SOTTO LA LETTERA A 'REPUBBLICA' COVA IL LANCIO DEL NUOVO LIBRO DI PIERLUIGI CELLI - SI CHIAMA "IL CORAGGIO DON ABBONDIO" E DAL SOTTOTITOLO SI CAPISCONO MOLTE COSE: - "L'ARTE DI ARRENDERSI E IL RISCHIO DI RESISTERE IN UN PAESE CHE STA PERDENDO L'ONORE" - IRA SANTADECHÉ: "UN MIRACOLATO, UN PRIVILEGIATO DI REGIME CHE HA SCALATO MILLE INCARICHI SENZA UN VERO PERCHÉ, SE NON QUELLO DELLA MILITANZA POLITICA" - IDEA FRATTINI: "PERCHé NON COMINCIA PROPRIO CELLI AD ANDARE LUI A VIVERE ALTROVE?"

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1 - SONO SOLO VENTI-CELLI DI PUBBLICITÀ
Farfalla Rossa per Dagospia

Francesco Cossiga Pierluigi Celli - Copyright PizziFrancesco Cossiga Pierluigi Celli - Copyright Pizzi

Sembrava proprio vero. Che Pier Luigi Celli ci avesse messo davvero il cuore in quella lettera scritta al figlio Mattia e pubblicata sulla prima pagina di Repubblica e alla quale la maggior parte dei quotidiani, con toni diversi, si sono sentiti in obbligo di rispondere.

PIERLUIGI CELLI E SIGNORAPIERLUIGI CELLI E SIGNORA

Sembrava, insomma, che quel sasso lanciato nello stagno dell'attuale deriva culturale fosse genuino e animato da un sincero sentimento rivoluzionario, quello del risveglio delle coscienze e della spinta alla ricostruzione per le generazioni future. Ma c'è anche dell'altro.

Dietro quella sortita pare esserci il solito, furbesco (ma geniale) lancio pubblicitario della nuova fatica letteraria del direttore della Luiss. Si chiama "Il Coraggio Don Abbondio" e già dal sottotitolo si capiscono molte cose: "L'arte di arrendersi e il rischio di resistere in un Paese che sta perdendo l'onore".

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Ecco qua, svelato il retroscena. Scrive, infatti, Celli nell'introduzione, tanto per far capire di che parla il libro, idealmente (e manco poco) collegato alla lettera di Repubblica: "Bisognerebbe fare i nomi, ad avere coraggio. Ma come si fa, in un Paese come il nostro; in questo momento poi che, se poco poco ti sporgi, uno che ti castiga lo trovi subito. Teniamo tutti famiglia, questo almeno è pacifico, e dunque limitiamo le pretese: contentiamoci di quello che passa una moderata indignazione senza velleità di eroismo.

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Che è persino un modo, non tutto da buttare, per esercitare la fantasia. E a proposito della fantasia, non va sottovalutato il fatto che questi tempi ci offrono condizioni inaspettate per rivalutarla, essendoché la realtà ha di gran lunga superato quello che onestamente uno si poteva immaginare: così, anche a sforzarsi, di cadere in esagerazioni non c'è proprio pericolo.

Nessuno vi direbbe che state pazziando solo perché, mettiamo, vi siete pensati Gasparri che dà lezioni di bon ton o, che so io, Quagliariello tutto preso a difendere chi qualche tempo prima magari lo schifava. E non ditemi che vi meraviglierebbe leggere sul «Corriere» una storia a puntate su Geronzi, perché allora è proprio vero che non state capendo nulla dello spirito che gira. Adattarsi, ecco la parola d'ordine. Non costa quasi nulla, in fondo; basta un po' di paura sparsa qua e là, a caso. Magari facendo finta di dare buoni consigli.

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C'è sempre, puntuale, chi ti richiama all'ordine: dovrebbe ricordarsi che il suo posto di lavoro è in scadenza, o, più puntuale, lei ha una carriera così bella davanti, perché se la vuole rovinare? Se poi uno non vuol capire, basta armare la penna di un direttore amico o, più discretamente, soffiare qualcosa a Dagospia. Ci vuole coraggio ad avere coraggio, oggi. Il rischio di don Abbondio era di farsi allisciare dai bravi. Un rischio, tutto sommato, modesto.

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Qui, invece, rischi di scomparire. Socialmente, certo. Che è poi come perdere la propria identità e la dignità di soggetto pensante. Più nulla di nulla: destinato all'anonimato di chi non avrà nulla da dire e ancora meno da rivendicare. Uno ci terrebbe anche a difenderla la propria storia, un po' perché non gli sembra così male, ma anche perché questa nuova fauna un po' di schifo gli fa.

Ma ve lo immaginate cosa potrebbe succedere se mai scappasse fuori la verità di questo o di quello? E allora, niente nomi. Troppo impegnativo. Anche perché sarebbe difficile decidere da dove cominciare, tanto è generalizzata oggi la propensione ad allinearsi, condividere, assecondare".

CELLICELLI celli libro covercelli libro cover

Chiude, Celli, invitando tutti alla ribellione: " Don Abbondio aveva paura, ma, in fondo, non sembra soffrisse di depressione. Forse perché le facce dei bravi erano feroci, incutevano rispetto, ma non lasciavano supporre altro da quello che dicevano. A noi tocca in dote un concentrato di ipocrisia senza limiti, così che non ci resta neanche lo spazio per argomentare pacatamente un eventuale dissenso. Depressi e incazzati: un buon cocktail per non dichiarare la resa".

E perchè, allora, le nuove generazioni dovrebbero arrendersi e scappare all'estero, come invitava a fare ieri dalla prima di Repubblica? Che importa, quando ci sono in ballo un po' di copie in più di un libro si fa di tutto, di più...

2 - CARO FIGLIO DI PIER LUIGI CELLI VATTENE ALL'ESTERO, EVITA LA VITACCIA DI PAPÀ, CHE È DIVENTATO SOLTANTO DIRETTORE DELL'ENI, POI DIRETTORE GENERALE DELLA RAI, NON SAPENDO NEMMENO DA LONTANO CHE ESISTEVANO I PARTITI. FIGURARSI I CLAN...
Andrea Marcenaro per "Il Foglio"

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Caro figlio di Pier Luigi Celli che stai per finire l'Università, sono certo che saprai tracciare la tua strada. Comunque te lo auguro di cuore. Se è vero, come non dubito, che hai un forte senso di giustizia, una gran voglia di arrivare ai risultati, e l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai, lascia questo paese. Questo è un paese in cui, se ti andrà bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque, un centesimo di una velina o di un tronista, questo è un paese di affiliazioni familistiche, o di clan, ma sempre politiche.

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Vattene all'estero, laureando mio caro, facci il santo favore. Evita la vitaccia di papà, che è persona per bene, diversissima dalle altre, capace di resistere (in questo paese) per 67 anni. E che avrebbe fatto ben altro, ma è diventato soltanto direttore dell'Eni, dal 1985 al 1993, poi direttore generale della Rai, dal 1998 al 2001, non sapendo nemmeno da lontano che esistevano i partiti. Figurarsi i clan.

2 - IL FIGLIO DI CELLI? FUGGA DAL PADRE
Daniela Santanchè per "Il Giornale"

«Figlio mio, lascia questo Paese». Non può non suscitare indignazione, prima ancora che amarezza, il saggio di qualunquismo somministrato al Paese su La Repubblica da un privilegiato di regime come Pier Luigi Celli con la scusa di scrivere una lettera al figlio Mattia che si sta per laureare. L'ex direttore generale della Rai (1998-2001 in piena orgia di sinistra), un miracolato che ha scalato mille incarichi senza un vero perché, se non quello della militanza politica, se la prende con questo mondo cinico e baro, «una società divisa, rissosa, fortemente individualista», in cui conta solo il «riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili, di carriere feroci fatte su meriti inesistenti». A meno che «non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica».

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Stupiscono queste parole nella penna di uno come Celli che, laureatosi in sociologia a Trento ai tempi di Renato Curcio e del dissenso per il dissenso, ha un cursus honorum, che se fa onore a lui non lo fa certo al Paese che suggerisce al figlio di abbandonare con la velocità della luce.

Risorse per mantenerlo all'estero o comunque per dargli una mano a trovare una sistemazione certo non gliene mancano. Eppure la sua carriera è lo specchio fedele del Paese che aborrisce. Il Paese che gli ha consentito di coltivare la sua religione, il generalismo, quello che gli ha consentito di saltare da un incarico all'altro con la disinvoltura di uno che sa per certo che cadrà sempre in piedi: direttore delle Risorse umane dell'Eni, è passato, oltre che dalla Rai, da Omnitel e Wind a Unicredit, all'Enel fino alla direzione generale della Luiss con buona pace di Guido Carli, il fondatore della Libera università romana senza disdegnare numerosi consigli di amministrazione di cui ha fatto o fa ancora parte: Lottomatica, Hera, Messaggerie Libri.

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Da questo pulpito, che gli permette anche di presentarsi come narratore e saggista (è autore per chi non lo sapesse di un trattato che, con scarso senso dell'humour, ha intitolato Breviario di cinismo ben temperato, e che è un florilegio di battute da avanspettacolo), dice al figlio che questo è un «Paese che non ti merita».

Ma non avrebbe meritato neanche lui, Pier Luigi Celli, se la sua militanza a sinistra non lo avesse proiettato verso traguardi altrimenti impensabili. Fatti di onori e prebende.

A mio figlio, al contrario, come penso la maggior parte dei genitori italiani, insegno ad amare la propria Patria e che deve sentire con orgoglio tale appartenenza. Gli spiego anche di non seguire i cattivi maestri e di impegnarsi perché il nostro Paese diventi migliore.

3 - MATTIA CELLI AL PADRE: CONDIVIDO RIFLESSIONI MA DEVO ANCORA DECIDERE...
(Adnkronos) - 'Condivido le riflessioni di mio padre, ma al momento non ho ancora deciso se andare a vivere all'estero. Decidero' dopo aver preso la laurea'. Mattia Celli, commenta all'ADNKRONOS la lettera aperta con cui il padre Pierluigi dalle colonne di Repubblica lo invita a 'lasciare questo paese'. Mattia Celli, 23 anni maturita' scientifica, al secondo anno di specialistica in ingegneria meccanica alla Sapienza di Roma, non nasconde che comunque si tratta di una decisione difficile.

Daniela SantacheDaniela Santache

'L'analisi di mio padre -sottolinea- mi trova d'accordo, ma l'Italia e' sempre l'Italia. L'idea di andare comunque all'estero per un paio di anni e dopo decidere se restare o meno dipendera' anche dall'argomento della tesi di laeurea. Mi piacerebbe -spiega- fare qualcosa nell'ambito della ricerca. Un settore dove in Italia ci sono enormi difficolta' e quindi sarebbe inevitabile andare all'estero'.

Mattia Celli, comunque, 'esclude scelte definitive'. 'Nel nostro paese gli ingegneri -osserva- hanno spazi e possibilita' per sfondare se possiedono un'adeguata base di conoscenza, anche se spesso la loro professionalita' non e' adeguatamente considerata, soprattutto -conclude- da un punto di vista economico'.

FRANCO FRATTINI E COMPAGNAFRANCO FRATTINI E COMPAGNA

4 - FRATTINI: LETTERA APERTA CELLI? COMINCI LUI A VIVERE ALTROVE
(Adnkronos) - "Potrebbe cominciare ad andare lui a vivere altrove, perche' no?". Il ministro degli Esteri Franco Frattini replica con questa battuta alla lettera aperta pubblicata da 'Repubblica' di Pierluigi Celli nella quale il direttore generale della Luiss consiglia al figlio di lasciare l'Italia, perche' e' un Paese dove "non c'e' piu' la possibilita' di stare con orgoglio".

5 - 'FFWEBMAGAZINE' A CELLI: ITALIA DA CAMBIARE NON DA LASCIARE...
(Adnkronos) - "Boia chi molla". Quello di 'Ffwebmagazine' non e' un titolo improvvisamente nostalgico ma il ripescaggio di uno slogan della destra in risposta alla lettera al figlio scritta da Pierluigi Celli, ex direttore generale della Rai e attualmente direttore generale della Luiss, che 'La Repubblica' mette in prima pagina.

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E nella homepage della testata on line della Fondazione FareFuturo presieduta da Gianfranco Fini, il direttore Filippo Rossi parte dalla parola d'ordine degli anni '70 per precisare: "Nessun rimpianto per un'idea della politica muscolare", e tantomeno per un clima da "guerra civilie", e commenta: "Un quadro fosco, quello di Celli, di un pessimismo forse esagerato. Ma non e' nel merito che ci sentiamo di dare un consiglio alternativo".

"E anzi -sottolinea- nemmeno un vero consiglio ci sentiamo di dare. Piuttosto una richiesta e una speranza. La speranza che l'Italia non venga privata di una generazione che, oggettivamente, e' stata abbandonata a se stessa, prigioniera del presente, senza prospettive, senza un sogno collettivo, senza un'idea di futuro".

 

 

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