1- LA NUOVA TANGENTOPOLI È FATTA COSÌ: SCOMPAIONO LE BUSTE PIENE DI BANCONOTE, COMPAIONO LE CONSULENZE ALL’ARCHITETTO AMICO, LE FATTURE INCASSATE DALL’IMPRESA DI AREA, IL PRESTITO CHIESTO ALL’IMPRENDITORE AMICO CHE SE LO FA RESTITUIRE DAL COLLEGA CONCUSSO. UN SISTEMA PERVASIVO E NELLO STESSO TEMPO “SOFFICE”, IN CUI BISOGNA ESSERE AMICI DEI POLITICI, CHE NON PRATICANO L’ESTORSIONE, MA CHIEDONO IL FAVORE. E CHI DECIDE DI DIRE BASTA VA INCONTRO A GUAI SERI - 2- IMPRENDITORI IN FILA PER ACCUSARE PENATI E BERSANI SCARICA IL SUO UOMO FORTE - 3- LA POLITICA COSTA! NEGLI ULTIMI DIECI ANNI LA TANGENTOPOLI DI PENATI POTREBBE AVER PRODOTTO UN FLUSSO DI FINANZIAMENTO PARALLELO PER I PARTITI DI 80 MILIONI DI EURO - 4- E PER IL DUPLEX BERSANI-PENATI RICICCIA IL BRUTTO PASTICCIACCIO SERRAVALLE-GAVIO - 4- QUALI SONO STATE LE VERE RAGIONI DELLE DIMISSIONI, LO SCORSO NOVEMBRE, DI PENATI DA CAPO DELLA SEGRETERIA POLITICA DEL PD, CIOÈ BRACCIO DESTRO DI BERSANI? -

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1- INDAGATO ANCHE IL SINDACO PD DI SESTO SAN GIOVANNI GIORGIO OLDRINI PER L'IPOTESI DI CONCUSSIONE - IL COSTRUTTORE DEL CASO PENATI: COSTRETTO A FINANZIARE IL PALAGHIACCIO (100 MILIONI DI LIRE AL MESE)
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella per Corriere della sera

PROGETTO PER L AREA FALCKPROGETTO PER L AREA FALCK

Sono una bomba a grappolo le dichiarazioni agli inquirenti di Giuseppe Pasini, l' 82enne costruttore ex proprietario dell'area Falck a Sesto San Giovanni e già candidato del centrodestra alle comunali del 2007: se il più direttamente colpito è l'ex sindaco e attuale vicepresidente (autosospeso) del consiglio regionale della Lombardia, Filippo Penati, indagato per le ipotesi di concussione, corruzione e finanziamento illecito, alcune schegge raggiungono ora anche l'attuale sindaco (l'ex Stalingrado d'Italia), compagno di Penati nel Pd ma notoriamente non proprio in sintonia con l'ex presidente della Provincia di Milano ed ex capo (fino a 8 mesi fa) della segreteria politica di Bersani.

GIUSEPPE PASINIGIUSEPPE PASINI

A essere indagato per l'ipotesi di concussione nell'inchiesta della Procura di Monza, infatti, è anche Giorgio Oldrini, dopo Penati dal maggio 2002 sindaco come già suo padre Abramo dal 1946 al 1962, e riconfermato nel 2007 (proprio dal voto in cui sconfisse la lista civica di Pasini alleata con Forza Italia e Alleanza nazionale) alla guida della giunta di centrosinistra che l'altro giorno ha già registrato le dimissioni dell'indagato assessore comunale alle risorse finanziarie ed edilizia privata Pasqualino Di Leva.

OLDRINIOLDRINI Giorgio OldriniGiorgio Oldrini

SOLDI SUL PALAGHIACCIO
Gli accertamenti su Oldrini vertono su una vicenda che al momento appare più indiretta rispetto alle accuse a Penati, ma sono imposti dal tipo di dichiarazioni di Pasini a proposito del suo impegno economico nella ristrutturazione del «Palasesto» : cioè nella trasformazione a partire dal 1999 del vecchio palazzetto dello sport (basket e pallavolo) nell'attuale palazzo del ghiaccio, due piste per l'hockey e il pattinaggio ma con possibilità di copertura con uno speciale pavimento da mettere e togliere in poche ore per ospitare manifestazioni culturali, convegni, spettacoli musicali o altri sport come arti marziali, ginnastica, calcetto.

Poiché nel 1999 all'amministrazione comunale di Penati appariva troppo costoso gestire una struttura da 4 mila posti, la soluzione individuata fu una convenzione con l'Hockey club pluriscudettato «Diavoli rossoneri» di Milano (in cerca di un impianto adeguato per i suoi giovani atleti), che a proprie spese avrebbe acceso un mutuo con il Credito sportivo per trasformare il Palasesto (con lavori fatti da Pasini) e tenerlo poi in affitto per nove anni.

PENATI BERSANIPENATI BERSANI

Mutuo garantito però da una fideiussione prestata proprio da Pasini, il quale, sotto pressione di questa esposizione, ora racconta agli inquirenti di aver dovuto far fronte ad alcune rate del mutuo perché a ciò indotto (a suo dire) anche dal sindaco Oldrini. E in questa operazione sostiene di aver dovuto tirare fuori di tasca propria quasi 3 milioni di euro.

Area FalckArea Falck

16 MILIARDI DI LIRE
I soldi attorno al Palaghiaccio, pari a 6 miliardi di lire, nella contabilità di Pasini alla Guardi di finanza di Milano e ai pm Walter Mapelli e Franca Macchia, si sommano dunque ai 4 miliardi di tangenti che il costruttore dice d'aver destinato a Penati (che, stando al suo racconto, gliene aveva chiesti 20 per l'ok ai progetti urbanistici sull'area Falck) attraverso due consegne in contanti agli indicati fiduciari Piero Di Caterina e Giordano Vimercati; alla permuta tra due terreni per «mascherare» 1 miliardo e 250 milioni a Di Caterina; e ai soldi (quattro fatture non da 600 milioni di lire l'una ma da 600.000 euro l'una, quindi in tutto 2 milioni e 400.000 euro ovvero 4 miliardi e 800 milioni di lire) che Pasini afferma di aver dovuto pagare in consulenze «obbligatoriamente» affidate a due professionisti (ora indagati per concussione) vicini alle coop rosse emiliane, indicatigli come da coinvolgere per forza nei lavori.

Giorgio Oldrini e Irene PivettiGiorgio Oldrini e Irene Pivetti PENATI BERSANIPENATI BERSANI

IL PD: «REGOLARI I BILANCI»
In più ci sono i finanziamenti che Di Caterina, imprenditore del trasporto pubblico in provincia di Milano, ha dichiarato di aver fatto al partito di Penati da metà dei ' 90 all'inizio del successivo decennio, in alcuni periodi anche per 100 milioni di lire al mese. Ricostruzione che il partito respinge: «Mai preso finanziamenti illeciti - afferma il tesoriere Antonio Misiani -. I nostri bilanci sono pubblici e certificati da una società indipendente» , e «di fronte a informazioni di stampa ambigue e fuorvianti abbiamo deciso di dare mandato ai nostri legali per tutelare il buon nome del Partito democratico» .

2- PENATI, SONO GUAI SERI
di Giorgio Meletti per Il Fatto

Per capire dove sta portando l'inchiesta sulle presunte tangenti rosse di Filippo Penati a Sesto San Giovanni conviene partire da un dato. Un imprenditore si è preso la briga di fare una stima, e basandosi sulla sua esperienza diretta e indiretta ha calcolato che negli ultimi dieci anni il sistema delle imprese della ex Stalingrado d'Italia potrebbe aver prodotto un flusso di finanziamento parallelo per i partiti di 80 milioni di euro. I costi della politica sono quelli che sono.

FILIPPO PENATI QUANDO ERA SINDACO DI SESTO SAN GIOVANNIFILIPPO PENATI QUANDO ERA SINDACO DI SESTO SAN GIOVANNI PENATI MARTINA CHISSA FORSE CON WONDERWOMAN VINCIAMOPENATI MARTINA CHISSA FORSE CON WONDERWOMAN VINCIAMO

E adesso qualcuno comincia a chiedersi quali siano state le vere ragioni delle dimissioni di Filippo Penati da capo della segreteria politica del Pd, cioè braccio destro di Pierluigi Bersani, lo scorso mese di novembre. Una vicenda singolare, a riguardarla bene. A metà novembre, quando Giuliano Pisapia vince le primarie per la candidatura a sindaco di Milano sconfiggendo clamorosamente il candidato del Pd Stefano Boeri, Penati, uomo forte del Pd lombardo, prima fa finta di nulla, mentre i vertici regionali del partito si dimettono (sia pure per poche ore). Poi, dopo un paio di giorni e un perentorio invito della dalemiana Velina Rossa, dà l'annuncio: "Credo che sia necessaria una mia assunzione di responsabilità".

C'è un'apparente stranezza: per aver toppato le primarie di Milano Penati si punisce, come Muzio Scevola, rinunciando all'incarico nazionale e annunciando che concentrerà tutti i suoi sforzi su Milano. Avrebbe avuto più logica promettere di occuparsi, da quel giorno, solo di politica estera.

Per questa incongruenza oggi non pochi esponenti del Pd lombardo e nazionale cominciano a sospettare che già a novembre Penati avesse sentore della valanga giudiziaria in arrivo, e per questo potrebbe aver deciso di togliere d'imbarazzo il suo amico ed estimatore Pierluigi Bersani. Il quale adesso sta silenziosamente approvando il trattamento "mela marcia" per l'ex sindaco di Sesto San Giovanni: "Il Pd non ha mai preso finanziamenti illeciti", ha assicurato ieri in una nota Antonio Misiani, tesoriere del partito. Va notato il virtuosismo dialettico.

DE BORTOLI MARTINA PENATIDE BORTOLI MARTINA PENATIpenati filippopenati filippo

Il Pd dichiara con nettezza di non aver mai preso mazzette, e addirittura fa sapere di aver scatenato i suoi legali contro "informazioni di stampa ambigue e fuorvianti", a difesa del "buon nome" (testuale) del partito. Ma quando si parla di Penati anziché escludere che abbia preso tangenti, ci si augura che l'interessato chiarisca e riesca a dimostrarsi innocente. I casi sono due: o il Pd può garantire l'onestà del partito in generale ma non dei suoi singoli esponenti anche di primo piano, oppure Penati è già considerato fuori dal Pd, di cui tornerà a far parte solo dimostrando di essere pulito. Se invece si scoprisse che ha rubato davvero, è ovvio che lo avrebbe fatto per sè e non per il partito.

L'imbarazzo del Partito democratico è dovuto al fatto che il caso di Sesto San Giovanni è molto più grosso di quanto non si creda. Davanti al pm di Monza Walter Mapelli prende forma l'immagine di una riedizione di Tangentopoli vent'anni dopo. Non tanto per le dimensioni e la gravità dei fatti, ancora tenute gelosamente segrete dai magistrati, quanto per il "modello di funzionamento" che decine di testimoni hanno ricostruito davanti a Mapelli.

Il primo accusatore di Penati, l'imprenditore sestese Piero Di Caterina, amico d'infanzia dell'ex sindaco, quando è stato chiamato a dare spiegazioni su alcune fatture sospette (che l'interessato rivendica come perfettamente regolari) ha assunto una posizione pasoliniana: "So, ma non ho le prove". Però ha parlato a lungo, ha spiegato perché è difficile trovare le prove della nuova versione da Terzo millennio della "dazione ambientale", e poi ha dato ai magistrati la chiave di lettura più preziosa: "Non ne possiamo più di pagare".

LETTA E PENATI - copyright PizziLETTA E PENATI - copyright Pizzi

Come vent'anni fa: richieste crescenti, un ceto politico che da una parte mette in ginocchio le imprese con la sua incapacità di decidere e mantenere gli impegni, dall'altra le vessa con pretese sempre più arroganti.

Ha parlato al plurale, Di Caterina, e ha fatto seguire la lista, preziosissima per i pm, di tutti gli imprenditori che come lui ne avevano le tasche piene. Mapelli li ha chiamati tutti, e li ha trovati divisi in due partiti: quelli che hanno ancora paura, o posizioni da difendere, e hanno finto di cadere dalle nuvole. E quelli che hanno confermato le accuse di Di Caterina, in certi casi rincarando la dose. Come nel caso dell'ottantenne Giuseppe Pasini, che ha descritto minuziosamente le dazioni di denaro che sembrano, per ora, incastrare Penati.

A parte Pasini, pochi dispongono di prove. La nuova Tangentopoli è fatta così: scompaiono le buste piene di banconote, compaiono le consulenze all'architetto amico, le fatture incassate dall'impresa di area, il prestito chiesto all'imprenditore amico che se lo fa restituire dal collega concusso. Un fenomeno pervasivo e nello stesso tempo "soffice", dicono gli imprenditori ai magistrati. Un sistema in cui bisogna essere amici dei politici, che non praticano l'estorsione, ma chiedono il favore (la sponsorizzazione al convegno, un po' di pubblicità al giornale locale del partito, l'assunzione di una figlia, il pagamento di una fattura a qualche misteriosa società straniera). Una mano lava l'altra, tra amici. E chi decide di dire basta va incontro a guai seri.

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Una pratica edilizia da un mese può arrivare a sette-otto mesi, e tu magari perdi l'affare, come è accaduto a Pasini, che doveva costruire la nuova sede di Intesa Sanpaolo e il nuovo centro di produzione di Sky, e sta accusando la giunta comunale di avergli fatto perdere i due affari (e posti di lavoro a Sesto) con lungaggini burocratiche non casuali.

Adesso l'inchiesta si allarga, e punta sui collegamenti nazionali : il volume degli affari di Sesto può produrre finanziamenti superiori alle esigenze della politica locale. Ma punta anche sui fatti più recenti, che riguardano l'attuale sindaco Giorgio Oldrini. Il quale ha dichiarato ieri di non sapere se è indagato o no, ma di essere certo di non aver commesso niente di penalmente rilevante.

Autostrada SerravalleAutostrada Serravalle

3- GAVIO, L'AUTOSTRADA E QUELLA PLUSVALENZA
di Gianni Barbacetto per Il Fatto


C'è una storia dimenticata che ora torna a visitare, come un brutto sogno, Filippo Penati, l'esponente del Pd indagato per tangenti dalla procura di Monza. È la storia dell'autostrada Milano-Serravalle, oggetto di polemiche velenose nel 2005, ma poi passata tra le vicende da archiviare. Penati era allora presidente della Provincia di Milano, dopo aver battuto, a sorpresa, la candidata del centrodestra Ombretta Colli.

DALEMA PRONZATO CONSORTE MORICHINI TEDESCO DAL FATTODALEMA PRONZATO CONSORTE MORICHINI TEDESCO DAL FATTOD'Alema e Consorte sullo sfondo a Porta a PortaD'Alema e Consorte sullo sfondo a Porta a Porta

Nell'estate di quell'anno, segnata dalle imprese dei "furbetti del quartierino" e dalle loro scalate, l'ex sindaco della rossa Sesto San Giovanni si lancia in un'impresa finanziaria ardita e apparentemente inspiegabile: compra dal costruttore Marcellino Gavio il 15 per cento delle azioni della Milano-Serravalle, facendo arrivare la Provincia al 53 per cento della società.

Operazione con scarsa logica imprenditoriale, perché il controllo dell'autostrada era già saldamente in mani pubbliche (Provincia e Comune di Milano). E l'allora sindaco di Milano, Gabriele Albertini, dopo aver litigato con Ombretta Colli proprio sui rapporti con Gavio e sulla questione Serravalle, aveva già fatto fronte comune con il nuovo presidente della Provincia. Ma l'operazione è soprattutto costosa. La Provincia spende 238 milioni di euro, pagando 8,93 euro ad azione. Solo 18 mesi prima, Gavio le aveva pagate 2,9: dunque realizza una plusvalenza di ben 176 milioni di euro.

Si spezza di colpo il fronte Albertini-Penati. Il sindaco di Milano è durissimo: afferma che il diessino presidente della Provincia ha fatto un inspiegabile regalo cash a Gavio. Senza contraccambio? Albertini butta lì una coincidenza: dopo l'operazione Serravalle, Gavio si schiera a fianco del "furbetto rosso", il presidente dell'Unipol Giovanni Consorte, e gli dà una mano nella scalata in corso alla Bnl. Compra infatti lo 0,5 per cento della banca, impegnando 50 milioni di euro.

GABRIELE ALBERTINIGABRIELE ALBERTINI MARCELLO GAVIOMARCELLO GAVIO

Albertini denuncia quello che ritiene un patto segreto, uno scambio di favori. E sostiene che con quelle operazioni incrociate si è aperta una "questione morale nel centrosinistra": "Quelle stesse azioni", dichiara Albertini, "appena diciotto mesi prima erano state vendute al gruppo Gavio da, diciamo così, ‘distratte' amministrazioni pubbliche, prevalentemente di sinistra, a 2,9 euro l'una. Qual è il prezzo congruo, 2,9 oppure 8,93?".

La polemica sembrava tutta politica, ma in quei mesi diventano pubbliche alcune intercettazioni telefoniche che arrivano a gettare una nuova luce sull'operazione. In una conversazione del 2004, Gavio confessava: "Sto facendo un pensierino sottovoce a vendere tutto per 4 euro". E il suo braccio destro, Bruno Binasco, lo rassicurava: "Sicuramente portiamo a casa dei bei soldi".

Dunque Gavio era disposto a vendere a 4 euro: eppure un anno dopo riesce a portare a casa più del doppio. "Il problema non è Penati", dice Binasco a Gavio il 28 giugno 2004, "perché con lui un accordo lo si trova. Il vero problema è Albertini". Due giorni dopo, il 30 giugno 2004, entra in scena Pierluigi Bersani, allora dirigente dei Ds: "Bersani dice a Gavio che ha parlato con Penati... Dice a Gavio di cercarlo per incontrarsi in modo riservato: ora fermiamo tutto e vedrà che tra una decina di giorni, quando vi vedrete, troverete un modo...".

Il 5 luglio, è Penati a chiamare Gavio: "Buon giorno, mi ha dato il suo numero l'onorevole Bersani...". Gavio: "Sì, volevo fare due chiacchiere con lei quando era possibile...". Penati: "Guardi, non so... Beviamo un caffè". L'incontro avviene. "In modo riservato", come suggerito da Bersani: non in una sede istituzionale, ma in un albergo di Roma. Non sappiamo naturalmente quale sia stato l'oggetto del colloquio a quattr'occhi. Sappiamo però che, alla fine, la Provincia di Milano compra la Serravalle. A caro prezzo.

Marcellino GavioMarcellino GavioAlbertini in mutande per ValentinoAlbertini in mutande per Valentino

Penati spiega subito l'operazione appena conclusa. Sostiene che aveva cercato di comprare le azioni dal Comune, che però non gli aveva neppure risposto; che il prezzo pagato è ottimo, visto che è comprensivo del premio di maggioranza e che il valore medio, tra azioni vecchie e nuove nelle mani della Provincia, è di 2,97 euro l'una; che è "una solenne stupidaggine" stabilire connessioni tra vicenda Serravalle e scalata Unipol. Che la Provincia ha perseguito soltanto il bene dei cittadini, "salvaguardando l'interesse pubblico in modo innovativo e non statalista".

Non ci voleva proprio, l'indagine di Monza, per far uscire dagli archivi questa vecchia storia che lega Penati a Bersani.

 

 

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