1- INDIGNADOS A NEW YORK OCCUPANO, PACIFICAMENTE, SENZA MOLOTOV NÉ SASSI, IL PONTE DI BROOKLYN E LA POLIZIA PICCHIA E ARRESTA SETTECENTO RAGAZZI: FOSSE SUCCESSO IN ITALIA, SI GRIDEREBBE DI TUTTO, DAL G8 ALLO STATO DI POLIZIA. MA OBAMA SE LO PUÒ PERMETTERE: PER I GIORNALI ESISTONO ANCHE LE MANETTE DEMOCRATICHE? - 2- “WALL STREET È NERONE… E ROMA STA BRUCIANDO!” - "E ADESSO OBAMA DEVE SENTIRCI" - 3- NEW YORK COME TAHRIR SQUARE. UNA PRIMAVERA AMERICANA SENZA LEADER E TANTI SIMPATIZZANTI: MICHAEL MOORE, NAOMI KLEIN, SUASAN SARANDON, I RADIOHEAD - 4- "IO SCENDEVO IN PIAZZA PER IL TERZO MONDO E ALLA FINE SCOPRO CHE GLI OPPRESSI SIAMO NOI… TROPPI DISOCCUPATI. TROPPA FRUSTRAZIONE. E ALLA FINE LA GENTE HA TROVATO LA FORZA DI DIRE: FOTTETEVI. L´INIZIO DI QUALCOSA DI NUOVO? LO SPERO..."

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1- "WALL STREET È NERONE... E ROMA STA BRUCIANDO!"
Angelo Aquaro per "la Repubblica"

INDIGNADOS SUL PONTE DI BROOKLYNINDIGNADOS SUL PONTE DI BROOKLYN Indignados a New YorkIndignados a New York

«Wall Street è Nerone... E Roma sta bruciando!». All´ingresso di Liberty Plaza gli indignati d´America scolpiscono la loro verità sui cartoni della pizza. Di qua c´è Wall Street. Dall´altra Ground Zero che sta rialzando al cielo torri di vetro e cemento. In mezzo ci sono loro: sbucati dal nulla solo per chi non ha occhi per leggere i numeri della disoccupazione (9,1 per cento) e dell´ingordigia delle corporations (sedute su 2mila miliardi di cash che non investono).

Quanti sono? Lo slogan - coniato dalla rivista alternativa Adbusters - è "Occupy Wall Street". Ma sabato sera la polizia ne ha sbattuti 700 in galera per avere occupato anche il ponte di Brooklyn. Dicono: è solo l´inizio. Stamattina - come ogni mattina dal 16 settembre - marceranno su Wall Street: all´apertura dei cambi segnata dalla mitica campanella. E mercoledì arrivano i sindacati per una grande manifestazione.

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Sono accampati in questa piazza su materassi e giacigli di fortuna. Tutto in fatiscente miniatura: infermeria, mensa, media center. L´Assemblea generale si riunisce due volte al giorno. Hanno anche un giornale: The Occupied Wall Street Journal. L´editoriale dice: «Impariamo dal resto del mondo». New York come Tahrir Square. Una primavera americana senza leader e tanti simpatizzanti: Michael Moore, Naomi Klein, Noam Chomsky, Suasan Sarandon, i Radiohead. «I giornalisti chiedono: chi è comanda qui? Ma qui comandiamo tutti e nessuno. Così almeno non ci acchiapperanno mai». Tutti al comando: ma ciascuno con una propria voce.

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LA MANAGER
«Mi chiamo Jackie Falner e vengo dalla Pennsylvania. Sono una marketing manager: pubblicità e promozione. Per stare qui ho dovuto prendermi le ferie. Ma vi rendete conto? Io scendevo in piazza per la Palestina e il terzo mondo e alla fine scopro che gli oppressi siamo noi: qui in casa. Quando lo capiremo che o ci salviamo tutti o non si salva nessuno? La politica? Tutti comprati. Eppoi sono stanca dei giochi tra destra e sinistra: qui siamo già oltre».

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LA DISOCCUPATA
«Mi chiamo Nicole Angelo e vengo da Worchester. Sono disoccupata e ho votato per il presidente Barack Obama. Lo rivoterò? Dipende anche da come ne usciremo da qui. L´obiettivo? Portare avanti il discorso. Aiutare gli altri ad aprire gli occhi. Siamo sempre di più: anche se ci hanno arrestati per metà. Settecento: sul ponte di Brooklyn è stata una trappola. La polizia aveva bloccato l´accesso pedonale: un invito a invadere la strada delle auto. Ma non è così che ci fermeranno».

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IL CAMERIERE
«Mi chiamo Luke Richardson e vengo dal New Jersey. Facevo il cameriere proprio qui dietro: una steakhouse piena di big di Wall Street. Ne ho sentite tante a quei tavoli. Ma oggi sono qui: per fare sentire la nostra. Sto al media center: una ventina di volontari. Ci bastano una paio di videocamere e poi mandiamo tutto sul web. Così la gente si fa un´idea dal vero. Abbiamo un paio di Twitter e la pagina Facebook. Obama? No, no e no. L´ultima volta è che ho votato è stato ai tempi di Ralph Nader. Cosa voglio? La comunione dei mezzi di produzione. E della terra. Comunista? Meglio: anarco-comunista. Lo so benissimo che non ci arriveremo così e non voglio imporre la mia visione agli altri qui. Però questa è già la cosa più grande che potevamo realizzare».

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IL PROFESSORE COMUNISTA
«Mi chiamo Dennis Laumann e sono un professore. Università di Memphis: storia africana. Sono qui in veste doppia: manifesto e cerco di capire. Sono un militante del partito comunista e voglio scrivere per il nostro giornale: People´s World. Sorpreso? Troppi disoccupati. Troppa frustrazione. E alla fine la gente ha trovato la forza di dire: fottetevi. L´inizio di qualcosa di nuovo? Lo spero. L´organizzazione spontanea è una meraviglia resa possibile da Internet. Ma politicamente a chi gioverà? Spero almeno che serva a spingere il piano per il lavoro di Obama. Certo che il partito comunista d´America lo sostiene. E chi se no?».

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L´ARTISTA
«Mi chiamo Clark Stoeckley e vengo da Chicago. Faccio l´artista. Ma sono fortunato: ho anche un lavoro fisso. Insegno arte al Bloomfield College, New Jersey. Sì, questo camioncino è mio. La scritta WikiLeaks sulla fiancata? Sono un sostenitore diciamo così non autorizzato. Ho cominciato a fare campagna per la liberazione del soldato Bradley Manning: quello accusato dei cablo. Ho portato questo camioncino anche davanti alla Casa Bianca. Obama? L´ho votato ma probabilmente non lo farò più: troppe promesse e stop. WikiLeaks? Guardatevi intorno: è cominciato tutto da lì. WikiLeaks ha fatto partire la Primavera araba. La Primavera araba ha fatto partire le nostre proteste».

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L´EX DI WALL STREET
«Mi chiamo Robert Segal e vengo da Brooklyn. Lavoravo dall´altra parte della strada: Wall Street. Tecnico informatico: i miei numeri aiutavano quella gente a fare sempre più soldi. Poi venne l´11 settembre e quel mio piccolo mondo crollò. Mollai tutto. Per un quarto sono italiano di origine. Ho lavorato nel commercio dei vini. Ma adesso sono qui. Vedete? Questa lavagna l´ho realizzata io: ‘Occupation Status´. Ci ho messo tutta l´esperienza nei display di Wall Street! Ecco: in questa colonna ci mettiamo gli arrestati e qui i rilasciati. Qui i giorni di protesta e qui le città dove manifestiamo. Obama? La persona giusta nel posto sbagliato. I democratici dicono: 2 più 2 fa 4. I repubblicani dicono: 2 più 2 fa 6. Arriva lui e fa: 2 più 2 fa 5. Ma dai. Il compromesso non porta da nessuna parte. O forse no: ci porta in questa piazza qua».

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2- CHE DEMOCRATICHE LE MANETTE DI OBAMA
Giuseppe De Bellis per "il Giornale"

L'America di Obama può. Può arrestare 700 persone perché occupano una strada senza che il mondo, il nostro mondo, gridi alla sospensione dei diritti democratici. Succede che a New York ci sono gli indignados che stazionano nella zona sud della città per protestare contro i potenti di Wall Street. Succede che un migliaio di persone cercano di attraversare il ponte di Brooklyn per raggiungere quelli che sono accampati vicino alla Borsa. Succede che la polizia avverte: camminate sul marciapiede, nessuno invada la carreggiata delle auto, altrimenti interveniamo.

Succede che invece succede: gli indignados si mettono sulla strada, dove passano le automobili, e i poliziotti intervengono: fermati, bloccati, arrestati.
Senza storie e senza pensarci. Gli agenti li ha mandati il dipartimento di polizia che dipende dal Comune quindi dal sindaco Mike Bloomberg. Obama non c'entra direttamente, ma c'entra ugualmente. Perché l'America è sua, ora, e da quando è sua per molti è un Paese diverso: più umano, più libero, più democratico. Invece è esattamente come prima: chi non rispetta le regole paga.

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Uno può condividere o meno, però è così. Per il momento la Casa Bianca condivide: nessuno dell'amministrazione di Washington ha commentato negativamente la reazione della polizia di New York. I manifestanti de­nunciano aggressività che sfiora la violenza, il New York Times racconta che ufficiali e sottufficiali hanno esagerato, eppure nessuno del governo federale esprime giudizi: per rispetto dell'autonomia e dei ruoli del comune di New York e forse anche perché nessuno ritiene che gli eventuali ecces­si degli agenti siano così gravi.C'è un filo logico, quindi. Silenzio uguale assenso.

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Non stupisce nessuno, in fondo. Il paradosso è nostro, semmai. Perché i telegiornali italiani raccontano la notizia come se la polizia abbia agito senza il consenso dichiarato del sindaco e di quello tacito della Casa Bianca: agenti violenti, metodi esagerati, reazioni spropositate. Come a dire: la sospensione dei diritti democratici se c'è stata, è arrivata solo da parte della polizia.È l'atteggiamento opposto a quanto avvenne, per esempio, per i fatti del G8 di Genova: i processi hanno condannato i poliziotti e i loro superiori, ma i complottisti di ogni ordine e grado continuano a sostenere che i mandanti siano comunque in un altro livello.

INDIGNADOS A NEW YORKINDIGNADOS A NEW YORK

Quello politico.Oggi non vale,oggi non c'è, oggi la politica è salva e i suoi principi sono salvaguardati. È la solita storia della doppia velocità: se David Cameron, in Gran Bretagna, arresta i teppisti che mettono Londra a ferro e fuoco c'è sempre qualcuno che alza il dito e dice che così non si fa, che non si può, che non si deve, che non si può limitare il legittimo dissenso delle masse.Se l'Italia si permette di fermare qualcuno che esagera in una manifestazione pubblica, o anche solo di bloccare un corteo non autorizzato, arriva subito l'ondata di proteste: si parte dal basso e si arriva all'alto, ai leader politici, ai costituzionalisti, ai professoroni.

RAGAZZO CON LA BOCCA COPERTA DA UN DOLLARORAGAZZO CON LA BOCCA COPERTA DA UN DOLLARO

La conclusione è sempre la stessa: chi manifesta vale sempre di più di chi comanda. Con Obama cambia la prospettiva, no? Non è colpa sua, ovviamente, ma di chi legge la storia come gli pare: l'hanno dipinto come uno che detesta le guerre anche se ne combatte due da quando è arrivato alla Casa Bianca,l'hanno fatto passare per un leader ecologista anche se costruisce centrali nucleari e ha trivellato gli Stati Uniti a caccia di petrolio e di gas. Adesso il suo paese arresta gli indignados d'America e vedrete: diranno che il presidente in realtà sta dalla loro parte.

I LACCI DI PLASTICA SUI POLSI DEGLI INDIGNADOSI LACCI DI PLASTICA SUI POLSI DEGLI INDIGNADOS

LACCI DI PLASTICA SUI POLSI E C'È CHI DENUNCIA: FANNO MALE
Dal "Corriere della Sera"
- Più leggere, ma spesso anche più dolorose. Ai 700 arrestati di Brooklyn sono state legate le mani dietro la schiena con manette di plastica, comuni tra la polizia e i militari Usa, soprattutto quando si prevedono arresti di massa. Ma se non applicate con attenzione, possono stringere i polsi. E alcuni video postati su YouTube denunciano proprio questo: «Guardate - dice un manifestante - sto sanguinando».

 

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