STRAGE IN FABBRICA A MILANO - TRE OPERAI MORTI INTOSSICATI DAL GAS, UNO IN FIN DI VITA – “L' ALLARME NON È SUONATO” – L’INCIDENTE IN UN’AZIENDA METALMECCANICA – I LAVORATORI STAVANO VERIFICANDO UN MALFUNZIONAMENTO NEL FORNO DELL’ACCIAIO

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Andrea Galli e Gianni Santucci per il Corriere della Sera

 

Arrigo Barbieri, 57 anni, responsabile di produzione, è il primo a scendere le scalette. Lo segue Marco Santamaria, 42 anni, elettricista; indossa già i guanti blu da lavoro. Pochi gradini, che portano in un locale sotterraneo, quello profondo due metri che contiene il forno in cui si scalda l' acciaio.

 

Arrigo e Marco, là sotto, nello spazio lungo il perimetro della fossa creato per consentire agli operai di muoversi, senza rendersene conto trovano l' aria infestata: satura di un qualche gas, che potrebbe essere azoto, e che riempie i loro polmoni già dai primi respiri, fa perdere i sensi e l' equilibrio. Giancarlo Barbieri, 61 anni, fratello di Arrigo, mette la testa dentro e si rende conto che sta succedendo qualcosa di brutto, e allora inizia a gridare: «Aiuto, correte qua».

 

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Le sue urla richiamano altri colleghi. Poi Giancarlo scende nella camera sotterranea; lo segue Giuseppe Setzu, 48 anni. Altri due lavoratori percorrono di corsa i gradini, ma presto si ritraggono (rimarranno intossicati). Pochi secondi dopo, arriva la chiamata ai carabinieri e al 118: «Ci sono quattro uomini incoscienti in una "buca" nel capannone di una ditta». Sono le 16.50 di ieri. Civico 9 di via Rho, sede della «Lamina Spa», non lontano dai binari della stazione Centrale: una delle ultime industrie «storiche» nel tessuto urbano di Milano; il più grave incidente sul lavoro della storia recente della città, da quando la metropoli ha ricostruito la sua economia sulla moda, il design, la finanza. Tre operai morti e uno in fin di vita (Giancarlo Barbieri).

 

«Lamina Spa» è conosciuta nell' ambiente come

 piccola azienda modello; specializzata nelle lavorazioni dell' acciaio; fondata nel 1949 dalla famiglia Sanmarchi e rimasta sempre nella stessa sede e agli stessi proprietari; una trentina di operai, «mai un incidente e attenzione maniacale alla sicurezza» (riconoscono gli stessi lavoratori); dieci milioni di fatturato l' anno. L' incidente è avvenuto sotto il forno utilizzato per scaldare l' acciaio, un macchinario austriaco, marca Ebner, revisionato ogni anno dai tecnici della casa produttrice; l' ultima ispezione risale a un paio di settimane fa. «Allo stesso modo, di recente, sono stati controllati tutti gli allarmi», racconta un operaio.

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Il forno però, a quanto è stato riferito nelle prime testimonianze, avrebbe avuto un malfunzionamento: così ieri pomeriggio il responsabile della produzione e l' elettricista sono scesi a verificare cosa fosse accaduto. Per far questo (al momento è solo una delle ipotesi da verificare), potrebbero aver disattivato l' allarme collegato al sensore dei gas. Un' altra possibilità è che il guasto fosse più grave, tanto da provocare sia la perdita, sia il problema all' allarme. Di fatto gli operai si sono ritrovati in un ambiente colmo di gas, inodore, e l' hanno respirato. L' intera dinamica dell' incidente andrà ricostruita nel dettaglio nell' inchiesta dei carabinieri del Comando provinciale di Milano e dei vigili del fuoco, coordinati dai magistrati Tiziana Siciliano e Gaetano Ruta.

 

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Due operai sono sopravvissuti e in ospedale hanno raccontato: «Siamo scesi e c' erano Arrigo e l' elettricista già a terra, svenuti. Giancarlo prima ha urlato, poi s' è infilato là sotto per cercare di aiutare il fratello, e lo stesso ha fatto Beppe. Abbiamo cercato di trascinarli fuori anche noi, ma in quel momento non c' era quasi più neanche lo spazio per muoversi e iniziava a girarci la testa. A quel punto siamo risaliti». Tanto era alta la concentrazione di gas in quella fossa, che anche uno dei vigili del fuoco arrivati per i soccorsi è rimasto intossicato ed è stato portato in ospedale. Gli operai hanno fatto anche un secondo tentativo: «Abbiamo provato a scendere con una maschera, ma ci siamo sentiti troppo male e abbiamo dovuto mollare».

 

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