GRAND EXPORT DEL TERRORE - L’ISIS PUNTA SUI CANI SCIOLTI PER COLPIRE IN TUTTO IL MONDO CON LA SOLITA PRATICA: RAPIRE CIVILI A CASO E POI DECAPITARLI - IERI SGOMINATA UNA CELLULA TERRORISTICA IN AUSTRALIA: 5 ARRESTI

Al Qaeda intanto persegue una campagna contro obiettivi facili in Paesi filo-occidentali, evidenziando l’indebolimento militare che le impedisce di attaccare obiettivi più ambiziosi in America o Europa - Ad aver teorizzato questa forma di violenza è Abu Bakr Naji, capo della propaganda di Al Qaeda sotto Bin Laden, nel volume “Gestione della Malvagità”…

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1 - “COSÌ L’ISIS VOLEVA FAR STRAGE IN AUSTRALIA”

Marina Freri per “la Stampa

 

FILMATO ISIS FILMATO ISIS

L’uomo chiave è Mohammad Ali Baryalei. Ci sarebbe lui dietro la presunta cellula dell’Isis sgominata ieri in Australia in quella che è stata definita la più grande operazione anti-terrorismo nella storia del Paese (quasi mille poliziotti impiegati e 15 arresti tra Sydney a Brisbane).

 

Secondo la polizia federale di Canberra, Ali Baryalei, conosciuto a Sydney come un ex buttafuori dei locali di Kings Cross (quartiere a luci rosse meta del divertimento) e arrivato ai più alti ranghi di Isis dopo essere andato a combattere in Siria, sarebbe il mandante di una serie di rapimenti e decapitazioni che avrebbero dovuto colpire cittadini australiani ordinari.

 

Trentatre anni, arrivato in Australia da bambino insieme ai genitori rifugiati dall’Afghanistan, Ali Baryalei avrebbe lasciato Sydney per la Siria l’anno scorso e da allora starebbe lavorando al reclutamento di giovani australiani da inserire nelle fila dei militanti di Isis: finora ne avrebbe arruolati trenta. La polizia federale sostiene che in una telefonata avrebbe ordinato a un giovane arrestato nei raid di ieri, Omarjan Azari, di condurre una serie di attentati.

FILMATO ISIS FILMATO ISIS

 

Azari, ventiduenne di origine afghana che i parenti raccontano essere appassionato di calcio ed essere da poco diventato meccanico, avrebbe dovuto eseguire e filmare decapitazioni. I filmati sarebbero poi stati spediti a Isis che li avrebbe diffusi in rete. I genitori di Azari si trovano al momento in viaggio in Arabia Saudita, mentre lo zio Ehsan, docente dell’università di Western Sydney, si dice incredulo: «Se risultasse coinvolto, sarebbe perché gli hanno fatto il lavaggio del cervello». Oltre ad Azari un altro giovane, un ventiquattrenne, è stato incriminato per possesso d’arma (una katana) e sarà processato il 24 settembre.

 

Delle quindici persone che risultavano in stato di fermo dopo le perquisizioni di ieri, nove sono state rilasciate: i motivi del fermo e la loro identità sono per ora sconosciute. La maxi operazione è scattata a poche ore dalla partenza di un contingente australiano che dagli Emirati Arabi darà appoggio alla campagna guidata dagli Stati Uniti contro Isis in Iraq.

 

La settimana scorsa l’intelligence, subito dopo l’annuncio del coinvolgimento dell’esercito australiano nella missione, aveva sollevato l’indice d’allerta nazionale per attacchi di terrorismo portandolo al grado più alto, ma aveva anche definito la decisione una misura di precauzione.

 

isis isis

Sul fronte della politica interna, il governo Abbott da settimane cerca di promuovere l’approvazione di nuove, stringenti leggi anti-terrorismo che proprio la comunità musulmana aveva bocciato, sostenendo che avrebbero discriminato membri della loro fede.

 

A opporsi al disegno di legge sono anche varie fazioni politiche di Canberra, che esigono chiarificazioni su quanto ampi potrebbero divenire i poteri dell’intelligence se le nuove leggi fossero approvate. E c’è chi si spinge oltre, come il senatore David Leyonhjelm, che accusa l’Australian Security Intelligence Organisation di essersi macchiata, con la maxi operazione di ieri, di una campagna immorale che, con la paura, vuole far approvare rapidamente il disegno di legge.

 

isis isis

Intanto, centinaia di membri della comunità musulmana di Sydney sono scesi in strada per protestare. L’operazione di ieri solleva tre questioni con cui Canberra si trova ad avere a che fare: l’integrazione dei giovani, il sostegno agli Stati Uniti in Iraq e proprio il voto in parlamento la prossima settimana sul disegno di legge per nuove misure anti-terrorismo.

 

2 - DA AL QAEDA AL CALIFFO, I “BERSAGLI FACILI” PER PORTARE IL TERRORE A CASA DEL NEMICO

Maurizio Molinari per “la Stampa

 

abu bakr al baghdadi abu bakr al baghdadi

Il piano di decapitare dei passanti scelti a caso nelle strade di una città occidentale segna la trasformazione dei «soft target» jihadisti, nasce dal manuale di Al Qaeda sulla «Malvagità calcolata» e spinge l’anti-terrorismo a modificare i piani di difesa delle retrovie civili adottando tecniche più aggressive.

 

I nuovi «soft target

Quando nel settembre 2013 un commando di Shabaab somali attacca il Westage Mall di Nairobi, causando 67 vittime, i servizi antiterrorismo Usa e britannici deducono che Al Qaeda persegue una campagna contro «soft target» - obiettivi facili - in Paesi filo-occidentali, evidenziando l’indebolimento militare che le impedisce di attaccare obiettivi più ambiziosi in America o Europa.

 

Ma questa è la vecchia Al Qaeda, guidata da Ayman Al Zawahiri. A far intuire cosa cova nella nuova Al Qaeda, che si riconosce nell’Isis di Abu Bakr Al Baghdadi, è l’aggressione del soldato Lee Rigby a Londra, il 22 maggio 2013: i nigeriani che lo agguantano per strada, Michael Adebolajo e Michael Adebowale, entrambi convertiti all’Islam, usano il machete, infieriscono sul corpo e tentano di mozzargli la testa.

umm hussain al britani 2 umm hussain al britani 2

 

A Nairobi il «soft target» è un grande magazzino perché l’Al Qaeda delle origini, che l’11 settembre 2001 abbatte le Torre Gemelle, punta ad attacchi kamikaze per causare stragi di massa, portando alle estreme conseguenze la tecnica dei blitz contro gli «obiettivi facili» inaugurata dai palestinesi di Settembre Nero con i dirottamenti aerei negli Anni Settanta.

 

A Londra invece il «soft target» è un soldato qualsiasi, richiamandosi ai precedenti di Abu Musab Al Zarqawi, leader di Al Qaeda in Iraq nel 2005-2006 che decapitava qualsiasi nemico sottomano: civili sciiti o americani. «La decapitazione sposta il focus del terrore dalla massa all’individuo - spiega Shashank Joshi, analista del Royal United Services Institute di Londra - considerando la dissacrazione del corpo più terrorizzante di un eccidio provocato da una bomba».

 

Malvagità calcolata

jihadisti isis jihadisti isis

Ad aver teorizzato questa forma di violenza è Abu Bakr Naji, considerato il capo della propaganda di Al Qaeda sotto Osama Bin Laden, nel volume «Gestione della Malvagità» pubblicato nel 2004 sul magazine online «Sawt al-Jihad». Il libro sostiene la necessità di «creare e gestire risentimento e violenza per moltiplicare le opportunità di reclutamento nel lungo termine» con una «strategia di attrito capace di rivelare la fondamentale incapacità delle grandi potenze di sconfiggere i jihadisti».

 

«La malvagità può consentire ai jihadisti di conquistare sostegno popolare e far rispettare la Sharia sui territori dove nascerà il Califfato» scrive Abu Bakr Naji, con un riferimento diretto alle stesso progetto statuale oggi sostenuto da Al Baghdadi. Per la Jamestown Foundation di Washington il manuale sulla «Malvagità calcolata» ha ispirato Al Qaeda in Yemen prima di essere adottato da Isis trasformando le idee di Naji - ucciso dai droni americani nel 2008 in Pakistan - nella minaccia più bestiale che incombe sulle retrovie dell’Occidente.

OSAMA BIN LADEN OSAMA BIN LADEN

 

Le contromisure

Per le unità antiterrorismo impegnate nella difesa delle popolazioni civili, dal Nordamerica all’Europa, da Israele all’Australia, si tratta di adattare la caccia ai «lupi solitari» al «fattore malvagità».

 

A suggerire una possibile formula è Fred Burton, vicepresidente del centro studi Stratfor, che riferendosi al Canada parla di «130 cittadini nei ranghi di Isis di cui 80 tornati a casa». Ciò significa dover rintracciare, seguire ed eventualmente arrestare i singoli portatori della brutalità trasmessa dal Califfo Ibrahim ai seguaci. Da qui la necessità di conoscere con precisione identità e origine dei volontari stranieri nei ranghi di Isis.

 

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