DOMANI SU “L’ESPRESSO” ALCUNI DETTAGLI DELLA TRATTATIVA STATO-MAFIA - IL BOSS GRAVIANO: “VOGLIONO CHE ACCUSI BERLUSCONI. I POTENTI DIPENDONO DA ME” - L’OBIETTIVO DEI MAFIOSI ERANO LE CARCERI (POI CHIUSE) DELL’ASINARA E PIANOSA, DOVE C’ERANO I BOSS DAL ’92 - IL PRIMO POLITICO A CERCARE UN ACCORDO CON COSA NOSTRA SAREBBE STATO L’ALLORA MINISTRO MANNINO, CHE COINVOLSE IL CAPO DELLA POLIZIA PARISI, CHE A SUA VOLTA CHIAMÒ IN CAUSA IL COLONNELLO DEI CARABINIERI MORI E IL DIRIGENTE DEL SISDE CONTRADA...

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Lancio stampa "l'Espresso" in edicola domani

GIUSEPPE GRAVIANOGIUSEPPE GRAVIANO

Le fasi segrete della trattativa, il ruolo di Contrada e i ricatti dei Graviano. In una lunga inchiesta sul numero de l'Espresso in edicola domani Lirio Abbate ricostruisce la varie fasi del dialogo tra Cosa nostra e le istituzioni, a partire dal 1991.

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Il settimanale rivela i messaggi di Giuseppe Graviano, il padrino palermitano che gestì l'attacco allo Stato con le bombe del 1993, registrato mentre dice al figlio nella sala colloqui del carcere: «C'è chi ha detto che mi ha fatto una cortesia la magistratura e chi diceva che mi ha fatto una cortesia Berlusconi perché non lo ho accusato. Ed allora mi fanno tutti questi soprusi perché vogliono che accuso... Che dico che Berlusconi è amico mio, che Berlusconi è quello che ha fatto fare le stragi, che il 20 per cento di quello che ha Berlusconi è mio, cioè una parte del Milan, Mondadori, Mediaset, mi sono spiegato? Questi non sono fatti di nessuno, che io non devo raccontare a nessuno se è la verità oppure no. Sono cose mie... Queste persone così potenti dipendono da me... Qui tutto dipende da me».

CALOGERO MANNINOCALOGERO MANNINO

Queste frasi sono state registrate due anni fa, ma proprio il destino dei Graviano permette di capire quali siano stati i capisaldi del dialogo intessuto tra istituzioni e padrini: la difesa dei patrimoni criminali e la garanzia di una detenzione meno opprimente. I fratelli palermitani sono in cella da diciott'anni ma vivono nel lusso: si fanno comprare tutto, dai pasti alla carta igienica. La moglie di Giuseppe fa shopping nel centro di Londra e di Milano, il figlio andrà a studiare in un collegio svizzero. E la detenzione speciale, quel 41 bis che era in cima ai pensieri dei capi della Cupola nei colloqui con gli emissari delle istituzioni, oggi non pare preoccuparli più di tanto.

VINCENZO SCOTTI E ALLA SUA DESTRA VINCENZO PARISIVINCENZO SCOTTI E ALLA SUA DESTRA VINCENZO PARISI

In realtà, stando a quanto apprende "l'Espresso" da fonte riservata, l'obiettivo dei mafiosi durante la trattativa non era tanto il carcere duro quanto le "carceri dure": i penitenziari dell'Asinara e Pianosa, dove erano stati concentrati boss e picciotti dall'estate 1992. Strutture chiuse fra il '97 e il '98, mentre poco alla volta gli aspetti più rigidi del "41 bis" sono stati alleggeriti.

MARIO MORIMARIO MORI

Il primo politico a cercare un accordo con Cosa nostra, stando agli atti delle inchieste, sarebbe stato l'allora ministro Calogero Mannino. Che si sarebbe rivolto al capo della polizia Vincenzo Parisi, insediato in quell'incarico da Oscar Luigi Scalfaro, con cui aveva un rapporto di fiducia consolidato. Parisi avrebbe fatto scendere in campo il colonnello dei carabinieri Mario Mori e - cosa emersa dagli ultimi accertamenti - Bruno Contrada, il dirigente del Sisde poi condannato per mafia. Grazie a questa mobilitazione, Mannino sarebbe riuscito a ottenere un primo risultato: i boss si sarebbero impegnati a non far fuoco su altri politici siciliani. E cominciano le bombe contro i magistrati.

 

 

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