CONTI CHE NON TORNANO – LA CRISI GRECA TORNA A FAR SALIRE LO SPREAD E METTE A RISCHIO LE PREVISIONI IN ROSA DEL DUO RENZI-PADOAN – NEL DEF CI SONO CIFRE IMMAGINIFICHE, COME I 70 MILIARDI DI TAGLI ALLA SPESA NEL TRIENNIO 2016-2019 – PRIVATIZZAZIONI AL PALO E CRESCITA TUTTA DA VEDERE, ALTRO CHE “TESORETTO”


DAGOREPORT

RENZI E PADOAN

Tocca di nuovo guardare lo spread e incrociare le dita. Oggi il differenziale tra i Btp italiani e i Bund tedeschi viaggia intorno ai 140 punti, dopo esser stato sotto i cento punti base nelle scorse settimane. Colpa della Grecia e del suo rischio default. Per noi si tratta di un problema in più, perché il nostro governo di aspettava un 2015 all’insegna della minor spesa per interessi e invece, se la media dovesse stabilizzarsi sui 150 punti, per noi ci sarebbero 4-5 miliardi di euro in più da versare ai nostri creditori. Altro che “tesoretto” da 1,6 miliardi del quale ha parlato Renzi. C’è da correre ai ripari e basta.

 

Ma quella della spesa per interessi non è l’unica partita aperta per il Tesoro italiano, che dieci giorni fa ha sfornato il Def (Documento di economia e finanza), attualmente all’esame della Commissione Ue.

 

La notizia è passata quasi sotto silenzio, ma i servizi studi di Camera e Senato nei giorni scorsi hanno esaminato ai raggi “X” il Def e lo hanno sostanzialmente bocciato.

 

matteo renzi pier carlo padoan

I tecnici di Grasso e Boldrini hanno fatto notare che il permesso di Bruxelles di non rispettare l’obiettivo di medio termine sulla riduzione del rapporto deficit-pil dello 0,5% (Roma ridurrebbe solo dello 0,1) non è affatto scontato. Si tratta della cosiddetta “clausola delle riforme”, in base alla quale a un paese membro che s’impegna a fare riforme strutturali viene concesso più tempo per ridurre il deficit. Quello 0,4% di rapporto deficit-pil che balla vale 6,4 miliardi ed è questo l’importo della manovra aggiuntiva che penderebbe come una spada di Damocle sul governo Renzi.  Di qui l’allarme dei tecnici delle Camere.

 

Il rischio oggettivamente c’è, ma va detto che non è molto alto. Chi conosce la prudenza del nostro ministro Pier Carlo Padoan giura sul fatto che per aver scritto quello che ha scritto nel Def avrà avuto in tasca una qualche rassicurazione informale che la “clausola delle riforme” verrà concessa all’Italia.

matteo renzi pier carlo padoan

 

Tuttavia ci sono altre cifre che preoccupano e sono quelle delle clausole automatiche di aumento del gettito fiscale (Iva e non solo) che negli anni scorsi sono state disseminate come micce dai governi Letta e Renzi. Se non si vuole stroncare la già flebile ripresa in atto vanno assolutamente disinnescate e Renzi lo sa bene, anche se nelle conferenze stampa preferisce sorvolare. Queste clausole valgono complessivamente 70 miliardi di euro nel prossimo triennio. E come pensa di fare il governo a trovare tutti questi soldi? Ma è semplice, con la solita, mitica, “spending review”.

 

Nel Def spedito a Bruxelles si legge che l’Italia farà tagli si spesa per 16,1 miliardi nel 2016, per 25,5 miliardi nel 2017 e per 28,3 nel 2018. Cifre pazzesche, che neppure l’esodato Carlo Cottarelli sotto acido avrebbe probabilmente promesso. Per altro, l’ammissione che sui tagli alla spesa siamo in alto mare arriva dal fatto che  le previsioni per quest’anno sono scese da 16 a 10 miliardi. Tagliare 70 miliardi di euro di spesa pubblica nel triennio 2016-208 significa mettere in ginocchio Comuni e Regioni e probabilmente dover aggredire la spesa sanitaria. Tutta roba impopolare e nel 2018, al più tardi, si vota.

Renzi Padoan

 

Poi, certo, c’è il capitolo delle detrazioni fiscali dove si può incidere, ma quelle veramente tagliabili non sono tante e comunque la riduzione delle detrazioni, di fatto, è pur sempre un aumento delle tasse. E Renzi dice che lui non aumenta le tasse, semmai le diminuisce.

 

C’è poi un aspetto che non si considera mai quando si parla di tagli alla spesa pubblica: anche la spesa concorre alla formazione del Pil. E tagliare 70 miliardi significa rinunciare più o meno a cinque punti di Pil. Sono un po’ tanti per un Paese che nel 2015 sogna di crescere dello 0,7% (l’ultima stima del governo).  

 

RENZI PADOAN

Un altro capitolo davvero futuribile del Def è quello che riguarda le privatizzazioni. L’anno scorso il governo Renzi parlava di vendite per un punto di Pil per tre anni (15-16 miliardi l’anno). Poi si è scesi allo 0,7% annuo e ora il Def abbassa ulteriormente l’asticella, mette in conto proventi inferiori a quelli concordati con Bruxelles per 6 miliardi. Oggi il livello indicato è solo dello 0,4% per il 2015 e poi si sale allo 0,5%. Anche questo non è sfuggito ai tecnici delle Camere e certo non sfuggirà alla Commissione Ue.

 

r RENZI PADOAN huge

In effetti sulle privatizzazioni è notte fonda. Al Tesoro non lo ammetteranno mai, ma nel 2015 sanno anche loro che andrà bene se si privatizzerà un pezzetto di Poste e una parte di Enav. Difficile piazzare sul mercato altre tranche di Enel o di Eni, anche perché in questo momento i prezzi sono troppo bassi. Dalle dismissioni il governo voleva incassare 30 miliardi in 4 anni, ma oggi resta un mezzo sogno. E anche qui c’è un fatto che non viene mai ricordato: con la riduzione delle quote nelle partecipate cala anche il monte-dividendi che il Tesoro incassa. Anche alla fiera delle privatizzazioni non esistono pasti gratis.

MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN

 

E per finire eccoci al famoso “tesoretto”. Il governo è convinto che grazie alla maggiore crescita si liberino risorse dal bilancio pubblico per 1,6 miliardi. Per i maliziosi sarebbe il cestino delle promesse elettorali da tirare fuori per le Regionali. Se però dobbiamo restare alle cifre, il tesoretto non c’è. Il governo si ostina a prevedere una crescita dello 0,7% nel 2015, ma Fondo monetario e Banca d’Italia prevedono uno 0,5%.

 

MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN

La strategia di Renzi e Padoan è chiara: creare aspettative positive e “indurre” la ripresa con l’ottimismo, forti del “quantitative easing” di Mario Draghi. Vedremo se funzionerà, ma intanto sabato sono arrivate parole molto chiare, e che devono far riflettere, da Federico Ghizzoni. L’amministratore delegato di Unicredit ha detto chiaramente a “Milano Finanza” che la maggior liquidità creata dalla Bce non necessariamente si tradurrà in maggiori prestiti a imprese e famiglie perché la stessa Francoforte impone alle banche vigilate requisiti patrimoniali sempre più severi.

 

Carlo Cottarelli

Il richiamo di Ghizzoni è un richiamo alla realtà, esattamente come il rialzo dello spread ci richiama allo stratosferico fardello del nostro debito pubblico. La “Renzienomics” dovrà tenerne conto anche nel famoso “storytelling” che tanto piace al premier. 

GHIZZONI MONTEZEMOLO