SE QUESTA E' INTEGRAZIONE - NON C'È PACE PER HINA SALEEM, LA VENTENNE PAKISTANA CHE NEL 2006 FU SGOZZATA DAL PADRE PERCHE’ “TROPPO OCCIDENTALE” - ORA IL FRATELLO MAGGIORE, SU PRESSIONE DELLA COMUNITA’ PAKISTANA DI BRESCIA, STRACCIA DALLA LAPIDE LA FOTO DELLA RAGAZZA GIUDICATA INOPPORTUNA PERCHE’ “TROPPO SPOGLIATA”

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Giuseppe Spatola per “Libero quotidiano”

 

HINA SALEEM HINA SALEEM

Non c' è pace per Hina Saleem, la ventenne pakistana che nell' estate del 2006 a Brescia pagò con la vita il suo «essere troppo occidentale». Dodici anni dopo essere stata sgozzata e sepolta dal padre Mohammad nel giardino di casa con la complicità dei familiari, Hina torna a destare «clamore» per la foto della lapide giudicata dalla comunità pakistana «inopportuna». Tanto è bastato perchè l' istantanea venisse tolta e stracciata dal fratello maggiore che, con il padre in carcere, è diventato il capofamiglia del clan Saleem.

 

Lo scatto della giovane, sorridente in canottiera rosa, era stata scelta da un anonimo benefattore che, a giugno, si era preso carico di restaurare la tomba a sue spese. Un gesto concordato con la famiglia che, però, alla fine ha ceduto alle pressioni della comunità, cancellando il viso di Hina anche dal freddo marmo del cimitero Vantiniano di Brescia.

 

E Suleman, 26 anni, non ha difficoltà ad ammettere di aver strappato l' immagine perchè «irrispettosa». «L' ho tolta per questioni di decoro - ha spiegato l' uomo -. Quella foto non andava bene. Hina era troppo spogliata. Anche i cristiani non entrano in chiesa a braccia nude. Non è rispettoso apparire così su una tomba e ho tolto ogni imbarazzo».

 

HINA SALEEM HINA SALEEM

«RAPPORTO DISTORTO»

Ora la lapide di Hina, accolta tra i musulmani a cento passi dall' ingresso principale del Monumentale di Brescia, è rimasta nuda, mischiata tra la terra che accoglie le spoglie della ragazza secondo il rito della Mecca. Niente più foto nè sorrisi a ricordare la ragazza divenuta simbolo della lotta per la libertà occidentale, lontano dalle tradizioni musulmane.

 

«È stato compiuto un errore grave che imbarazza - ha stigmatizzato Sajed Shah, il referente dell' associazione Muhammadiah di Brescia, commentando la foto -. Hina non era praticante, ma era comunque musulmana. La nostra religione vieta le foto per i defunti». Come dire che neppure da morta è stato concesso ad Hina di essere occidentale.

HINA SALEEM HINA SALEEM

 

Sepolta secondo le usanze islamiche, la ragazza che ha pagato con la vita il voler essere «bresciana» non potrà sorridere neppure sulla lapide. Uccisa una seconda volta per non andare contro le usanze. Del resto la Cassazione sentenziò come Hina fu «uccisa per un distorto rapporto di possesso parentale». Un delitto per cui fu condannato il padre Mohammed a 30 anni, i generi di Hina nemmeno trentenni a 17 e lo zio materno, il quale partecipò solo alla sepoltura, a poco più di due.

 

Adesso, con Mohammed in carcere, le redini della famiglia le ha prese Suleman che si sente italiano ma non si è opposto alle pressioni della comunità che non voleva quella foto e ripete di essere contrario che la memoria della sorella sia affidata a quell' immagine «irriverente». «Mi basterebbe solo una foto in cui sia più coperta - ha detto sapendo che non sarà così facile -. A quel punto la rimetterò sulla lapide».

 

LA MADRE

HINA SALEEM HINA SALEEM

 Intanto l' immagine di Hina sarebbe stata bollata dalla comunità bresciana come «icona della ribellione femminile». Mamma Bushra, cucitrice, non ha mai fatto mistero di aver perdonato il marito, «un brav' uomo che ha sbagliato in un momento di rabbia». Lo aspetta. E proprio a lei qualcuno nei mesi scorsi avrebbe consigliato di rimuovere lo scatto per non turbare la quiete e gli equilibri. Pressioni arrivate direttamente dai vertici della comunità pakistana a poco più di cinque mesi dalla morte di Sana Cheema, la 25enne pakistana di Brescia anche lei uccisa lo scorso 18 aprile dal padre e dal fratello maggiore a Mangowal, piccolo villaggio in Pakistan, dove le autorità locali hanno chiuso l' indagine.

 

Per Mustafa Ghulam, 55 anni, e il figlio primogenito Adnan, 30 anni, si è aperto il processo: accusati di omicidio volontario e sepoltura non autorizzata, sono alla sbarra davanti alla Session court, pari alla Corte d' Assise in Italia. Sana come Hina era a Brescia da 15 anni e aveva in tasca la cittadinanza italiana e un lavoro in una scuola guida per stranieri.

 

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