PER VIVERE VERONICA CHIEDE TRE E MILIONI E MEZZO AL MESE COME MANTENIMENTO! - UNA CIFRA ESORBITANTE, ANCHE PER UN PATRIMONIO COME QUELLO DEL CAVALIERE DEL CIALIS - IL PREMIER AVREBBE RIFIUTATO, OFFRENDO 200 MILA EURO "TRATTABILI" FINO A 300 MILA - NON BASTA: DE BENEDETTI VUOLE SUBITO I 750 MILIONI DI RISARCIMENTO LODO MONDADORI - (VALE LA PENA SFANCULARSI OGNI SANTO GIORNO PER LE BEGHE DEI MILIARDARI D'ITALIA? UN PAESE ALLO SBANDO DEVE SCENDERE IN PIAZZA PER TIPINI CHE SI FANNO I CAZZI LORO DA SEMPRE? COL VOSTRO STIPENDIO MENSILE, LOR SIGNORI LO DANNO COME MANCIA AI CAMERIERI E ALLE ZOCCOLE)

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1 - VERONICA, CHIESTI 3 MILIONI E MEZZO AL MESE
IL PREMIER AVREBBE RIFIUTATO, OFFRENDO 200 MILA EURO «TRATTABILI» FINO A 300 MILA
Federico De Rosa per il Corriere della Sera

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Una cosa è certa: le cifre in gioco nella separazione tra Veronica e Silvio Berlusconi sono sicuramente rilevanti. Quanto è ancora presto per dirlo. Tuttavia inizia a emergere qualche particolare del ricorso di separazione con addebito presentato all'inizio del mese da Veronica Lario Berlusconi.

La moglie del premier, secondo fonti ben informate, avrebbe presentato una richiesta di 43 milioni di euro l'anno, ossia poco più di tre milioni e mezzo al mese come assegno di mantenimento. Una cifra importante, anche per un patrimonio come quello accumulato negli anni dal Cavaliere. Il quale a stretto giro avrebbe risposto giudicando inaccettabile la richiesta depositata in Tribunale.

Ma la partita è solo all'inizio e sicuramente si trascinerà a lungo.

Il principio attorno al quale ruotano questo genere di cause è il mantenimento del tenore di vita precedente alla decisione di separarsi. L'assegno servirebbe quindi a questo: a garantire a Veronica le stesse possibilità che ha avuto finora. Ma la cifra richiesta è stata giudicata esorbitante.

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Secondo fonti ben informate la controfferta del Cavaliere sarebbe stata di circa 200 mila euro mensili, con la possibilità di arrivare fino a 300. Inoltre, fonti vicine al premier fanno presente che sarebbero già stati versati a Veronica tra i 60 e i 70 milioni di euro, probabilmente anche nell'interesse dei figli nati dal secondo matrimonio di Berlusconi. Vale a dire Barbara, Eleonora e Luigi, a tutela dei quali la signora Lario ha sempre detto di muoversi.

A loro tre negli anni scorsi il Cavaliere ha girato il 7,5% ciascuno della Fininvest, la finanziaria posta a capo dell'intero gruppo della famiglia Berlusconi.

Interpellata dal Corriere, l'avvocato della signora Lario Berlusconi, Maria Cristina Morelli, ha precisato: «Come già detto altre volte, non dichiaro nulla alla stampa riguardo i miei clienti».

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C'è da pensare che, come di solito accade in questo genere di partite, la cifra messa nero su bianco da Veronica possa essere negoziale. Una richiesta elevata, insomma, dalla quale partire per cercare un accordo. Certo la distanza rispetto alla controproposta è piuttosto ampia. Parliamo di una richiesta dieci volte superiore a quanto Berlusconi avrebbe detto di essere disposto a sborsare per il mantenimento di Veronica.

Silvio Berlusconi e Veronica LarioSilvio Berlusconi e Veronica Lario

Secondo indiscrezioni, prima della decisione di presentare in Tribunale il ricorso con addebito per sciogliere il matrimonio, a Veronica sarebbe stata proposta un'altra soluzione: delegare la quantificazione dell'assegno di mantenimento a un soggetto terzo indicato dal lei. Il ricorso ha cancellato questa possibilità, investendo direttamente un giudice della questione.

Sempre secondo le indiscrezioni, Berlusconi si era anche detto disponibile a lasciare alla moglie Villa Belvedere, la residenza di Macherio in cui vivono Veronica e i figli, con gli arredi compresi. Ma ora, a meno di sorprese, sempre possibili in questo tipo di vicende, la parola passa al giudice.

2 - DE BENEDETTI VUOLE I SOLDI: MARTEDÌ SENTENZA
Luca Fazzo per Il Giornale

Tanti, maledetti e subito. Carlo De Benedetti non vuole aspettare il processo d'appello, anche se dai fatti - la «guerra di Segrate», ovvero lo scontro con Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori - sono passati ormai diciott'anni, e si può immaginare che un paio d'anni in più o in meno non farebbero poi questa grande differenza.

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Anzi, secondo i legali dell'Ingegnere proprio il tempo trascorso rafforza il diritto del loro assistito a incassare senza altri ritardi i 750 milioni di risarcimento che il 3 ottobre scorso il giudice Raimondo Mesiano ha disposto a favore della Cir, la holding dell'editore di Repubblica.

A pagare, dice la sentenza, deve essere la Fininvest di Silvio Berlusconi, che nel 1991 avrebbe conquistato il controllo della casa editrice milanese corrompendo uno dei giudici chiamati a dirimere lo scontro tra i due imprenditori.

Ieri gli avvocati di De Benedetti hanno depositato alla Corte d'appello di Milano l'atto con cui si oppongono a qualunque sospensione o rinvio del pagamento del gigantesco bonus. Era l'ultimo giorno utile, d'altronde, perché la Cir facesse valere le proprie ragioni in vista dell'udienza che segnerà un passaggio decisivo di questa annosa vicenda.

Martedì 1 dicembre la Corte d'appello milanese deciderà se i 750 milioni di risarcimento vadano pagati immediatamente da Berlusconi a De Benedetti, come prevede la sentenza Mesiano e come l'Ingegnere pretende nelle quattro pagine depositate ieri; o se invece, come chiede il Cavaliere, il pagamento debba essere sospeso fino a quando non si sarà celebrato il processo d'appello vero e proprio, cioè - con i tempi della giustizia civile a Milano - circa un paio d'anni.

DE BENEDETTI BERLUSCONIDE BENEDETTI BERLUSCONI

Gli argomenti della Fininvest per chiedere che il pagamento venga congelato sono noti. Gli avvocati del Biscione mettono in discussione la sentenza di Mesiano in tutti i suoi contenuti, anticipando in buona parte i contenuti di quello che sarà il processo d'appello: ricordando, ad esempio, che la sentenza a favore della Fininvest del 1991 (quella scritta dal giudice Metta, poi condannato per corruzione insieme a Cesare Previti) non mise affatto fine alla «guerra di Segrate», e che poco dopo Berlusconi e De Benedetti raggiunsero l'accordo che lasciava al primo i libri e le riviste, al secondo Repubblica, l'Espresso e i giornali locali. Ma il professor Vaccarella e gli altri legali del Cavaliere si battono soprattutto contro l'obbligo immediato di pagamento disposto da Mesiano. È vero che nei processi civili questa è la norma.

Ma il «caso Mondadori», dicono, è reso atipico dalla strabiliante altezza della posta in gioco. Per pagare oggi 750 milioni a De Benedetti, la Fininvest dovrebbe vendere una parte dei suoi asset, rinunciare a progetti di sviluppo, a investimenti, insomma subirebbe dei danni che - se la sentenza d'appello dovesse annullare quella di primo grado - non potrebbero essere riparati.

E in tal caso, dicono, non ci sarebbe alcuna certezza neanche sulla concreta possibilità di recuperare i 750 milioni versati a De Benedetti, visto che il sistema bancario - verso cui la Cir è esposta per cifre rilevanti - potrebbe appropriarsi della somma.

Ma la Cir ha fretta. Già il 22 ottobre aveva fatto partire un «atto di precetto» contro Fininvest per chiedere il pagamento immediato, e solo una decisione del presidente della Corte d'appello Giacomo Deodato, che ha fermato le bocce in attesa dell'udienza di martedì, ha impedito all'Ingegnere di pignorare i beni di Fininvest.

E nel controricorso depositato ieri, la Cir ribadisce il diritto a incassare tutto e subito: ricordando che la sentenza di Mesiano arriva dopo una sentenza penale definitiva sugli stessi fatti, quella che insieme al giudice Metta condannò Cesare Previti per avere agito per conto della Fininvest.

 

 

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