NON E’ UN PARTITO, È UN CASINO - QUANDO SI TROVERÀ IL NUOVO LEADER CI SARÀ ANCORA IL PD?

Lotte di corrente, sedi occupate e rese dei conti, il Pd è un esercito in rotta: i dissidenti brianzoli (Civati e Ricchiuti) contro i vertici nazionali, il Nord Est tra Puppato e Serracchiani, i renziani alla conquista delle regioni rosse, in Campania cresce De Luca mentre la sinistra punta su Barca…

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Tommaso Cerno e Marco Damilano per "L'Espresso"
Si fa presto a dire: gli iscritti del Pd stracciano la tessera. A Roma non si può fare neppure quello: arrivati a quasi metà anno il tesseramento non è neppure cominciato, nei circoli le tessere non sono state ancora distribuite. Perfino un neo-iscritto di peso, l'ex ministro Fabrizio Barca, si è dovuto accontentare di un documento provvisorio: «Mi hanno dato una fotocopia a colori», racconta. È quel che resta del Pd dopo il suicidio collettivo nell'aula di Montecitorio al momento di eleggere il capo dello Stato e dopo le larghe intese, il governo in tandem con Silvio Berlusconi.

Pippo CivatiPippo Civati Fabrizio BarcaFabrizio Barca

L'8 settembre: Pierluigi Bersani dimissionario, la difficoltà di trovare un segretario-reggente che porti il partito al congresso. E in periferia ufficiali in rotta, rese dei conti sanguinose, la base infuriata, le sezioni occupate, i capi della rivolta che provano a conquistare posizioni. Mentre gli uomini di Matteo Renzi, per la prima volta, danno vita a un network nazionale, un partito nel partito: la prima a nascere è stata l'associazione "Adesso Vicenza", ne seguiranno altre. "Adesso", perché in realtà il momento del sindaco si è allontanato e bisogna attrezzarsi a una marcia più lunga del previsto. Ecco la mappa della disgregazione del Pd dal Piemonte alla Sicilia. E i possibili leader del futuro Pd. Sempre che esista.

RENZI SERRACCHIANI FC ACBRENZI SERRACCHIANI FC ACB

BRIANZA RIBELLE
Per gli ex bersaniani doc sono i «due dissidenti brianzoli». Pippo Civati e Lucrezia Ricchiuti , due enfant diventati grandi , scegliendo di non votare la fiducia al governo di Enrico Letta. Due che, lontano dalla Brianza, collezionano critiche e amarezze, ma quando tornano a casa fanno il pieno. Prendete il 2 maggio all'Urban Center di Monza. Convegno da cento posti, fossimo stati in era bersaniana. Una rivolta, con tanto di vigili urbani, in tempi di guerre dem. Mille ribelli contro il "partito traditore". E gli agenti del Comune guidato dall'amico di Civati, Roberto Scanagatti , che chiedono di spostarsi altrove. In una sala più grande.

MATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI jpegMATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI jpeg

Ecco che l'incontro promosso dal segretario di Monza Alessandro Mitola , quello che ha scritto agli elettori chiedendo scusa per l'inciucio col Cavaliere, diventa simbolo della rottamazione lombarda in atto. Con correnti che si sfidano. E casacche che cambiano. Mitola è oggi il grande oppositore di colui che era l'uomo forte, imbattibile, del Pd: il segretario lombardo, Maurizio Martina. Quello che la base definisce "grande sconfitto". Quello che aveva giurato che mai sarebbe andato a Roma. E che ha invece accettato il posto di sottosegretario offerto da Letta.

PIETRO GRASSO TRA BERSANI ED ENRICO LETTAPIETRO GRASSO TRA BERSANI ED ENRICO LETTA

Da Roma l'ordine è di anestetizzare le rivolte, in attesa del congresso. Ma le rivolte sono troppe. Tanti piccoli focolai da Bergamo a Varese, da Mantova a Cremona. E ancora Brescia, Sondrio e Lodi. Deputati regionali che da renziani sfegatati ora stanno con Letta. Come Alessandro Alfieri , capogruppo al Pirellone, all'improvviso mite con l'ex rivale Martina: «La nomina è il riconoscimento dell'impegno profuso».

Pure a Milano il clima s'è surriscaldato. Basti pensare che, quando la notizia del governo col Cavaliere è arrivata al vertice provinciale dei Dem, s'è alzato uno striscione: "Mai col Pdl". E, tempo pochi istanti, metà sala era in piedi ad applaudire. Fra tanti mugugni anonimi, poi, il segretario milanese Roberto Cornelli ha preso invece le distanze da Letta in pubblico. Beccandosi gli attacchi di quelli che fino a poco prima invocavano Rodotà presidente. O gridavano al tradimento contro l'affossamento di Prodi. Come Emanuele Fiano che fa di necessità virtù: «L'alternativa a questo governo sarebbe un disastro per tutti gli italiani».

Vincenzo De LucaVincenzo De Luca

UNA MOLE DI GUAI
Sotto la Mole, invece, le dimissioni del segretario piemontese del Pd Gianfranco Morgando e del leader torinese, la deputata Paola Bragantini , sono arrivate dopo "l'oltraggio" di Letta: nessun piemontese nella squadra. Almeno del Pd. E così s'è rotto il vaso, già stracolmo di divisioni e malcontento, che nelle ultime settimane, complici le vicende nazionali, si sono manifestati con i movimenti OccupyPd e Pallacorda. I focolai di una protesta che punta a prendersi i vertici del partito contro "l'ancien régime sabaudo".

LUCREZIA RICCHIUTILUCREZIA RICCHIUTI

Gli aderenti alla "rivolta della Pallacorda", di sapore rivoluzionario francese, si sono autoconvocati dopo la rielezione di Napolitano. E a guidarli con sempre maggior seguito di truppe sono in quattro, finora semisconosciuti: Fabio Malagnino, Matteo Franceschini Beghini, Davide Ricca e Diego Sarno . Ora sono forti. Una corrente pericolosa perché, ripetono gli ispiratori, «al nostro interno ci sono iscritti con storie molto diverse, dall'ex Pds ai nuovi dem». Al fianco dei rivoluzionari, c'è pure la nuova Resistenza democratica, con tanto di pagina Facebook. È la vecchia guardia, nonni con i nipoti, quelli che a Torino hanno sospeso il servizio d'ordine il primo maggio per protesta: «I dirigenti non hanno più la nostra fiducia», dice Diego Simioli . Volto conosciuto del Pci torinese. Che ora sta con i giovani.

ZUFFE MARE E MONTI
Nella piccola Val D'Aosta hanno un problema in più. Alle regionali di fine maggio rischiano il flop per colpa del caos romano. Proprio lassù, dove si aspettavano il traino della vittoria alle politiche. Il leader valdostano del Pd, Raimondo Donzel , è sulle barricate. E per proteggere le Alpi da Annibale e dagli elefanti della dirigenza romana tenta di camuffarsi con le alleanze sulla scheda elettorale: «Sono un giapponese, a corto di munizioni, su un'isola del Pacifico», dice: «Ci presentiamo assieme ad Alpe e all'Union Valdotaine Progressiste. Ma è già una vittoria riuscire ad andare al ballottaggio».

richetti matteorichetti matteo

Dai monti al mare, in Liguria la battaglia parte da Savona. Dove c'è il fulcro dello scontro. Da una parte il coordinatore di Savona, Claudio Strinati , renziano, vuole mandare tutti i casa: «Dopo Bersani, bisogna azzerare le segretarie locali, provinciali e regionali», proclama. Dall'altra parte il "suo" sindaco, Federico Berruti , renziano pure lui, dice di no e getta acqua sul fuoco, in un'inedita alleanza con Lorenzo Basso , segretario del Pd ligure e non certo rottamatore. Ma il clima è rovente.

C'ERA UNA VOLTA L'EMILIA
Addio al "Tortello magico", come chiamavano il triumvirato del re Pierluigi: Maurizio Migliavacca, Miro Fiammenghi e soprattutto Vasco Errani. E addio Emilia bersaniana. A partire dalla prima testa che cadrà nella terra rossa e sacra, quella del segretario, Stefano Bonaccini.

C'è chi lo dà già sindaco di Modena, altri lo vedono pronto per Roma in caso di nuove elezioni. Fatto sta che la sua defenestrazione, impensabile fino a poche settimane fa, segna la fine del regno di Bersani nella sua Emilia. E per capire quanto la geografia nella roccaforte dell'ex Pci stia mutando, basta pensare che al posto dell'ortodosso Bonaccini potrebbe finire un dissidente, o così era fino a qualche giorno fa, come Paolo Calvano , segretario ferrarese, rottamatore di professione. Una rivoluzione di ottobre, data del congresso, che vede schierati nelle trincee i vecchi dirigenti emiliani, depositari fino alla caduta di Bersani della Torah piddina.

Ce l'hanno con la "rimozione collettiva" del caso di Franco Marini, abbattuto dai franchi tiratori sulla via del Colle. Vogliono fare autocritica, come ai vecchi tempi. Ma trovano la diga renziana. Al punto che i compagni sono pronti a diventare seguaci di Letta pur di non capitolare al sindaco, a caccia di una mediazione del ministro Graziano Delrio, più forte dopo l'ingresso nel governo.

Cresce anche il potere di Matteo Ricchetti , il più votato alle primarie a Modena, eletto mister Parlamento, e volto sempre più presente nei salotti tv, il capofila dei renziani a Montecitorio. Un puzzle che rischia, come primo effetto, di far saltare Errani, l'intoccabile governatore in corsa prima delle elezioni per la vicepremiership. E ora sempre più debole.

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DUE NORD-EST
«Uno spritz in piazza?». A guardarla da Padova, sembra tutto come prima. Flavio Zanonato gira per la città come fosse ancora il sindaco. Prende in braccio la nipotina e schiva la scorta, che gli ha appioppato il ministero dopo gli spari di piazza Colonna.

Eppure è quello l'epicentro del terremoto veneto. Quel signore che, all'improvviso, è diventato l'uomo Pd più forte, unico esponente del Nord-est al governo, fedelissimo bersaniano e pure nella manica di Letta. La sua nomina ha fatto da estintore al dissenso della base. Tanto che i giovani di OccupyPd hanno liberato la sede, i renziani hanno applaudito parlando di «profilo autorevole» e mancavano solo le campane.

Gli ha votato la fiducia pure Laura Puppato, titolare di omonima corrente. E pensare che pochi giorni prima proprio Laura, impegnata a convincere Casaleggio dei buoni propositi anti-Tav dei democratici, aveva avuto uno scontro al vetriolo con Zanonato: «Piccolo gerarca», gli aveva detto. E lui: «Melliflua e col buon senso di una massaia». Ma dopo la chiamata al governo la signora Laura s'è calmata.

E in Veneto s'è ridisegnata la mappa del potere. Salgono i lettiani, come la segretaria regionale Rosanna Filippin , senatrice di Bassano del Grappa, il padovano Federico Ossari e il veronese Gianni Dal Moro , capo della segreteria politica di Letta. Ogni capobastone ha il suo referente: a Venezia c'è Andrea Martella , coordinatore della segreteria di Veltroni; per Franceschini c'è il sottosegretario Pierpaolo Baretta; mentre Rosy Bindi si affida alla padovana Margherita Miotto . In pace forzata i renziani, tutti sindaci che hanno messo in piedi l'associazione "Adesso!": Achille Variati a Vicenza, Jacopo Massaro a Belluno e Roger De Menech a Ponte nelle Alpi.

ALBERTO MONACIALBERTO MONACI


Nel vicino Friuli tira un'aria diversa. La vittoria di Debora Serracchiani alle regionali è stata una boccata d'ossigeno per il Pd. La rottamatrice ante-litteram, pronta ad aiutare Renzi, ha fatto fuori le mele marce già prima del voto politico. Via l'ex capogruppo e signore delle tessere Gianfranco Moretton , avanti l'ex sindaco di Pordenone Sergio Bolzonello (record storico assoluto di voti alle regionali nel Pd), che sarà vicepresidente, e Cristiano Shaurli , poco più che trentenne, che guiderà la maggioranza regionale. Per non far saltare il quadro, poi, c'è un patto di lealtà con gli ex bersaniani, a partire dal senatore Carlo Pegorer , terza legislatura, aplomb inglese, inventore della candidatura di Riccardo Illy nel 2003. Obiettivo: rompere l'asse Lega-Pdl nel Nord-est e tentare di far penetrare il Pd renziano nelle corde di un elettorato storicamente impermeabile alla sinistra.

TOSCANA RENZIANA
Il processo è andato in scena la settimana scorsa nello storico circolo fiorentino Vie Nuove, affollatissimo. «Scusate il ritardo, aspettavamo i parlamentari che sono in giro per l'Italia...», ha provato a dire la segretaria cittadina Lorenza Giani, travolta dai fischi. Presenti solo quattro parlamentari, Rosa Maria Di Giorgi, David Ermini, Filippo Fossati, Elisa Simoni. Provano a spiegare le ultime mosse romane, il governo Letta con Berlusconi, la sala insorge: «Abbiamo votato Bersani alle primarie per dire di no a Berlusconi e ora siamo al governo con lui! Parlate di questo!».

«I nostri parlamentari sono inadeguati, ci hanno consegnato le peggiori pagine del centrosinistra italiano», attacca uno dei rivoltosi, il segretario del circolo del quartiere 4 Francesco Piccione . A Prato, epicentro dell'insurrezione, è partito il tour nazionale dell'ex ministro Barca, presenti in prima fila la segretaria Ilaria Bugetti e il deputato renziano Matteo Biffoni . Una rivolta spontanea, senza capi a soffiare sul fuoco. Anche perché già alle primarie di autunno i votanti dei gazebo rovesciarono l'antica nomencaltura rossa per promuovere i giovani legati al sindaco rottamatore.

Matteo Orfini e Massimo D'AlemaMatteo Orfini e Massimo D'Alema

Al punto che a Firenze si prepara per il 2014 un derby tutto renziano per la poltrona di sindaco, se Renzi dovesse passare a un incarico nazionale: il deputato Dario Nardella (in ascesa) contro il potente presidente del consiglio comunale Eugenio Giani. E le alleanze si stanno rapidamente rimescolando. Il segretario regionale Andrea Manciulli , ieri tendenza anti Renzi, oggi tesse la tela con Matteo. Resiste il governatore Enrico Rossi, che punta alla segreteria nazionale. Il primo test importante per la tenuta del partito saranno a fine mese le elezioni comunali di Siena.

Il Pd arriva all'appuntamento devastato dalla faide e dalle inchieste sul Monte dei Paschi. Dopo Mussari è saltato anche l'ex sindaco Franco Ceccuzzi, costretto a ritirarsi dopo aver vinto le primarie. Ora il candidato è Bruno Valentini , anche lui renziano. Anche se i veri trionfatori sono i fratelli Alfredo e Alberto Monaci , ex democristiani che a Siena hanno sbaragliato i puledri dell'ex partitone rosso.

CORRENTI DEL GOLFO
Cambiano le correnti del Pd nel Golfo partenopeo. E basta ascoltare il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca . «Un partito di anime morte», diceva. Poi Letta l'ha piazzato sulla poltrona di viceministro alle Infrastrutture e il vento è girato. Bocciato così senza appello il Pd locale, un partito che a Napoli non è stato in grado di eleggere nemmeno il presidente del consiglio provinciale, si riparte dal congresso campano. Con un inedito gioco d'alleanze.

Il segretario uscente, Enzo Amendola, da sempre ombra di D'Alema, e il suo vice, puntano proprio su De Luca per tenersi il partito. Ma dovranno vedersela con il caos delle altre province. Avellino in testa. Con le comunali in arrivo e le primarie annullate con tanto di battaglia legale fra le correnti ed epilogo davanti al giudice, Letta ha preso il potere anche lì. I bersaniani si erano ritirati perché, nello scontro, gli altri avevano candidato per il Pd un esponente della lista di Renata Polverini.

E alla fine, secondo la regola Dc, è spuntato il costruttore Paolo Foti , che unisce i seguaci del premier ed ex bersaniani. Per non farsi mancare niente, però, l'ex sindaco Pd Giuseppe Galasso sosterrà il candidato del centrodestra. Il tutto all'ombra (lunga) del «semplice elettore», come si autodefinisce, Nicola Mancino. Chiude Caserta, dove siamo all'anno zero, secondo gli iscritti: «Qui il partito non è mai nato. Abbiamo un segretario abusivo».

Infatti da quando quello vero, Dario Abbate , s'è dimesso per il Parlamento, poi non eletto, s'è aperta l'era di Ludovico Feole , coinvolto pure nella storiaccia di assenteismo alla Provincia. Feole, candidato a sindaco in un comune della provincia, è vicino al consigliere regionale Nicola Caputo , un tempo bindiano ora vicino a Renzi. E così il partito è diviso in due blocchi: da una parte i lettiani, la fronda Graziano-Abbate-Stellato e dall'altra i renziani, che contano anche sulla deputata Pina Picierno, area Franceschini.

PUGLIA D'ALEMA ADDIO
OccupyPd ha conquistato la sede di via Re David a Bari. Assemblea permanente dei giovani democratici guidati dal segretario regionale Pierpaolo Treglia e dalla neo-deputata Liliana Ventricelli . In Puglia, la ex roccaforte dalemiana, il Pd pencola a sinistra, la base spinge per un nuovo partito di sinistra con Nichi Vendola. Il sindaco Michele Emiliano capeggia nel backstage la rivolta.

LUPO FERITO
C'è un lupo ferito nel Pd siciliano. È l'omonimo segretario regionale Giuseppe Lupo. La bocciatura del "suo" sottosegretario Sergio D'Antoni è il messaggio forte e chiaro che arriva da Letta. E non è un caso. C'è chi s'è schierato fra le armate di palazzo Chigi e combatte sull'altra sponda.

È Pino Apprendi , ex deputato regionale e ambasciatore del premier nell'isola. Punta alto e vuol mettere una croce pure su Crocetta: «Abbiamo assistito a un lento distacco del governatore dal Pd. Avrebbe potuto guidare il partito e invece lo ha spaccato», tuona.

E subito da Roma altro regalino: un bel rospo per Rosario digerire l'esclusione dal sottogoverno di Beppe Lumia, punta di diamante del Megafono, il suo movimento. E così, se da tempo tra Crocetta e i maggiorenti del Pd non corre buon sangue, per l'esclusione dei "politici" dalla giunta, la guerra di Sicilia diventa nazionale. E gli attriti sono finiti addirittura alla Procura di Agrigento, che indaga su presunte estorsioni per le candidature regionali.

Sullo sfondo denunce e lotte che lacerano il partito, alla vigilia delle elezioni che a giugno vedranno il rinnovo di 141 comuni. Fra cui Messina e Siracusa. E Catania, che schiera l'eterno Enzo Bianco, uno che in tempi di rottamazione non suona proprio come un salto nel futuro.

 

 

 

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