L’ULTIMA FRONTIERA – VIAGGIO A MCALLEN, LA CITTÀ DEL TEXAS DIVENTATA FAMOSA PER LE IMMAGINI DEI MIGRANTI BAMBINI IN GABBIA – IN 855 METRI QUADRATI CI SONO PIÙ DI MILLE PERSONE IN ATTESA DI ESSERE SMISTATE IN ALTRE STRUTTURE – UNA SUORA VOLONTARIA: “NON HO MAI VISTO NULLA DEL GENERE. TRUMP SI ILLUDE. CONTINUERANNO AD ARRIVARE” – VIDEO

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Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera

 

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Nell’ultimo grande parcheggio in terra americana, prima dell’International Bridge che porta dalla cittadina texana di McAllen al Messico, tra outlet di merce scadente e qualche cambiavalute, è possibile aggiornare il tariffario applicato dai trafficanti di esseri umani.

 

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Fino a qualche settimana fa il racket chiedeva 100 dollari per il passaggio del Rio Grande, biglietto singolo, da sponda a sponda. Il «servizio completo», guado del fiume e trasporto fino a un’altra destinazione negli Stati Uniti, costava tra i 1.000 e 3.000 dollari. Un po’ di più, non è chiaro per quale motivo, per i cinesi e per i pakistani. Adesso ci vogliono almeno 5 mila dollari e, nei «casi più complicati», anche 10 mila.

 

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Ecco qual è il primo risultato concreto della «tolleranza zero». La strategia voluta da Donald Trump per contrastare l’immigrazione illegale e che prevede la separazione dei bambini dai loro genitori. Tutto sommato Juan Roman, 31 anni, dell’Honduras, dice di considerarsi «fortunato»: «Ho pagato 500 pesos, 25 dollari, per me e per lei», e indica Jamile, 4 anni, un nastro giallo tra i capelli e un orsacchiotto rosso tra le mani. Hanno trovato rifugio nel centro di accoglienza della Sacred Catholic Church. «Ha organizzato tutto un mio amico, da qui in Texas. L’altro ieri ho preso mia figlia in braccio e ho attraversato il fiume».

 

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McAllen è ormai famosa in tutto il mondo, dopo che domenica scorsa un gruppo di giornalisti ha avuto accesso al Border Patrol centralized immigration processing center. In pratica un basso quadrilatero di cemento, recintato da barriere protettive, in cui sono detenuti, in uno spazio di 855 metri quadri, 1.120 migranti senza documenti, in attesa di essere smistati in altre strutture del Texas. Persone nelle gabbie, i bambini allontanati dai genitori e sdraiati su materassini sparsi alla rinfusa sul pavimento. Sono le immagini che hanno indignato il mondo.

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Ieri la situazione era già rientrata nel format classico dell’evento mediatico. Le troupe televisive stavano montando le postazioni davanti agli ingressi e alla porta un graduato della Border Police respingeva cortesemente i giornalisti, invitandoli a rivolgersi «all’ufficio delle relazioni pubbliche», mandare richieste via mail, eccetera, eccetera.

 

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Come dire: tutto sotto controllo. In realtà, è esattamente il contrario. I racconti e le voci smentiscono le rassicurazioni che arrivano dalla ministra per la Sicurezza interna, Kirstjen Nielsen: «Non ci sono abusi, stiamo applicando la legge». Anne Chandler, direttrice dell’ufficio del Tahirir Justice Center di Houston, ha raccontato al Texas Monthly di aver raccolto diverse testimonianze: «Porto tuo figlio a lavarsi» avrebbero detto gli agenti ai genitori, per poi sparire con i bambini.

 

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I poliziotti hanno bloccato il ponte: tutti coloro che arriveranno nei prossimi giorni senza documenti in regola dovranno aspettare lì, non si capisce dove. Le procedure sono confuse, con larghi, troppi margini di discrezionalità. A un certo punto dovrebbe intervenire il tribunale per stabilire se incriminare o no i migranti. Ma la Corte di McAllen è praticamente sommersa: l’altro giorno ha di fatto «scagionato» 81 persone, perché i magistrati non sapevano dove mandarli. Le prigioni? Strapiene, dal Texas all’Arizona. I commissariati? Sono nelle stesse condizioni, se non peggiori, di quello di McAllen.

 

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«Mi occupo di assistenza ai migranti dal 1978 — dice Norma Pimenthal, 64 anni, la suora responsabile del Centro del Sacro Cuore —, ma non ho mai visto nulla del genere». Da settimane, le sue volontarie accolgono un centinaio di profughi al giorno. Vanno a prenderli dove si fermano i bus della Border Police. Gli ufficiali in fondo si sentono sollevati e affidano «i clandestini» alla sorveglianza della Chiesa cattolica. «I dirigenti della Polizia di frontiera sono chiaramente in imbarazzo — osserva ancora Sister Pimenthal —, finora avevano gestito le vite di queste persone con grande umanità e buon senso.

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L’amministrazione di Donald Trump si illude se pensa che la “tolleranza zero” possa agire da deterrente. I migranti continueranno ad arrivare». Si potrebbero elencare tante spiegazioni. Valgono tutte, anche quella di Juan: «Vengo da una piccola cittadina dell’Honduras. Lavoravo nelle costruzioni, il mio compito era preparare il calcestruzzo. Guadagnavo 900 pesos alla settimana: una somma sufficiente per vivere discretamente e mandare a scuola mia figlia. Ma il racket me ne rubava la maggior parte: 700 alla settimana. Impossibile resistere, impossibile restare».

 

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Questa specie di «corporate tax» applicata delle gang dell’Honduras, di El Salvador, Guatemala e così via è una spinta che nessuna linea dura, da questa parte del confine, sembra in grado di arginare. Juan Roman ha in tasca un foglio bollato: «Me lo ha fatto firmare la polizia quando ci hanno preso. Il 27 giugno mi devo presentare in tribunale». Se sarà giudicato «un criminale» finirà in galera e sarà separato dalla piccola Jamile. A meno che il Congresso non trovi una via d’uscita: i senatori repubblicani, scrive il New York Times, hanno una proposta per convincere Donald Trump che non serve dividere le famiglie per gestire l’immigrazione, anche se ieri il presidente ha sostenuto il contrario.

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