"MIO PADRE È MORTO PER COVID-19, MA ALLA CASA DI RIPOSO NESSUNO MI HA CREDUTO" – IL RACCONTO DI UNA DONNA PIEMONTESE CHE HA RIVELATO COME, DOPO AVER PERSO IL PADRE 87ENNE, HA AVVISATO LA RSA TRISOGLIO DI TROFARELLO DOVE PERÒ HANNO FATTO SCATTARE L’ALLARME SOLO 11 GIORNI DOPO – ORA È UNA CATASTROFE: 29 ANZIANI SU 82 SONO MORTI, 19 OPERATORI SU 60 SONO POSITIVI E 20 OSPITI STANNO ANCORA…

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Niccolò Zancan per “la Stampa”

 

la casa di riposo trisoglio

Erano 82 persone, 29 sono morte, tutte le altre si sono ammalate tranne 7. «Mio padre è stato il primo a morire dentro la casa di riposo Trisoglio di Trofarello, il primo caso ufficiale di Covid in questa catastrofe», dice la signora Rosella Marasco.

 

Si chiamava Cosimo Marasco, 87 anni, ex operaio alla Fiat, possedeva il 75 per cento di un piccolo appartamento nella provincia di Torino, ragion per cui era ritenuto benestante. Così il ricovero nella struttura pubblica, convenzionata con il privato, costava alla sua famiglia 2700 euro al mese. «Mi hanno chiamato la sera di domenica 22 marzo. Mi hanno detto: "Ha 38 di febbre.

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È saturato da 95 a 86. Lo portiamo all' ospedale di Moncalieri". La dottoressa del pronto soccorso mi ha chiamato subito, e non dimenticherò mai le sue parole, perché sono state queste: "È arrivato in condizioni tragiche. Anche senza l' esito del tampone, posso dirle con certezza che si tratta di coronavirus". Gli avevano fatto delle lastre ai polmoni. Mio padre è morto la mattina di martedì 24 marzo.

 

Quella dottoressa è stata eccezionale: mi ha chiamato dicendomi una piccola bugia, ma io ho capito che non era soltanto peggiorato. Mi ha fatto bardare con la tuta e con i guanti, con la promessa che non avrei sfiorato neppure una parete. Così ho potuto vederlo da lontano: morto. Alle 11 di mattina la bara era già chiusa. Io avevo avvisato subito la casa di riposo. Ma non volevano credermi».

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Fino a quel giorno, nessuno aveva mai pronunciato la parola Covid dentro la Rsa di Trofarello. Era impossibile capire cosa stesse succedendo. Arrivavano poche informazioni, tutte rassicuranti. La struttura era stata chiusa ai parenti a partire dal 9 marzo. «Prima cercavo di andare a trovare mio padre quasi ogni sera. Tutti sappiamo che più ti fai vedere, più se ne prendono cura.

 

L' ultima volta che ho cenato con lui ho visto che Luigi, il suo compagno di stanza, che teneva la bombola dell' ossigeno sul comodino, era morto. Per questo non saprei dire esattamente quando sia iniziata la strage. Ma so che mio padre è stato il primo a ricevere un tampone. Gliel' hanno fatto in ospedale. Quando ancora negavano tutto».

 

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Secondo la Cgil i morti all' interno della struttura di Trofarello sarebbe addirittura 40, ma quei dati vengono contestati dalla direzione, che fissa il numero a 29. La prima comunicazione ufficiale alle famiglie è stata inviata il 2 aprile, porta la firma del direttore sanitario Regine Guillevin: «Con dispiacere debbo confermare le notizie pubblicate dalla stampa e dai social media sulla presenza di infezioni Covid19 nella struttura». Erano passati 11 giorni dal primo caso.

 

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Il 10 aprile arriva la seconda comunicazione ai parenti: «In questa fase, le priorità sono tutelare la salute degli ospiti e assicurare al personale un elevato standard di sicurezza operativa. Pur comprendendo le aspettative di ricevere informazioni di maggiore dettaglio, obblighi di riservatezza gravanti su questo ente impediscono la divulgazione di ulteriori dati e informazioni a soggetti diversi da quelli deputati alla gestione dell' emergenza».

 

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Ma quello che sta succedendo è ormai fuori controllo: anche 19 operatori su 60 sono positivi al Covid. Molti altri stanno in isolamento. C' è carenza di mascherine. I ricambi sono pochi. Compaiono annunci su Facebook per arruolare volontari. Messaggi che sono preghiere: «Buongiorno a tutti, vi chiedo un enorme favore urgente. Si cerca personale, di ogni qualifica, per assistenza anziani per la casa di riposo Trisoglio di Trofarello. Per favore aiutateci». Ci sono stati momenti in cui erano soltanto 5 gli operatori in servizio.

 

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Ancora oggi 20 ospiti stanno aspettando il tampone. La direzione spiega: «A fronte della sopravvenuta defezione di personale - peraltro solo parzialmente riconducibile a situazioni di contagio da Covid19 - si è inoltre proceduto all' assunzione di 22 nuove risorse per garantire adeguati livelli di assistenza degli ospiti».

 

Gli operatori sanitari che lavorano nelle Rsa vivono una doppia paura. Quella del contagio, e quella del licenziamento. «Mi ha chiamato un' infermiera che voleva bene a mio padre», dice ancora la signora Marasco. «È stata assunta in subappalto. È l' unica che guadagna nella sua famiglia. Si è ammalata di Covidi19, è stata malissimo. Ma ha paura di esporsi». Stanno nascendo i primi comitati, quelli dei parenti e quelli degli operatori sanitari.

 

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La solitudine nelle Rsa piemontesi è disperata. Ancora secondo la Cgil, al 13 aprile 2020 sono 450 le persone morte nelle strutture della regione. Ma adesso il numero è cresciuto ulteriormente: oltre 500. Ecco perché i dati sulla mortalità da Covid 19 sono così negativi in Piemonte.

 

Sono i 25 morti della Rsa San Giuseppe di Grugliasco, portati allo scoperto dai vicini che vedevano dalle finestre un viavai continuo di carri funebri. Sono i 17 morti della Rsa San Matteo di Nichelino, con alcuni anziani trasportati prima a Torino e poi riportati indietro come pacchi. Sono i 7 morti della Rsa Cha Maria di Lauriano, con 31 dipendenti su 36 positivi al Covid.

 

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Sono i 50 malati su 100 della Sacra Famiglia di Mondovì, dove il direttore Diego Bottero per giorni e per settimane ha implorato perché potessero essere fatti i tamponi. Sono gli 11 morti su 37 positivi alla Rsa di Villanova di Mondovì, trasferiti a mezzanotte del 5 aprile nell' unico posto dove non dovevano essere portati.

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L' ospedale di Mondovì è stato chiuso per due giorni. I pazienti sono stati trasferiti altrove, a morire. L' ultima vittima, fino a questo punto del massacro, si chiamava Graziella Migliore, aveva 82 anni.