CASINO GIUSTIZIA – VETI INCROCIATI E VELENI SUI CANDIDATI, IL VOTO SU CSM E CONSULTA DIVENTA L’OCCASIONE PER REGOLARE ALTRI CONTI – E PER ALCUNI ANCHE UN MODO PER IMPALLINARE IL PATTO DEL NAZARENO

Contro Luciano Violante torna la vecchia immagine di “magistrato comunista” e “capo del partito dei giudici”, a dispetto dell’ampia conversione garantista. E Donato Bruno, che pure ha avuto ruoli di garanzia, è sempre “il previtiano” che combatte in Parlamento per l’amico Cesare…

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Giovanni Bianconi per “il Corriere della Sera

 

Luciano Violante Luciano Violante

La sempre aperta «questione giustizia» resta materia di mercato politico, il gioco dei voti e dei veti incrociati si consuma ancora una volta su due aspetti importanti come l’autogoverno dei giudici e il controllo di costituzionalità delle leggi. Ma il funzionamento dei due organismi che vanno avanti a scartamento ridotto o non riescono a entrare in funzione — Corte costituzionale e Consiglio superiore della magistratura — cede il passo alla tattica per vincere (o evitare di perdere) partite tra i partiti che poco hanno a che fare con l’amministrazione della macchina giudiziaria, o con i contrappesi previsti dalla Costituzione.

 

La doppia bocciatura di Luciano Violante e Donato Bruno è il sintomo che i gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione (chiamati ad accordarsi per raggiungere le maggioranze qualificate previste per la scelta dei componenti di Consulta e Csm) continuano a non fidarsi gli uni degli altri, e a dividersi al proprio interno. Facendo riaprire vecchi conti, evidentemente mai chiusi.

Donato Bruno Donato Bruno

 
«Mai io perché devo votare Violante senza essere sicuro che quelli votano Bruno?», si sentiva ripetere ieri in Transatlantico da diversi «grandi elettori» di Forza Italia. Il loro ragionamento è presto fatto, persino troppo semplice. Finora, con l’elezione di tre soli componenti per il Csm — due indicati dal Pd e uno da Ncd che sta al governo — erano stati i democratici a non rispettare l’accordo, non votando i candidati indicati da Berlusconi; così, da quel versante, la partita è stata spostata sull’altro, quello della Corte costituzionale, dopo il cambio di cavallo da Catricalà a Bruno: adesso noi votiamo Bruno senza accoppiarlo con Violante — ha pianificato una parte di parlamentari di Forza Italia — e vediamo se passa. Se sì, vuol dire che il Pd s’è adeguato, e al prossimo voto passerà pure Violante; se no, significa che ci vogliono fregare, e tutto torna in discussione.

CAMERE IN SEDUTA COMUNE PER L ELEZIONE DEL PRESIDENTE CAMERE IN SEDUTA COMUNE PER L ELEZIONE DEL PRESIDENTE

 
La giustificazione a un simile ragionamento si fonda ancora sull’immagine dell’ex presidente della Camera come magistrato comunista, sulla vulgata del «capo del partito dei giudici» fin troppo consumata e comunque obsoleta, ammesso che quel partito sia esistito e abbia se avuto un capo. Ma i vecchi veleni non smettono di circolare, e possono persino tornare utili se servono a regolare altre questioni, o a consumare vendette postume. 


Del resto, dentro il Partito democratico l’idea di votare Donato Bruno per ottenere il via libera su Violante non è stata digerita da tutti. Ed è tornato in voga l’antico appellativo di «previtiano», retaggio delle sue battaglie a difesa dell’ex ministro condannato per corruzione giudiziaria, quando la dialettica processuale s’era trasferita in Parlamento con la richiesta d’arresto e le leggi ad personam . Da allora sono trascorsi diversi lustri e Bruno ha ricoperto altri incarichi, anche teoricamente «di garanzia» come la presidenza della commissione Affari costituzionali a Montecitorio.

 

Silvio Berlusconi Silvio Berlusconi

Ma al momento di andare alla Consulta è riemerso il passato, indelebile e politicamente spendibile per dire: «Io quel nome non posso votarlo». E se questo atteggiamento portava con sé il rischio di impallinare anche Violante, pazienza. Tra gli anti-renziani del Pd c’è chi sperava che così potesse saltare il «patto del Nazareno», mentre tra i fedelissimi del premier qualcuno confidava in un nuovo candidato, più gradito al capo del governo e del partito. 


L’elezione di tre componenti del Csm (l’ultimo che mancava in quota Pd, quello di Scelta civica e uno dei due di Forza Italia: l’ex sottosegretaria alla Giustizia Casellati) potrebbe forse lasciare delle possibilità ai due candidati della Consulta. Il fatto che almeno una parte dei democratici abbia votato per la Casellati può essere letto come un messaggio: non c’è un muro contro muro insuperabile, i segnali incrociati sono stati lanciati ma adesso, se i due leader insistono, si possono forse deporre le armi.

 

Antonio Catricala Antonio Catricala

Giochi politici a parte, l’organo di autogoverno dei giudici si avvicina faticosamente ad essere completato. Chissà se il prossimo voto sarà quello definitivo. A questo punto mancano solo due consiglieri «laici»: il secondo di FI e quello che in teoria spetterebbe al Movimento Cinque stelle. Dopo la bocciatura di Vitali si tratta di vedere se Berlusconi cambierà nome e che cosa succederà con il candidato di estrazione grillina. 

Maria Elisabetta Alberti Casellati Maria Elisabetta Alberti Casellati


Anche in questo caso, la necessità di mettere in grado di funzionare al più presto il nuovo Csm è passata in secondo piano, nonostante la questione sia urgente, poiché ci sono vicende in corso sulle quali l’organo di autogoverno è chiamato a pronunciarsi. Per esempio il decreto legge appena entrato in vigore sulla riforma della giustizia civile, che contiene al suo interno il taglio delle ferie dei giudici. Vicenda che continua ad alimentare lo scontro tra governo e toghe, e di cui il Csm ancora in carica (prorogato in attesa del nuovo che non riesce a nascere) potrebbe cominciare a occuparsi.

 

Luigi Vitali e Berlusconi dal sito di Vitali Luigi Vitali e Berlusconi dal sito di Vitali

Ieri, su iniziativa dei togati di Area e di Unità per la costituzione (le correnti di sinistra e di centro), la commissione competente ha chiesto al comitato di presidenza l’apertura di una pratica «sulla disciplina delle ferie dei magistrati alla luce della normativa introdotta dal decreto legge 12 settembre 2014, n. 132». Logica vorrebbe che ad aprire la pratica fosse il prossimo Consiglio, che però non può insediarsi fino all’elezione di tutti i «laici». E così si torna al punto di partenza, e alle scelte che il Parlamento non riesce a compiere.

 

 

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