LA MAFIA CHIAMA, LO STATO RISPONDE (E VICEVERSA) – BRUSCA PARLA DELL’ACCORDO TRA RIINA E LE ISTITUZIONI MA NON Può FARE IL NOME DEL POLITICO CHE AVVIò LA TRATTATIVA – LA “COPERTURA POLITICA” DELLE FORZE DELL’ORDINE – “TANTI VOLEVANO IL POSTO DI LIMA”…

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Francesco La Licata per "La Stampa"

L'ombra della trattativa fra Stato e mafia è riapparsa ieri nell'aula bunker di Rebibbia, durante l'interrogatorio di uno dei pentiti storici di Cosa nostra. Un fardello ingombrante proprio mentre a Palermo lo Stato prepara la cerimonia per ricordare Giovanni Falcone.

E' stato Giovanni Brusca - l'uomo che nel maggio del 1992 attivò il telecomando che uccise Giovanni Falcone, la moglie e la scorta - a riproporre la sceneggiatura del tentativo di accordo fra Riina e le Istituzioni. Il palcoscenico è il processo che si celebra a carico del prefetto Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu (ex ufficiali del Ros), accusati di favoreggiamento per aver impedito - secondo la testimonianza di un altro ufficiale dei carabinieri, il colonnello Riccio - nell'ottobre del 1995 la cattura di Bernardo Provenzano.

Giovanni FalconeGiovanni Falcone

«Riina mi fece il nome dell'uomo delle Istituzioni con il quale venne avviata, attraverso uomini delle forze dell'ordine, la trattativa con Cosa nostra», così Brusca ha confermato la sua tesi sul coinvolgimento della politica nel dopo stragi del 1992 e del 1993. I pubblici ministeri - Antonio Ingroia e Nino Di Matteo - hanno invitato il collaboratore a fare in aula il nome indicato da Salvatore Riina, ma Brusca si è avvalso della facoltà di non rispondere perchè l'episodio è divenuto oggetto di indagine della Procura di Caltanissetta che segretamente aveva interrogato il collaboratore.

La vicenda di una trattativa fra Stato e mafia non è nuova, ma è la prima volta che si giunge ad una svolta. Che dopo la strage di Falcone i carabinieri del Ros, l'allora colonnello Mori e il capitano De Donno, avessero avvicinato l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino (politico molto influente presso la mafia corleonese) per «fare in modo di far cessare la svolta stragista di Cosa nostra», è cosa nota.

Un po' più nel vago è rimasta la questione legata alla "copertura politica" di cui godevano le forze dell'ordine. La testimonianza di ieri di Brusca sembra destinata a rendere meno vaga tutta la vicenda, almeno dal punto di vista delle indagini su un fatto forse mai approfondito. Ma Brusca ha detto dell'altro.

Totò Riina dietro le sbarreTotò Riina dietro le sbarre

Ha ripetuto ancora una volta che, dopo l'uccisone dell'europarlamentare Salvo Lima (impegnato ad alleggerire i guai giudiziari di Cosa nostra), «qualcuno offrì a Totò Riina un contatto con la Lega di Bossi». Ma ha aggiunto che tra gli omicidi di Lima e di Falcone (marzo-maggio 1992) furono più d'uno «i politici che si proposero a Riina per prendere il posto del politico ucciso». «Non se ne fece nulla - commenta il pentito - perchè nel frattempo il capo di Cosa nostra aveva trovato il canale giusto. Ed era soddisfattissimo».

Poi, sempre per descrivere il guazzabuglio mafioso-istituzionale di quel periodo, Brusca ha introdotto il sospetto che la cattura di Riina possa essere stata concordata. «Ci furono - ha ricordato il pentito - diversi commenti in Cosa nostra e molte voci, come quella in cui si diceva che prima dell'arresto di Riina la moglie di Provenzano si sarebbe incontrata con un carabiniere».

La "voce", inoltre, sarebbe stata trasmessa ad un mafioso da un sottufficiale del Ros. Senza risparmiare colpi di scena, poi, Brusca ha infranto il mito di Provenzano "mafioso moderato". Le stragi? Don Binnu non era d'accordo, ma solo perchè avrebbero creato troppo clamore. Ma Falcone e Borsellino lui li voleva morti come Riina, «magari a Roma o in altri luoghi, ma senza clamore».

Tra una pausa e l'altra, infine, il pentito ha messo lì il racconto di una estorsione (500 milioni di vecchie lire) "messa a posto" da Vito Ciancimino a Caltanissetta. Duecento milioni furono presi da Massimo Ciancimino (figlio dell'ex sindaco) e consegnati ad un imprenditore che li "passò" al politico Bernardo Alaimo.

Prima di Brusca era stato ascoltato il collaboratore Ciro Vara, a proposito delle "allegre latitanze" di Provenzano. «Per alleggerire, dopo le stragi la pressione del 41 bis - ha detto - Provenzano aveva cercato di far intervenire la Chiesa». Una tesi, questa, poco conosciuta ma ritenuta attendibile nell'inchiesta portata avanti dal giudice Gabriele Chelazzi (morto di infarto nel 2003).

 

 

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