STESSO MODO

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1 - MORFINA A UN NEONATO, INFERMIERA ARRESTATA

Andrea Priante per il Corriere della Sera

 

FEDERICA VECCHINI FEDERICA VECCHINI

Il neonato del «box 1» che si sente male, il cuoricino che quasi si ferma. Sta per morire. E mentre l' équipe medica ancora si chiede cosa stia accadendo, un' infermiera comincia a dare indicazioni ai medici: «Del Naloxone, subito!». Nel reparto scende il gelo e alla fine il medico di guardia ordina: «Fate come dice». Andò così, quella notte tra il 19 e il 20 marzo, nel reparto di pediatria neonatale del policlinico di Borgo Roma, a Verona. E per qualche ora l' infermiera Federica Vecchini, 43 anni, fu l' eroina dell' ospedale, visto che il bimbo si è salvato per un soffio proprio grazie a quella sostanza, un' antagonista degli oppiacei.

 

Una diagnosi azzeccata. Precisa al millimetro. Forse troppo. Quando, il giorno successivo, il medico riferì l' episodio al direttore della Pediatria, iniziarono le verifiche interne. Poi un' indagine penale, che mercoledì ha portato all' arresto dell' infermiera - 18 anni di servizio, «una delle migliori del reparto», assicura il primario - con le accuse di lesioni gravi e cessione di sostanza stupefacente. Quella sicurezza così ostentata, la dose esatta del farmaco suggerita al dottore e le testimonianze delle colleghe, hanno portato la squadra mobile di Verona a ipotizzare che abbia somministrato della morfina al piccolo.

neonato neonato

 

Perché piangeva troppo, era «rognoso». E le analisi evidenziano tracce di oppiacei nel sangue del bimbo, nato prematuro e pronto per essere dimesso. Quella sera, Vecchini non avrebbe dovuto occuparsi di lui. Era responsabile del neonato al «box 4», l' unico che necessitava di una terapia a base di morfina. E quando la collega addetta al «box 1» è rientrata dopo una pausa di quindici minuti, ha trovato la donna con il neonato tra le braccia, che succhiava un ciuccio che prima non aveva.

 

Poi c' è stato solo il tempo per il malore e il «miracoloso» salvataggio. Da qui il sospetto che sia stata proprio lei a «drogarlo» per via orale: qualche goccia nel succhietto. «L' ha fatto altre volte - ha detto una collega alla polizia - per calmare i bimbi». Non solo. Vecchini, in un momento di frustrazione, avrebbe definito «bambino rognoso» il piccolo, perché piangeva troppo. Lei nega ma le indagini vanno avanti per capire se davvero abbia usato oppiacei anche su altri bimbi.

 

 

2 - MADRE DI TRE FIGLI E GRAN LAVORATRICE: «SONO INNOCENTE IO L' HO SALVATO»

neonato neonato

Alessio Corazza per il Corriere della Sera

 

Incredulità è un termine che descrive a stento il sentimento comune tra il personale dell' Azienda ospedaliera di Verona quando si sparge la notizia che una collega, un' infermiera di lungo corso e stimata da tutti, avrebbe messo a rischio la vita di un neonato somministrandogli della morfina semplicemente per non farlo piangere.

 

Incredulità, tanto per cominciare, per una mossa tanto rischiosa per motivi così futili.

Incredulità per l' unità neonatale in cui tutto ciò è avvenuto, una trincea dove si lotta ogni giorno per strappare alla morte creature fragilissime. «Come potremo riprenderci da tutto questo? Saremo per tutti quelli che danno la morfina ai bambini», dice sbigottita una specializzanda.

 

neonato neonato

Soprattutto, incredulità per la biografia professionale della presunta responsabile, Federica Vecchini, 43 anni, in servizio all' Azienda ospedaliera da circa vent' anni. «Brava, competente, molto esperta e amante dei bambini», la descrivono i colleghi di reparto. «Era considerata una delle più brave», conferma Paolo Biban, primario di pediatria a indirizzo critico e suo diretto responsabile.

 

L' infermiera al momento nega tutto e avrà modo di farlo anche questa mattina davanti al giudice per le indagini preliminari Livia Magri che la raggiungerà al carcere di Montorio per l' interrogatorio di garanzia. Dovrà dare la sua versione di come siano andate davvero le cose la notte tra il 19 e il 20 marzo scorso all' ospedale di Borgo Roma.

 

NEONATO NEONATO

Spiegare come sia possibile che il bimbo affidatole da una collega abbia rischiato di morire poco dopo per una crisi respiratoria gravissima provocata da una massiccia dose di morfina. Di come lei stessa abbia potuto comprendere - l' unica in reparto - quello che stava accadendo e soprattutto perché, tanto da convincere il medico in servizio ad utilizzare correttamente un farmaco inibitore degli oppiacei, che ha salvato la vita al piccolo.

 

Ieri, parlando con il suo avvocato Massimo Martini, l' infermiera ha negato in modo deciso tutti gli addebiti, professando la sua innocenza. «Ho pensato a quel farmaco perché ho subito riconosciuto i sintomi. Faccio da vent' anni questo lavoro, ho una grande esperienza. E tutti i miei colleghi hanno rimarcato la mia affidabilità dal punto di vista professionale». La conclusione cui è giunta l' indagine interna dell' ospedale prima e quella degli inquirenti poi, è però opposta: sapeva che quel farmaco sarebbe stato efficace perché era stata lei a somministrare la morfina al neonato, probabilmente versandone alcune gocce su un ciuccio.

POLICLINICO BORGO ROMA A VERONA POLICLINICO BORGO ROMA A VERONA

 

Sono tanti, ancora, i punti da chiarire. Uno su tutti: era la prima volta che in quel reparto i neonati «rognosi» venivano sedati con la morfina o era già accaduto in passato? «Noi siamo caduti dalle nuvole, non sappiamo raccapezzarci per quanto accaduto», dice ancora il primario Biban. E aggiunge: com' è possibile che un' infermiera di simile esperienza, e oltretutto madre di tre figli possa essersi resa responsabile di un simile comportamento?

 

«Saper vivere sta nell' avere gli occhi di chi ne ha passate tante e il sorriso dichi le ha superate tutte», scrive lei sulla sua pagina Facebook. Al suo paese, i vicini raccontano di due divorzi alle spalle, ma anche di una donna di bell' aspetto, curata, gentile, anche se un po' schiva. «Lavorare in quel reparto è molto stressante, non a caso molti chiedono il trasferimento, forse ha fatto burn-out - confidano alcuni colleghi - Certo, nulla può giustificare quello che è successo».

 

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