DUE VIAGGI IN CINA PER DUE ''CINOFILI'' - MAI VISTA UNA DOPPIA VISITA A PECHINO NELL'ARCO DI DUE SETTIMANE PER DUE MINISTRI ECONOMICI ITALIANI: DOPO TRIA, DI MAIO È PARTITO CON MICHELE GERACI, SOTTOSEGRETARIO ALLO SVILUPPO CON LA PASSIONE PER LA CINA MA CON CANALI DIVERSI DAL PROFESSORE DI TOR VERGATA. CERTO, QUANDO NEL M5S SI MENAVA SUL GOVERNO RENZI CHE 'SVENDEVA I NOSTRI ASSET' E SI FACEVA 'FAGOCITARE' DALLA CINA…

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Fausto Carioti per ''Libero Quotidiano''

 

MICHELE GERACI MICHELE GERACI

C' è stato un tempo, non lontano, in cui la Cina era il nemico e chi siglava accordi commerciali con Pechino era un traditore del popolo italiano. Il 5 febbraio scorso, per dire, in piena campagna elettorale, un politico intenzionato a cambiare le cose incolpò i precedenti governi di avere «messo a rischio il Made in Italy in tutti i settori, dall' artigianato all' agroalimentare, accettando trattati internazionali con Paesi come la Cina».

 

Indovinate quindi chi è appena volato proprio lì, in classe Economy perché lui non è come gli altri, a firmare accordi con la minaccia commerciale numero uno? Lo stesso di prima, Luigi Di Maio, diventato nel frattempo ministro dello Sviluppo Economico e di tante altre cose importanti.

 

DI MAIO INSTAGRAM STORY SULLA CINA DI MAIO INSTAGRAM STORY SULLA CINA

Quando la Ue discuteva se riconoscere lo status di economia di mercato alla Cina, il blog di Beppe Grillo insorgeva e accusava l' industria cinese di essere «dopata grazie a sovvenzioni pubbliche, costi dell' energia bassissimi, sfruttamento della manodopera, anche minorile». E quando a siglare accordi con questo mostro erano i ministri del passato, i Cinque Stelle li crocifiggevano in Parlamento.

 

Come fece il deputato Andrea Vallascas con quelli del governo Renzi: «L' Italia è spezzettata, svenduta alla Cina. Un Paese, il nostro, senza piano industriale, mentre la Cina un piano ce l' ha: fagocitarci. Reti infrastrutturali, energetiche, know-how delle nostre migliori aziende. Finisce tutto in Cina. E il governo che fa?». Renzi bussava alla porta di chi ha soldi, come fa oggi il «governo del cambiamento», ma quella che allora era una svendita vergognosa adesso è una fantastica opportunità per attirare investimenti esteri. Il cinese degli altri, si sa, è sempre più giallo del nostro.

 

L' ECONOMISTA GERACI

DI MAIO SULL AEREO PER PECHINO DI MAIO SULL AEREO PER PECHINO

Ad arare il campo ha provveduto l' economista Michele Geraci, che già l' 11 giugno raccontava sul blog di Grillo una Cina tutta diversa. «Chi ci può aiutare a gestire debito e spread?», domandava l' illustre «adjunct professor» presso l' università di Zhejiang. «La Cina», si rispondeva da solo. La quale «possiede 3mila miliardi di dollari in riserve valutarie». «La Flat Tax funziona meglio se arrivano investimenti stranieri. Da dove? Dalla Cina».

 

«Quale Paese ha il massimo del know-how e più investe in giro per il mondo nello sviluppo di trasporti, ferrovie, porti? La Cina». «Può la Cina aiutarci ad accelerare la transizione verso un' economia più verde? Certo». Dello sfruttamento della manodopera minorile e del desiderio di fagocitare l' Italia non si faceva menzione. Però Geraci, dopo avere pubblicato questo articolo, è stato nominato sottosegretario allo Sviluppo e capo della «task force Cina», e in tale veste sta facendo da pontiere tra i due mondi: prima è andato a Shangai, ora ha spedito Di Maio nel celeste impero.

GIOVANNI TRIA CON IL MINISTRO DELL'ECONOMIA CINESE LIU KUN GIOVANNI TRIA CON IL MINISTRO DELL'ECONOMIA CINESE LIU KUN

 

Il leader grillino indossa la faccia da amico dei cinesi con la stessa disinvoltura con cui, mentre era a caccia di voti facili, li accusava di essere un pericolo. Ha cominciato la visita a Chengdu, nel sud-ovest, che non è un posto come gli altri, ma lo snodo da cui parte il titanico progetto «Belt and Road», la nuova via della seta tramite cui il regime intende affermare il proprio controllo sulle materie prime africane, inondare l' Europa con nuove merci e mettere le mani su porti, ferrovie e altre infrastrutture lungo la strada. Un piano che sinora ha riguardato ottanta Paesi, per il quale la Cina intende investire 130 miliardi di dollari all' anno fino al 2022.

 

L' ACCUSA

Gli ambasciatori di 27 Paesi Ue, ad aprile, hanno scritto un documento che accusa il progetto di «spingere gli equilibri di potere a favore delle società cinesi sovvenzionate». Il caso-scuola è quello dello Sri Lanka, che non è riuscito a ripagare un prestito ed è stato costretto da Pechino a cedere per 99 anni un porto costruito dagli stessi cinesi. Presto, da là partiranno verso l' Europa navi portacontainer cariche di prodotti «Made in China».

MICHELE GERACI MICHELE GERACI

 

Non è la filantropia, insomma, a muovere i capitali cinesi, ma uno spirito di conquista che individua nei Paesi ad alto debito le prede ideali. Filosofia che nel 2014 ha spinto la State Grid Corporation of China ad acquistare il 35% di Cdp Reti, che a sua volta è azionista di riferimento di Snam, Terna e Italgas: il meglio dell' infrastruttura energetica italiana. Cose che fece scatenare i grillini all' epoca e che ora non li scandalizza più. Domani, a Pechino, Di Maio siglerà un accordo per gli investimenti congiunti in Africa, ma il piatto forte è previsto per fine anno: la firma del memorandum con cui l' Italia aderirà al piano Belt and Road.

 

«Siamo contenti di essere l' unico Paese del G7 ad avere portato fino a questo punto i negoziati», ha commentato con orgoglio il grillino. Qualcuno gli spieghi che se Francia, Regno Unito e Germania mandano avanti noi, un motivo c' è.

conte e tria conte e tria la sede di pechino della banca popolare cinese la sede di pechino della banca popolare cinese

 

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