LA MANOVRA PASSA AL SENATO TRA LE PROTESTE: 167 FAVOREVOLI, 78 CONTRARI – IL PD ANNUNCIA RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE – BAGARRE IN AULA: URLA, LITI E SPINTONI, LA SENATRICE MALPEZZI (PD) CONTRO BOTTICI (M5S): "MI HA MESSO LE MANI ADDOSSO" – RENZI: LA MANOVRA DEL POPOLO E’ LA RETROMARCIA DEI POPULISTI – LO SFOGO DELLA BERNINI (FI): "NON NE POSSIAMO PIU’" - LA PERLA DI ZAFFINI (FRATELLI D’ITALIA): QUESTO E’ UN ATTEGGIAMENTO PORNOGRAFICO – VIDEO

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Giuseppe Alberto Falci per corriere.it

 

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Con 167 voti favorevoli, 78 contrari, 3 astenuti (tra cui l’ex premier Mario Monti), e assenti i senatori del Pd per protesta, l’aula di palazzo Madama approva il maxiemendamento alla legge di Bilancio. Urla, spintoni, sospensioni e tanto altro arricchiscono questo sabato prenatalizio che culmina con l’intervento dell’ex giornalista Gianluigi Paragone, oggi senatore del M5S: «Con quale voce — si rivolge al Pd — difendete la centralità del Senato dopo che lo volevate tagliare».

 

E ancora: «Macròn, il vostro guru, si sta piegando al volere del popolo. Perché quando il popolo impone una trattativa sta già cominciando a vincere». E allora via con un applauso lunghissimo cui poi segue, quando ormai è iniziata la chiama nominale, l’abbraccio che Riccardo Fraccaro, ministro per i Rapporti con il Parlamento, riserva a tutti i senatori del M5S.

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Ieri, sabato 22 dicembre, è stata la giornata più lunga del governo Conte. A palazzo Madama, dopo giorni di attesa, di rinvio in rinvio arriva il maxiemendamento dell’esecutivo, una manovra bis (qui tutte le misure) che riscrive il testo di Di Maio e Salvini (qui l’analisi). Attorno all’ora di pranzo in Senato approda il nuovo testo, bollinato dalla Ragioneria generale. Sembra fatta.

 

Il percorso appare segnato. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro si presenta in aula e annuncia che «il governo sottopone alla presidenza il testo di un emendamento interamente sostitutivo dell’articolo 1» della manovra sul quale «verrà posta la questione di fiducia». Uno scenario che fa dire al presidente della Camera Roberto Fico che «il Parlamento è e deve rimanere centrale». Ma il colpo di scena è dietro l’angolo.

 

Di pomeriggio in commissione Bilancio succede infatti il finimondo. Volano gli stracci in una seduta che procede a singhiozzo e a un certo punto viene sospesa perché ci sarebbero delle imprecisioni e delle lacune. Il testo vidimato dalla Ragioneria generale deve nuovamente essere modificato. Nell’ufficio del presidente Daniele Pesco inizia un via vai di sottosegretari scuri in viso, fra gli altri Laura Castelli e Alessio Villarosa, e di tecnici che cercano di mettere una pezza agli errori.

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«Eravate quelli della trasparenza», urla la senatrice dem Valente. «Dateci il testo», rincara il senatore Marcucci (Pd) bussando alla porta. Dopo più di mezz’ora si riparte e il clima riesplode quando il sottosegretario Massimo Garavaglia annuncia di voler «stralciare la norma sugli Ncc per mancanza di coperture». «Ma come — si sgola il dem Antonio Misiani — è stato bollinato dalla Ragioneria generale. È allucinante che il governo voglia ritirarlo con motivazioni inesistenti». Norma che rientrerà però con un decreto «ad hoc» a cui il consiglio dei ministri darà il via libera a notte fonda assieme alla nota di variazione del bilancio.

 

IL GIUDIZIO SULLA MANOVRA ECONOMICA

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Eppure, dopo l’ennesimo stop, la maggioranza con il presidente della commissione Pesco tira dritta e mette ai voti il parere sul maxiemendamento con la fuoriuscita in polemica delle opposizioni. Intanto spunta un condono, un saldo e stralcio, così viene chiamato all’articolo 101 e nei commi seguenti. Il dettaglio è che potrebbe impattare sul papà di Luigi Di Maio e l’azienda di famiglia. Il diretto interessato nei giorni scorsi aveva smentito, ma la polemica non è sopita. È previsto per le persone fisiche e per le aziende in liquidazione, purché la procedura sia stata aperta prima della presentazione della dichiarazione per aderire al condono.

 

Intanto la discussione generale può iniziare. Assenti Di Maio e Salvini, presenti invece il ministro dell’Economia Giovanni Tria e il ministro dell’Agricoltura Gianmarco Centinaio. Pochi attimi di quiete e lo scontro si infiamma. Azzurri e democrat invocano alla presidente Casellati la convocazione della conferenza dei capigruppo «per ristabilire le regole». Richiesta accettata e lì si consuma l’ennesima battaglia sull’ordine del calendario. Che poi continuerà nell’emiciclo tra un «Buffoni» e un «Vergogna» che si leverà dai banchi di Forza Italia, Pd e Leu.

 

 

 

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Scoppia una rissa tra la forzista Licia Ronzulli e un drappello di leghisti. Annamaria Bernini, capogruppo di Forza Italia, è furibonda: «Verrebbe voglia di aderire al famoso “vaffaday”. Non ne possiamo più. Non stanno imbavagliando noi ma gli italiani. Di cosa avete paura? Che si veda il contenuto di questa manovra di lacrime e sangue per gli italiani».

 

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Dal Pd Andrea Marcucci annuncia che presenterà conflitto d’attribuzione alla Corte Costituzionale per il percorso della manovra. Mentre il senatore Matteo Renzi, ieri in cravatta viola, attacca: «La manovra del popolo è la retromarcia dei populisti». Infuriato anche Francesco Zaffini, senatore di Fratelli d’Italia: «Ferite così profonde non si rimarginano». E poi la “perla” che fa sorridere l’aula pronunciata sempre da Zaffini: «Questo è un atteggiamento pornografico». Le protestano non si placano. Si procede fino a notte fonda. E dopo il via libera del Senato, il testo sarà trasmesso alla Camera per il passaggio finale, con l’aula prevista per il 28 e 29 dicembre.

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