Giampaolo Pansa
Giampaolo Pansa per \"Il Riformista\"
Posso azzardare una previsione? Non ci sarà nessuna riforma della giustizia. Non la vedremo in questo scampolo del 2008. Ma neppure nel 2009, come promette il governo. E forse neanche nel 2010. Intendo una riforma vera. Non una finta.
Del resto, è fatale che in Italia vada così. I magistrati sono l\'ultima corporazione rimasta intatta, hanno conservato tutti i poteri e i privilegi, formano la lobby più forte nel paese. Aveva ragione mia madre Giovanna che voleva facessi il giudice, non il giornalista. Un concorso pulito l\'avrei vinto, poi mi sarei iscritto all\'Associazione Nazionale Magistrati, con i vantaggi relativi. E oggi che non ho più l\'età per stare in un tribunale, vivrei beato in Parlamento.
Non ci sarà nessuna riforma perché Silvio Berlusconi possiede i voti, ma non la forza politica per realizzarla. Abbiamo già capito che lui non ha i pantaloni della signora Margaret Thatcher. Magari li avesse. Gioverebbe anche alla nostra sinistra dalle gomme sgonfie. La metterebbe per davvero alla stanga. La obbligherebbe a non straziarsi e a uscire dal nulla parolaio nel quale sta morendo.
Margaret TatcherMa il Cavaliere non è un leader da tempo di guerra. Winston Churchill non è il suo modello. E non assomiglia neppure alla lontana ai personaggi che popolano la cianfrusaglia dipietrista: Videla, Mussolini, Hitler & C. A Silvio piace piacere. E nemmeno con i giudici, che lui considera nemici mortali, è capace di usare il pugno duro. Sta a Palazzo Chigi per la terza volta, però neanche in questo giro riuscirà a fare quel che aveva promesso all\'inizio della sua discesa in campo.
Messo in chiaro questo, bisogna riconoscere che arrivare alla riforma della magistratura è come scalare la parete nord dell\'Eiger in maglietta e scarpe da tennis. Anzi, le pareti da superare sono almeno tre, e tutte non di sesto, ma di settimo od ottavo grado. Provo a descriverle alla buona.
La prima è l\'azione penale obbligatoria. Oggi qualsiasi pubblico ministero è in grado di aprire un\'indagine sulla base di qualsiasi notizia di reato. Basta una lettera anonima, la soffiata di un confidente, un trafiletto di giornale, qualche parola captata in un talk show televisivo. L\'iniziativa di un magistrato può essere del tutto arbitraria. Così il Pm diventa il padrone discrezionale e incontrollabile della legge. E dell\'accusato.
La seconda è la separazione netta delle carriere fra magistratura inquirente e giudicante. Se non si arriverà a questa misura, Pm e giudici resteranno sempre figli della stessa gallina bianca. Anch\'io, come imputato, in più di un caso ho avuto l\'impressione che tra chi mi accusava e chi doveva decidere la mia sorte ci fosse troppa pappa e ciccia. O per essere colloquiali, che entrambi fossero culo e camicia.
Tribunale di MilanoLa terza parete da scalare è quella del protagonismo mediatico di troppi magistrati. Quando ho iniziato a lavorare nei giornali, i giudici che incontravo erano restii a dirti persino il loro nome. Oggi molte toghe sono star da palcoscenico. Sempre in prima pagina, alla radio, alla tivù, in dibattiti pubblici, in conferenze nelle scuole, nei congressi di partito. Spesso firmano appelli contro leggi dello Stato che sono chiamate ad applicare. C\'è persino chi ha partecipato da protagonista al Vaffa Day di Beppe Grillo.
Ce lo vedete il Cavaliere andare all\'attacco di queste pareti di ghiaccio? Io no. Eppure adesso il clima favorevole all\'impresa c\'è. Certi segnali s\'intravedono anche nelle dichiarazioni di qualche magistrato eminente. Intervistato da Giuseppe D\'Avanzo di Repubblica, venerdì 12 dicembre, Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale e uomo di sinistra, qualcosina si è lasciato scappare.
Ha detto: «Non sempre la magistratura ha usato con la responsabilità necessaria l\'indipendenza massima che la Costituzione le assegna». E poi: «Le correnti sono diventate strumento di promozione e di carriera. È una degenerazione». E ancora: «Credo che la magistratura debba fare un severo esame su se stessa».
Questo esame l\'hanno già fatto i cittadini. Il risultato è impietoso. I magistrati, insieme ai giornalisti, sono i due poteri di cui la gente si fida di meno. La lentezza dei processi è diventata sfiancante. Anche le cause più semplici non hanno mai fine. Avere giustizia è un terno al lotto. La faziosità politica si vede troppo. È più facile parlare con il Papa in Vaticano che con un giudice nel suo ufficio. L\'italiano qualunque ringhia: eppure quell\'ufficio lo pago io, come pago il magistrato. E avrebbe voglia di dar fuoco al tribunale.
Qualche mese fa, Felice Casson, ex magistrato e oggi parlamentare del Pd, ha rivolto ai colleghi di un tempo un rimprovero pesante: «Sono un mondo ormai autoreferenziale», ossia capace di parlare soltanto con se stesso. Ma così i giudici non si accorgono di sprofondare nel discredito. La guerra tra le procure generali di Salerno e di Catanzaro non è che l\'inizio della catastrofe. Prepariamoci a vedere altra robaccia, sempre più orrenda.
Volete un\'attenuante pro-giudici? La sfiducia nei confronti dei magistrati non è una piaga di oggi.
Un grande storico del Novecento, Gaetano Salvemini, diceva: «Se mi accusano d\'aver rubato il Duomo di Milano, prendo il passaporto e scappo in Svizzera». Adesso gli basterebbe avere qualche maniglia in una delle correnti dell\'Anm per vivere tranquillo.
Ecco perché ci vorrebbe un signor Thatcher italico. Ma siamo il paese di Pulcinella. E dovremo accontentarci di quel che passa il convento: calciatori, belle donne e politici di cartone.