"I NOSTRI FIGLI? NON LI GESTIAMO PIU'" - I GENITORI DELLA BABY GANG CHE A GALLARATE (VARESE) AGGREDIVA E DERUBAVA IN PIENO CENTRO I COETANEI, HANNO DICHIARATO ALLA POLIZIA DI NON SAPERE PIU' COME FERMARLI - I QUATTRO, TRA I 14 E I 16 ANNI, AGIVANO QUASI PER UNA NATURALE SEQUENZA VIOLENTA, SENZA UN PROGETTO: MENTRE CAMMINAVANO PER LA STRADA PARTIVANO ALL'ATTACCO E... - VIDEO

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Andrea Camurani e Andrea Galli per il Corriere.it

 

GALLARATE RISSA 1 GALLARATE RISSA 1

«Con questi abbiamo finito». Nelle carte dell’inchiesta sulla (di nuovo) delinquenza minorile (ancora) a Gallarate, ci sono calci, pugni e rapine che hanno generato prognosi in ospedale, e c’è un’unica frase, udita e riportata dall’amica di una vittima: «Con questi abbiamo finito». Parole che confermano la serialità del gruppo, formato da quattro ragazzini di 14, 15 e 16 anni, i quali agivano quasi per una naturale sequenza violenta, esterna o quantomeno non riconducibile soltanto al valore della merce da conquistare. In ordine sparso: un orologio, un monopattino, gli auricolari del telefonino; insomma, quanto vedevano in possesso della preda.

 

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Le tecniche di assalto. A completamento delle indagini del Comando provinciale dei carabinieri e della Compagnia di Gallarate, il Tribunale dei minori ha disposto un’ordinanza di custodia cautelare di collocamento in comunità. Se la reiterazione della geografia, quella provincia di Varese già raccontata dal Corriere, si conferma non essere casuale e dovrebbe avviare sul posto un dibattito anche e soprattutto di chi governa interagendo con le agenzie e gli operatori sociali, nonché le scuole, rimane, nella sua cruda essenza, il solito modus operandi.

 

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I quattro non avevano progettato la creazione di una classica formazione criminale, non avevano pianificato i colpi, non avevano studiato la scena a cominciare dalle vie di fuga. Soprattutto, ci fosse stato per appunto un «progetto», forse avrebbero deciso di aggredire lontano da Gallarate (cittadina di residenza di tre, l’altro abita non lontano, a Cassano Magnago), diminuendo i rischi di venire presto identificati, come invece successo, da persone che li conoscono o li hanno visti circolare.

 

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E invece, mentre camminavano, tra un liceo e una gelateria, i ragazzini partivano all’attacco. C’era, sì, una profonda coesione, una coralità, una profonda unità di intenti. Nessuno, quando per esempio negli agguati scaturivano «difficoltà», intese come resistenza delle vittime, si sottraeva all’aiuto dei complici, senza badare alle conseguenze (il fare male a un coetaneo) e alla possibilità che, aumentando il tempo d’esecuzione, potesse crescere il numero dei testimoni e potessero arrivare le forze dell’ordine.

 

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I controlli della polizia. Può contribuire a una piena lettura di quest’inchiesta riportare il comportamento di uno dei papà dei ragazzini, perché risulta troppo facile ricondurre la delinquenza minorile al cliché di famiglie sfasciate, figli ormai perduti, a vicende di immigrazione e di seconda generazione, di incuranza e di strafottenza degli adulti. Ogni storia, al solito, è a sé stante, pur dovendo ripetere, per onore di cronaca, la densità statistica in questo territorio dove comunque anche la Questura di Varese ha, da tempo, dedicato personale e risorse speciali, un continuo monitoraggio e la ricerca della migliore strategia possibile, al netto di un’evidenza: appare esercizio banale demandare ogni volta ogni criticità alle forze dell’ordine.

 

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Comunque sia, questo padre aveva saputo, proprio dal suo ragazzo, che lui aveva commesso una rapina; l’aveva allora invitato ad andare dai carabinieri, un invito o forse un ordine disatteso; e agli investigatori quest’uomo aveva riferito delle brutte compagnie, non unicamente con coetanei, scelte dal ragazzino, che il papà, testuale, affermava di non riuscire più a gestire. I ragazzini coinvolti hanno in misura eguale (due e due) un passato di altri guai con la giustizia e la fedina penale limpida, pur al netto di segnalazioni, nell’ambiente scolastico, di problematiche già emerse e che si erano pure ripetute.

 

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La deriva delinquenziale. Se si poteva anticipare questa deriva, che in conseguenza dei provvedimenti giudiziari segnerà per sempre le esistenze dei minorenni, resta una domanda senza al momento una risposta. Il gip, nella stesura del provvedimento, ha sottolineato le condotte violente e «la sistematicità dell’attività» e «le azioni delittuose» di ragazzini «che hanno palesato di aver posto in essere, nella stessa giornata, plurime condotte di rapina ai danni di soggetti diversi».

 

La scelta della comunità anziché del carcere, si ispira però a un ragionevole ottimismo della magistratura affinché, in considerazione della giovane età, qualcosa se non tutto si possa ancora salvare, sempre che vi sia, da parte dei diretti interessati, l’accettazione dell’autorità.

 

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In analoghi casi a Milano, nella zona della Darsena, i carabinieri hanno raccontato della frequenza con la quale, quando accorrono per sedare una rissa oppure un lancio indiscriminato di bottiglie di vetro contro obiettivi occasionali (le vetrine di un negozio come un tram, ignari passanti come i rider in attesa fuori dai ristoranti), i violenti non si fermano. Non lo fanno all’udire in lontananza le sirene delle pattuglie; non lo fanno alla discesa dei carabinieri delle macchine.

 

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