FACCI-PICCHIA! –IL GIORNALISTA DI “LIBERO” RACCONTA: “SCRISSI UN DATTILOSCRITTO SU DI PIETRO: NESSUNO MI PUBBLICAVA” – “UN IRLANDESE MISTERIOSO MI DIEDE 4 MLN DI LIRE PER AVERLO” – USCÌ COME DOSSIER ANONIMO – “NON SO CHI MI MANOVRÒ CONTRO L’EX PM” – PER TONINO: “STORIA VEROSIMILE”…

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Michele Brambilla per "La Stampa"

Filippo Facci - Di Pietro, la storia vera - Copertina MondadoriFilippo Facci - Di Pietro, la storia vera - Copertina Mondadori

Siccome in Italia non c'è avvenimento che non sia avvolto dal mistero e inquinato dai sospetti, anche quella cosiddetta «rivoluzione» che fu Mani Pulite non fa eccezione. Tra i tanti interrogativi c'è quello su un presunto lavoro dei servizi segreti per affossare Di Pietro.

Uno degli indiziati principali è Filippo Facci, giornalista. Fu «un burattino di Craxi» manovrato dagli 007, come si scrisse allora? A quindici anni di distanza dai fatti, Facci stesso fornisce una sua ricostruzione in un libro: «Di Pietro. La storia vera», edito da Mondadori (518 pagine, 21 euro). Fino a pagina 464 non c'è granché di nuovo. Facci ripete le sue accuse contro Di Pietro, che da anni è - con Marco Travaglio - il suo bersaglio privilegiato. È l'ultimo capitolo, una specie di appendice intitolata «Per fatto personale», ad addentrarsi nel buio.

Facci fu l'autore di quel famoso dossier che costò a Di Pietro un procedimento disciplinare a Brescia. Procedimento che si concluse con un'assoluzione. Ma che costrinse Di Pietro a dimettersi dalla magistratura. Fu un «lavoro sporco» commissionato in qualche sottoscala popolato da barbe finte e occhiali scuri?

FILIPPO FACCI - copyright PizziFILIPPO FACCI - copyright Pizzi

L'autore del libro - e del dossier - fornisce una versione che appare naïf, tanto trabocca di ingenuità e casualità. Non si vergogna, anzi si compiace, di vestire i panni di una specie di Fantozzi, totalmente incapace di ordire trame, e perfino di padroneggiare le sue stesse azioni. Ecco la sua ricostruzione.

Facci racconta che, giovanissimo, aveva il desiderio di fare il giornalista, e cominciò a collaborare con un piccolo settimanale di Monza - la sua città - e con Repubblica e l'Unità. La prima collaborazione la perse sotterrato dalle querele; quelle con Repubblica e Unità non gli furono rinnovate al ritorno dal servizio militare.

Disoccupato, ventiquattrenne, Facci prese quel che il convento passava: una collaborazione con l'Avanti! Beninteso da abusivo e, lo scoprirà poi, gratis et amore Dei, o meglio amore partito. Ma l'Avanti! così come il Psi di Craxi, aveva i mesi contati, e presto il giovane Facci si ritrovò ancora senza lavoro. Doveva occupare il tempo. Ma come? Decise di scrivere un libro su Di Pietro. Libro revisionista, s'intende.

Di PietroDi Pietro

Il dattiloscritto fu offerto a una sfilza di editori, nessuno dei quali se lo filò. Finché un bel giorno di aprile 1993 il giovane Facci venne convocato da un sedicente Anthony Holinko di un'altrettanto sedicente casa editrice irlandese, la Marshall. «Il suo libro in Italia non verrà mai pubblicato, lo dia a me», disse il misterioso individuo a Facci in un bar di Milano: e glielo disse mentre con una mano ritirava il dattiloscritto, e con l'altra allungava una busta con quattro milioni di lire in contanti. Il libro, è inutile dirlo, non uscì mai, né in Italia né in Irlanda.

Di Pietro si Dimette - 6 dic 1994Di Pietro si Dimette - 6 dic 1994

O meglio non uscì come libro. Uscì, a spizzichi e bocconi, prima sul settimanale Il Sabato, a metà luglio: e Facci riconobbe, in quelle pagine, le sue pagine. Poi, cominciò a ricircolare in versione più corposa per le redazioni dei giornali. Era un dossier anonimo intitolato «Gli omissis di Mani Pulite», ed elencava una serie di malefatte attribuite a Di Pietro: i suoi rapporti con gli inquisiti, il prestito in denaro, la Mercedes avuta in regalo, e così via. «Era il mio libro», scrive ora Facci. «Anonimo giornalista ero io. Rimasi di sale».

Fu colto da «un timore irrazionale». «I primi di giugno 1995 ero a Monza a giocare a pallacanestro», racconta ancora. «Sul bordo del campetto d'un tratto comparve mio padre: mi disse che mi stavano cercando dal Giornale (...) appresi che Di Pietro era stato inquisito a Brescia».

Antonio Di PietroAntonio Di Pietro

Stefano Zurlo del Giornale gli chiese se il Mister X del dossier fosse lui: «Negai. Per giorni. A un mio generalizzato timore si accompagnava la consapevolezza che la storia dell'inglese che scippa i libri dei giovani cronisti era incredibile». Alla fine dovette ammettere. La Procura di Brescia lo interrogò per sei ore. «Pochi giorni dopo», scrive ora Facci, «trovai la casa perquisita e devastata da chi cercava chissà cosa».

Facci ricorda che più giornali gli diedero dello spione, che in un testo universitario fu accostato a Giorgio Zicari e Mino Pecorelli, che fu considerato il burattino di Craxi (aveva o no, il leader socialista, annunciato un «poker d'assi» contro Di Pietro?), riferisce traversie di ogni genere. Con un po' troppo vittimismo, in verità, visto che ancor giovane la sua bella carriera l'ha fatta: a Mediaset, come firma di prima pagina del Giornale e ora come inviato a Libero.

Ma, a sorpresa, questa sua versione riceve ora l'approvazione proprio di Antonio Di Pietro. L'abbiamo chiamato ieri. «La ricostruzione di Facci è anche verosimile», ci ha detto. «Poco verosimile è che quel signore irlandese abbia acquistato il suo libro perché interessava agli irlandesi. Io non ho remore a credere a Facci. Ma sarebbe interessante sapere chi c'era dietro quell'irlandese. Mi auguro che Facci, nel prossimo libro, lo scopra».

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L'AUTORE
Filippo Facci nel libro «Di Pietro. La storia vera» aggiunge un nuovo mistero ai tanti che hanno accompagnato in questi anni le vicende di Tangentopoli e del pm Antonio Di Pietro. Facci, all'epoca dei fatti, fu autore del famoso dossier che costò proprio all'ex pm un procedimento disciplinare a Brescia (finito poi con l'assoluzione). In questa ricostruzione fornisce una nuova versione dei fatti.

 

 

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