Luca Iezzi e Claudio Tito per \"la Repubblica\"
Berlusconi e Tremonti«Hanno pareggiato il conto». Chi ha visto evolvere il pacchetto di sostegno pubblico alle banche, negli incontri tra governo e banchieri, leggeva la nota del ministro dell´Economia Giulio Tremonti come un messaggio per il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «L´unica ipotesi fondata è quella della invarianza della Finanziaria» dice il ministero per bloccare le velleità del premier di un intervento più ampio che riguardi la detassazione delle tredicesime e gli aiuti alle piccole imprese.
Allo stesso modo il Cavaliere si prepara a smontare nel consiglio dei ministri di domani due capisaldi dell´intervento di Tremonti sulle banche: niente più sottoscrizione diretta di azioni privilegiate e cambio di management delle banche in difficoltà. Vince il modello francese: lo Stato comprerà obbligazioni convertibili in azioni e userà la mano leggera con i manager. Il decreto sarà modificato per prevedere lo strumento dei bond, una soluzione non amata da Tremonti, ma che è disposto ad accettare per i minori effetti sul deficit e debito pubblico.
Mario DraghiLa divergenza delle ricette anticrisi tra palazzo Chigi e via XX settembre si è fatta evidente: su Berlusconi sta avendo successo il pressing del governatore della Banca d´Italia Mario Draghi e del presidente di Mediobanca Cesare Geronzi: entrambi chiedevano che la difesa delle banche italiane non fosse troppo intrusiva. Infatti gli altri strumenti, la possibilità d´iniezioni diretta di capitale pubblico e gli swap sui titoli tossici, rimarranno, ma solo su richiesta delle banche. Le quali avranno meno necessità di farlo perché non sarà innalzato il livello del Core Tier 1, il patrimonio minimo da conservare a fronte dei prestiti concessi. Così come rimane la possibilità di attivare altri centri di spesa come la Cdp e le Fondazioni, le uniche in grado di sostenere aumenti di capitale decisi dai singoli istituti.
La mancanza dell´aumento del patrimonio minimo è il segnale dell´altro braccio di ferro perso dal ministro dell´Economia con Draghi. Tremonti, con l´appoggio di qualche banchiere, ha spinto perché nel pacchetto fosse incluso il passaggio delle quote del capitale Banca d´Italia dagli istituti di credito allo Stato. Vendita già prevista dalla legge del 2005, ma mai concretizzatasi per la differenza di valutazione di quelle azioni (varia da meno di un miliardo a 20 miliardi a seconda dei criteri). Problema che non è stato risolto nemmeno in questo caso, ma via Nazionale si è opposta per altri motivi: a beneficiarne sarebbero stati solo i grandi gruppi (in particolare Intesa Sanpaolo) e poco o nulla sarebbe arrivato agli altri. Inoltre la presenza del Tesoro avrebbe innescato l´opposizione della Bce e del sistema della banche centrali europee. Una strada troppo tortuosa che ha fatto desistere Tremonti.